Via Cigna

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Ad ora incerta, 1973, AOI, II: 705

Passo
In questa città non c’è via più frusta.
È nebbia e notte; le ombre sui marciapiedi
Che il chiaro dei fanali attraversa
Come se fossero intrise di nulla, grumi
Di nulla, sono pure i nostri simili.
Forse non esiste più il sole.
Forse sarà buio sempre: eppure
In altre notti ridevano le Pleiadi.
Forse è questa l’eternità che ci attende:
Non il grembo del Padre, ma frizione,
Freno, frizione, ingranare la prima.
Forse l’eternità sono i semafori.
Forse era meglio spendere la vita
In una sola notte, come il fuco.

Fonte: facebook.com/Torinopiemontevintage/photos/a.1511442105807240/2353903314894444

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Risalente al febbraio 1973, è forse una tra le più singolari poesie di Levi. Ha un forte valore geocritico, in quanto è dedicata interamente ad una via di Torino: via Francesco Cigna, una delle più importanti e più lunghe, che attraversano la città dividendola in molti quadrati geometrici quasi perfetti.

In particolare, via Cigna è incredibilmente trafficata, oggi come allora: è “frusta” ed è il simbolo della modernità industriale della città, che Levi vede rispecchiata nel traffico che ogni giorno si genera sulle sue strade. Non è dunque, nonostante il contesto poetico, la descrizione di un quadro idilliaco: anzi, il poeta scrive che la via “è nebbia e notte”, che l’unica traccia di luce proviene dai fasci elettrici dei fari delle auto mobili che la attraversano, o dei semafori che ne scandiscono il caotico passaggio. Sono proprio questi “fanali” l’unica traccia di “chiaro”: illuminano i marciapiedi (elemento fondamentale della città, come scrive anche in un articolo dell’Altrui mestiere), e con essi le dantesche ombre che li popolano, anche a tarda notte.

Compare a quest’altezza della poesia il punto più desolante: nella comparativa ipotetica al quarto verso, compare la terrificante parola “nulla”, che priva della propria personalità ogni qualsivoglia presenza descritta in questo giro di versi. Quelli che dovrebbero essere i nostri “simili”, pur rimanendo tali, sono qui descritti come “grumi / Di nulla”, come spettrali presenze che formicolano nella città durante la notte. È infatti scomparso ogni quadro che possa far pensare ad una poesia a sfondo arcadico o idilliaco, e l’incertezza inizia ora a regnare sovrana, spazzando via ciò che invece sembra essere sicuro al di fuori di ogni dubbio: “Forse non esiste più il sole. / Forse sarà buio sempre”, scrive Levi abbandonandosi ad un quadro eccessivamente grigio, cupo, quanto mai distante dalla bellezza naturale di un paesaggio o di un quadro naturalistico (come quelli che tanto gli piaceva visitare e vivere, nelle oasi di natura incontaminata che conosceva).

Ci troviamo qui agli antipodi: nemmeno ci sono più le stelle in cielo, quelle che guidavano i marinai nella navigazione tantissimo tempo fa. Sono sparite le Pleiadi, le quali non ridono più, cioè non formano più costellazioni nel cielo; non che siano sparite del tutto, ma certo non sono più visibili ad occhio nudo dall’uomo a causa della coltre di inquinamento luminoso che copre la città.

Sparisce infatti nel verso successivo ogni qualsivoglia traccia di relazione panica con l’universo: non c’è più un “grembo del Padre” in cui redimersi, cioè un’opportunità di divenire un tutt’uno con la Terra su cui viviamo e sentirci parte di essa, bensì soltanto la modernità imperante: “frizione, / Freno, frizione, ingranare la prima. / Forse l’eternità sono i semafori”, “Forse è questa l’eternità che ci attende”. Non è un quadro disperato, però di certo non è tra i più rose: forse esaurito dal soffocante traffico che tutti i giorni doveva attraversare per spostarsi, o per recarsi al lavoro, Levi non riesce a pensare ad altro se non alla snervante attesa nella colonna di veicoli in cui tutti i giorni si trova imbottigliato. Il pensiero è tanto forte da lasciarlo con un amaro pensiero che, non casualmente, guarda proprio a quell’ormai lontano mondo naturale sepolto sotto al cemento e all’asfalto: piuttosto di aspettare così a lungo per raggiungere la propria meta, “Forse era meglio spendere la vita / In una sola notte, come il fuco”.

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