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Cognitive Joyce: atti di lettura e rilettura dell’incipit di “A little cloud”

L’articolo sonda alcuni atti di lettura dell’incipit di “A little cloud” di James Joyce, con l’intenzione di chiarire quali meccanismi cognitivi si producano durante l’elaborazione della parte iniziale di un testo.

* * *

To make a prairie it takes a clover and one bee,
One clover, and a bee.
And revery.
The revery alone will do,
If bees are few.
Emily Dickinson

1.      Introduzione

Sono molti gli approcci allo studio del testo letterario che si sono sviluppati nella storia del sapere umano. Oltre alla filologia e alla più moderna critica letteraria, oggi possediamo gli strumenti e le conoscenze per poter scoprire ed analizzare sistematicamente il funzionamento dei meccanismi che stanno all’origine del nostro rapporto con il testo letterario, la cui fruizione avviene quasi esclusivamente tramite la lettura. A partire dagli anni Settanta, infatti, gli studi cognitivi offrono una via di analisi del testo letterario che passa per lo studio dei processi mentali che si attivano durante la lettura dei testi; tali studi richiedono la collaborazione di più membri, afferenti a diversi settori, che ha come obbiettivo la mappatura delle reazioni che l’incontro con il testo letterario innesca nell’uomo.

Lo scopo a cui mira la presente relazione rientra in questo filone di studi. In particolare, è ascrivibile alla ‘letteratura empirica’, ossia lo studio della letteratura dal punto di vista del lettore, che la sperimenta nella sua qualità di prodotto estetico, senza concentrarsi esclusivamente sui significati esegetico-critici del testo. L’“atto di lettura” (Iser 1987), infatti, è la fase in cui il cervello umano processa un tessuto di informazioni tramite una decodificazione di natura linguistica; l’attribuzione di senso compiuto alle parole stimola il cervello che elabora le informazioni, permettendo la comprensione. Durante la lettura, quindi, l’attività cerebrale è decisamente dinamica.

La mia relazione parte da questo presupposto, e come tale analizza un atto di lettura. Sulla scorta due esperimenti condotti da Aldo Nemesio e riportati nel suo La costruzione del testo (Nemesio 2002: 35-66), ho voluto verificare la presenza di alcuni meccanismi cognitivi durante la lettura dei miei compagni e compagne di corso.

2.      Presentazione dell’esperimento

Ho condotto la mia analisi sui miei compagni e compagne di corso, studenti e studentesse del corso Letteratura inglese A, tenuto dalla professoressa Teresa Prudente durante l’anno accademico 2016-2017, offerto nel piano del Corso di Laurea Magistrale in Culture Moderne Comparate, Dipartimento StudiUm, Scuola di Scienze Umanistiche, Università degli Studi di Torino. Il numero dei/lle partecipanti all’esperimento ammonta ad un totale di 49 persone (36 di sesso femminile, 13 di sesso maschile), [1] la cui età media totale è di 24,85 anni.

Ai miei compagni ho distribuito l’incipit del racconto A little cloud, scritto da James Joyce e raccolto in Dubliners (1914) (Joyce 1992: 65-81), in lingua originale. Con l’obbiettivo di approfondire uno degli approcci ai testi in programma, ho dovuto condurre il mio esperimento utilizzando un testo che, come sapevo, buona parte dei miei colleghi e colleghe aveva già letto. Pertanto, la mia analisi non si occupa esclusivamente di atti di lettura, ma anche di atti di rilettura; procedendo nel mio lavoro, ho tenuto specifico conto delle differenze ed ho chiarificato le condizioni di ogni atto. La parte iniziale del testo conta 348 parole in totale (1935 caratteri, spazi inclusi), distribuite in tre paragrafi. La rilevazione dei dati si è svolta durante il normale svolgimento delle lezioni, nelle consuete aule universitarie, senza che i/le partecipanti fossero stati avvisati in anticipo: sono stati informati dalla docente al momento del suo arrivo a lezione. A riguardo, al fine di non compromettere la naturalezza dell’atto di lettura, ho preferito non pronunciarmi se non per specificare che avrei consegnato dei questionari inerenti ad un testo letterario e per ribadire la massima naturalezza nello svolgimento di questi.

Ho quindi distribuito le schede e rassicurato di leggere il testo secondo le proprie tempistiche, senza alcuna fretta, mettendosi a proprio agio. Ho richiesto il massimo silenzio possibile al fine di non inficiare la lettura di compagni e compagne; ho anche specificato di non alzarsi o consegnare il foglio una volta terminato, né di chiacchierare, sempre con l’intento di non disturbare chi ancora avrebbe dovuto terminare. Durante l’esperimento non ci sono stati disturbi notevoli, eccetto per l’entrata in ritardo di alcuni colleghi e colleghe (alcuni dei quali arrivati anche a dieci minuti dall’inizio della rilevazione). Alla fine della rilevazione si è creato un chiacchiericcio che potrebbe aver influito su chi stava ancora compilando la scheda. Sul foglio è stato chiesto di specificare il sesso e l’età; subito dopo è stato chiesto se si fosse seguito il corso di Lingua e traduzione inglese C, tenuto dalla professoressa Teresa Prudente durante il presente anno accademico, e si fosse sostenuto il relativo esame nell’aprile dello stesso anno. La motivazione di queste due domande sta nel fatto che il corso di Lingua e traduzione ha avuto come oggetto precipuo (ma non esclusivo) l’analisi linguistica e la traduzione in italiano di Eveline, scritto da James Joyce e anch’esso raccolto in Dubliners; questo racconto ha molti punti di collegamento con A little cloud, e facendo parte della stessa raccolta forma unitamente ad esso un unicum tematico in cui i racconti si possono iscrivere; pertanto, l’aver seguito il corso avrebbe potuto influire attivamente sulla lettura dell’incipit proposto. Il motivo della seconda domanda sta nel fatto che il testo scelto dalla professoressa per il relativo esame del corso è stato questo stesso incipit di A little cloud, che ho consapevolmente scelto di riproporre per identicità con i testi assegnati al corso di Letteratura inglese. Inoltre ho richiesto che si facesse un segno ogni volta che la lettura veniva interrotta. Questo metodo è chiamato “retrospettiva autosondata”, e come tale non richiede un impegno invasivo: è messa in pratica autonomamente dal lettore durante e dopo la lettura stessa. È stato utilizzato da Steen Larsen e Uffe Seilman (Larsen e Seilman 1988; Larsen e Seilman 1989), i quali

hanno proposto una raccolta dei dati divisa in due fasi. In una fase concomitante (durante la lettura del testo) i soggetti fanno un segno sul testo per indicare un particolare evento di lettura (l’evento che costituisce l’oggetto della ricerca). In una fase successiva (al termine della lettura), il segno – insieme al cesto letto – viene usato come sonda per richiamare alla memoria, in modo presumibilmente affidabile, i dettagli dell’evento di lettura studiato. (Nemesio 2002: 36)

Nel secondo momento della retrospezione, è stato richiesto ai/lle partecipanti all’esperimento di specificare, nell’apposita colonna predisposta alla destra del testo, la natura della loro interruzione: «A» se durante la lettura avessero guardato in anticipo parole seguenti; «I» se avessero guardato parole precedenti; «R»      se si fossero fermati per riposare; «E» se fossero stati interrotti da cause esterne; «F» se avessero smesso di leggere ed avessero fantasticato grazie al testo; «L» se avessero riscontrato problemi dovuti alla lingua; infine «?» se non ricordassero il motivo della loro interruzione o se nessuna delle ragioni precedenti sembrasse loro adeguata. I/Le partecipanti sono stati poi chiamati a specificare, in caso lo ricordassero, il motivo della loro pausa di tipo «F»; sul foglio ho predisposto un apposito spazio perché si potesse rispondere alla richiesta. In seguito, tre domande hanno interrogato il lettore/la lettrice riguardo all’eventuale lettura del testo (già avvenuta), alla conoscenza dell’autore e alla conoscenza di altre opere dell’autore. Un’ultima domanda ha indagato il grado di interesse di chi ha compilato il questionario, offrendo una scala di valori che andava da 1 (pochissimo) a 5 (moltissimo).

3.      Evidenza dei dati, tabelle e grafici

Le affermazioni che farò qui di seguito si dovranno considerare vere soltanto entro il numero di colore che hanno partecipato all’esperimento, sulla scorta delle schede da me distribuite, conteggiate ed analizzate. Ho analizzato 49 schede, di cui 21 erano atti di lettura (16 femmine, 5 maschi) e 28 atti di rilettura (20 femmine, 8 maschi). Per il computo ho utilizzato Microsoft Excel, [2] dove ho disposto su quattro tabelle i risultati del mio esperimento, calcolando somme, medie e percentuali per ogni categoria di dato. In questa relazione ricorrerò ai grafici di Microsoft Word per illustrare i risultati; questi saranno previsti anche di numeri, quando in percentuale e quando non.

I/Le partecipanti totali all’esperimento sono stati 49, di cui 36 di sesso femminile e 13 di sesso maschile. Per calcolare correttamente gli esiti numerici dei loro atti, ho ritenuto giusto dividerli in due gruppi principali (al di là del sesso) che ho distinto come “atti di lettura” e “atti di rilettura”. La lettura del testo prima dell’esperimento è stato quindi il fattore determinante per la divisione; oltre a questo, le condizioni che ho specificato sopra sono le altre cause del sotto-raggruppamento.

        i.            Interesse generale

In media l’interesse dei/lle partecipanti rimane stabile in entrambe le tipologie di atto:

Il testo ha interessato di più coloro che l’hanno riletto rispetto a coloro che non l’avevano ancora letto. Questo dato è particolarmente importante specialmente se interpretato alla luce del fatto che chi rileggeva il testo conosceva già le informazioni paratestuali, dunque sapeva chi era l’autore ed aveva una conoscenza della sua prassi letteraria, oltre ad aver già processato i segni linguistici del testo per la prima volta. La lettura del testo già prima della rilevazione è comunque stata un fattore decisivo per l’interesse nei confronti del racconto di Joyce.

Per quanto riguarda le interruzioni di lettura, se ne sono verificate 252 in totale; calcolandone la media, si è verificata un’interruzione ogni 3,81 parole circa ed ogni persona ha fatto circa 5 interruzioni. L’alto numero di parole tra un’interruzione e l’altra ed il numero relativamente basso di interruzioni per le parole del testo (con un tasso di incidenza dell’1,43%) può essere dato dalla formazione dei/lle partecipanti: studenti di laurea magistrale generalmente specializzati in letteratura (o comunque abituati al contatto con il testo e alla lettura di esso), hanno probabilmente trovato familiare il testo, senza dover interrompere troppe volte il loro atto.

      ii.            Distribuzione delle interruzioni per tipo

 

Nella Figura 2 e 3 sono raffigurati i grafici con la distribuzione delle interruzioni di lettura. Sono divisi per sesso (essendo la differenza di età non significativa, se non alcuni casi singoli, con differenze anche oltre i 15 anni) e per il tipo di atto, lettura o rilettura. Le abbreviazioni (vd. supra, nota 2) sono disposte secondo la somma delle interruzioni: l’asse delle ascisse indica i raggruppamenti secondo le conoscenze pregresse del lettore, l’asse delle ordinate indica la classificazione delle interruzioni; i numeri tra parentesi indicano la somma totale delle interruzioni a seconda della tipologia o dei requisiti del/la partecipante, disposti in ordine crescente. Si nota immediatamente una maggiore casistica nelle schede delle partecipanti di sesso femminile, dovuta al numero maggiore delle partecipanti rispetto ai partecipanti (per i maschi si contano 54 interruzioni, per le femmine 198). Oltre a ciò, si può osservare la predominanza, a volte eguagliata, delle pause di tipo «I» (22,11% F.AL; 19,14% F.AR; 28,94% M.AL; 22,5% M.AR). Questo avviene perché durante la lettura il cervello tende a verificare e confermare l’informazione che deve essere immagazzinata, dunque lo sguardo del lettore ritorna indietro per consolidare i dati appena processati. Durante l’esperimento, queste interruzioni hanno avuto un’incidenza tanto alta quanto le pause di tipo «L», dovute al fatto che il testo era stato scritto in una lingua diversa rispetto all’italiano (non erano presenti studenti madrelingua inglese, mentre la totalità degli studenti, madrelingua italiani, è supposta anglofona almeno fino a coprire il livello A2 del QCER) (25% F.AL; 18,08% F.AR; 21,05% M.AL; 12,5% M.AR). La grande presenza delle interruzioni di tipo «L» potrebbe indicare che la condizione linguistica del testo è stata un elemento di disturbo durante la lettura e la processazione dei dati. Oltre alle interruzioni di tipo «I» ed «L», sono state abbastanza frequenti le interruzioni di tipo «F» (9,61% F.AL; 15,95% F.AR; 13,15% M.AL; 10% M.AR), che è quanto il mio esperimento mirava a confermare.

    iii.            Distribuzione delle interruzioni di tipo «F» per paragrafo

 

Nella Figura 4 e 5 sono raffigurati i grafici con la distribuzione delle interruzioni di lettura di tipo «F». Lo scopo dell’esperimento era dimostrare che, durante la lettura dell’incipit di un testo, il lettore tende ad entrare in relazione con il testo e viene suscitato a parteciparvi in maniera personale, tramite l’immissione in esso della propria soggettività. Per questo motivo la Scheda di valutazione empirica richiedeva di specificare il motivo della pausa di tipo «F»: la mia domanda di ricerca consisteva nel verificare se questo meccanismo avvenisse anche durante la lettura di A little cloud di Joyce; stando a quanto dimostrano i grafici, ciò si è verificato: la predominanza delle pause «F» nel terzo paragrafo del testo è comune a ogni gruppo di cui ho analizzato gli atti di lettura o rilettura, ad esclusione degli atti di rilettura dei partecipanti maschili che avevano seguito il corso di Lingua e traduzione e sostenuto il relativo esame nella data sopra indicata, letto A little cloud, conoscevano Joyce e le sue opere. Un identico tipo di calo si nota nelle schede delle partecipanti con gli stessi requisiti; è possibile che l’aver sostenuto l’esame richiedente la traduzione del racconto di Joyce abbia abbassato l’incidenza delle interruzioni di tipo «F», [3] probabilmente in relazione al fatto che il testo è stato analizzato con la massima professionalità da parte degli esaminandi, che hanno cercato di tradurlo più correttamente possibile, proiettando in esso quanto meno di se stessi potessero.

     iv.            Percentuali delle interruzioni di tipo «F» nei tre paragrafi

La Figura 6 mostra le percentuali delle interruzioni di tipo «F» nei tre paragrafi (per un totale di 34/252 interruzioni) e nei gruppi divisi secondo i requisiti dei lettori, oltre a parte dei numeri offerti anche nei grafici precedenti. La presenza dello 0% nei gruppi F.AL, M.AL e M.AR impedisce di calcolare il tasso di crescita delle interruzioni, ma la media dell’aumento percentuale è la seguente: 2,4% F.AL; 5,31% F.AR; 4,38% M.AL; 3,33% M.AR. È dunque confermato che proseguendo con il testo il lettore ha prodotto, in media, più interruzioni legate alla fantasticheria che si è innescata nella sua mente grazie al testo stesso. Sono infatti state frequenti giustificazioni che indicavano come il/la partecipante all’esperimento abbia pensato di immedesimarsi nel personaggio o abbia pensato alla sua vita, con particolare ricorrenza nel terzo paragrafo; ne offro alcuni esempi: “Mi sono chiesta se anch’io provassi una sensazione di tristezza nel ripensare alla mia vita” (3°¶); “Mi ha riportato alla memoria sensazioni causate da testi poetici. Sentimenti, più che descrizioni” (3°¶); “Mi sono soffermata a pensare che aspetto potesse avere Little Chandler in base alla descrizione” (2°¶)/“Mi sono fermata per immaginare la scena” (3°¶); “Mi sono fermato a pensare al testo e all’autore, cercando di identificarlo. Pur avendo alcune idee non ne sono certo e ho ripreso la lettura” (2°¶); “Ho pensato a esperienze personali” (3°¶)/“Ho pensato al mio passato” (3°¶)/“Ho pensato a me stessa” (3°¶)/“Il fatto che pensando alla vita il protagonista provasse ogni volta un sentimento di tristezza mi ha permesso di immedesimarmi, essendo questa una cosa che capita spesso anche a me”/“La parola London mi ha ricordato quando vivevo in Scozia” (2°¶); “La tristezza del personaggio ha interrotto la mia lettura e mi ha fatto guardare le parole precedenti” (3°¶); “Mi sono fermata per immaginare la scena” (3°¶)/“Essendo un paragrafo descrittivo, ho interrotto per visualizzare bene in testa la scena nei dettagli che emergono dal testo” (3°¶); “I bambini nel parco gli mettono tristezza!” (3°¶); “Essendo un testo in lingua straniera nei momenti in cui c’è la descrizione di un’immagine mi fermo a rileggerla per comprendere meglio e focalizzare la scena” (2° e 3°¶).

       v.            Percentuali della distribuzione delle interruzioni per tipo e per paragrafo

Nella Figura 7 si può osservare la distribuzione in percentuale delle interruzioni di tipo «A», «I», «R», «F» e «L» nei tre paragrafi, suddivisa secondo i princìpi fino ad ora seguiti. La percentuale è ponderata non in base alla totalità riportata in questa figura, ma alle tabelle appartenenti ad ogni categoria, provviste anche delle altre interruzioni; ho escluso le interruzioni di tipo «E» e «?» – i cui valori sono comunque conteggiati nei totali delle percentuali – in quanto non hanno a che vedere direttamente con la processazione del testo o non offrono informazioni utili alle considerazioni.

Questo grafico è il più problematico nel computo dei dati in quanto non presenta un’evidenza empirica in linea con le mie aspettative né con le linee teoriche da me seguite. La distribuzione irregolare delle colonne, con picchi anche nel terzo paragrafo, è segno di un difetto in una parte dell’esperimento: la mia ipotesi, avanzata sulla scorta dei risultati di Nemesio 2002: 35-66, prevedeva che le interruzioni di tipo «A», «I» e «R» subissero un calo proseguendo con il testo, per lasciare spazio a quelle di tipo «F»; così, sarebbe stato confermato che, proseguendo nella lettura, il lettore si addentra sempre di più all’interno del testo, riuscendo a sviluppare un contatto di qualche tipo con esso, situandosi al suo interno. Come le fantasticherie succitate indicano, questo è successo in diversi casi (e specialmente nel terzo o nel secondo paragrafo; difficilmente nel primo), ma le cifre percentuali indicano che non è stato così per la totalità dei lettori e la totalità delle pause. Tra le cause, a mio parere, sono da inserire: (i) il ristretto numero di lettori su cui la rilevazione è stata condotta; (ii) la debole e forse insufficiente spiegazione da me fatta prima di distribuire le schede (al fine di evitare di interferire con la spontaneità dell’atto di lettura); (iii) i requisiti dei/lle partecipanti, con la successiva divisione in gruppi, che non permettono di ottenere un risultato completamente organico e bilanciato, bensì abbastanza frammentato e a volte poco rappresentativo (come nei casi delle categorie di lettura o rilettura in cui è presente un solo lettore); l’interferenza della lingua inglese del testo (il cui livello non è stato sondato durante la rilevazione), che ha causato diverse interruzioni e, secondo la mia opinione, non ha messo completamente a proprio agio i lettori non essendo la loro lingua madre. Gli esperimenti condotti in precedenza (Larsen e Seilman 1988, Larsen e Seilman 1989, Oatley 1994: 54, Dobson e Miall 1998, Nemesio 2002) prevedevano la somministrazione di un testo che fosse nella stessa lingua madre dei/lle partecipanti.

     vi.            Mappe delle interruzioni

Nella Figura 8 si può osservare la mappa generale di tutte le interruzioni di lettura e rilettura. Il tipo di interruzione è contrassegnato con la relativa lettera; ho utilizzato un “#” quando il testo originale, nella scheda di valutazione consegnata, andava a capo, mentre “##” indica la fine dei tre paragrafi del testo e l’inizio di un nuovo capoverso. Ho conteggiato tutte le interruzioni, comprese quelle di tipo «E» e «?». Ovviamente, l’unico modo per leggere i dati che questa figura comunica in maniera produttiva è analizzare la costanza delle interruzioni, ossia controllare e tenere in conto i punti in cui lo stesso tipo di interruzione è stato comune a più lettori. Non ho diviso la mappa secondo i requisiti dei lettori perché quattro mappe uniche non avrebbero contenuto abbastanza interruzioni comuni per fornire un risultato chiaro e, tendenzialmente, rappresentativo; tuttavia, ho ritenuto corretto predisporre ugualmente almeno la suddivisione in atti di lettura e rilettura, come si vedrà in seguito. La Figura 8 non tiene conto dei requisiti dei lettori, ma mostra comunque il risultato di alcuni meccanismi che si attivano durante la lettura delle prime righe di un testo. È di centrale importanza il fatto che nel primo paragrafo le interruzioni di tipo «A» e «I», come osservato in precedenza, siano presenti in maniera significativa, a dispetto invece degli altri paragrafi, dove sono dislocate in maniera disomogenea. L’irregolarità delle pause è dovuta, in genere, alla differenza nella formazione dei lettori e alle loro differenze personali e soggettive; in questa mappa si può trovare una distribuzione, per certi versi comune, delle interruzioni. In linea di massima c’è una maggioranza di interruzioni in corrispondenza degli a capo, siano essi dovuti alla semplice formattazione del testo o al nuovo capoverso; questo indica che la punteggiatura e la formattazione aiutano il lettore a conchiudere segmenti di testo; il lettore, a sua volta, sfrutta la compagine scritta per processare il testo in più momenti. Il fattore linguistico si rivela ancora decisivo, contando diversi punti in cui le interruzioni di tipo «L» abbondano, impedendo così una processazione più fluida e producendo una potenziale variabile confusa durante l’atto; è indicativo il fatto che le sequenze di questa interruzione siano costanti, per sommi capi, in tutto il testo. Si potrebbe affermare che le prime parole dell’incipit di A little cloud terminano con il secondo paragrafo: l’interruzione di tipo «I» è particolarmente ricorrente nei primi due paragrafi (così come «A», sebbene molto meno presente), mentre le lunghe sequenze di essa nella mappa diminuiscono nel terzo paragrafo. La diminuzione delle interruzioni «R» rafforza questa ipotesi, indicando chiaramente che i lettori hanno riposato più volte – dunque riorganizzato le informazioni offerte loro dal testo – leggendo i primi due paragrafi. Le interruzioni di tipo «E» non sono, come avevo pensato, dislocate negli stessi punti; ciò significa che ognuno ha un tempo di lettura e processazione estremamente diverso, ma anche che la soglia di concentrazione può variare notevolmente da un/a partecipante all’altro/a. Il fatto che ogni partecipante fosse seduto/a in un punto diverso dell’aula e che fosse soggetto all’influenza di cause esterne tra loro diverse (per l’intensità di suono, ad esempio) che potevano disturbare la sua lettura è da tenere in conto se si considera l’incostanza di queste interruzioni.

Nella Figura 9 si può osservare la mappa generale delle interruzioni secondo la suddivisione in atti di lettura e rilettura. In linea di massima vale quanto detto per la figura precedente, essendo questa una sua scissione in due sottogruppi, specialmente per quanto riguarda la punteggiatura, con cui la dislocazione delle interruzioni coincide spesso (in particolare negli atti di rilettura). Comunque, è questa la figura cui bisogna guardare se si vuole considerare correttamente la distribuzione delle interruzioni di tipo «F». Emerge un dato interessante: le interruzioni di questo tipo registrate negli atti di lettura hanno un’incidenza maggiore rispetto a quelle degli atti di rilettura, che sono invece più inclini a concentrarsi in un solo punto. Questo è dovuto, probabilmente, al fatto che chi aveva già letto il testo aveva creato un’immagine di esso che è stata rifrequentata durante la rilettura, con un’attenzione particolare alle sequenze di carattere descrittivo. A proposito di descrittività, penso non sia un caso che all’aumentare delle descrizioni aumenta anche il numero di fantasticherie; nonostante ciò, nel primo paragrafo è comunque presente una descrizione, la quale è processata in maniera diversa a seconda del tipo di atto: chi ha letto non ha fatto interruzioni di tipo «F» nel primo paragrafo, mentre chi ha riletto sì. Questo è spiegabile con quanto affermato poco fa: chi era familiare con il testo ha avuto più facilità ad entrare in mimesi con esso, dunque a partecipare alle descrizioni in maniera personale. Per gli atti di lettura il primo paragrafo si rivela campale; per gli atti di rilettura anche, ma la conoscenza pregressa del testo influisce sul lettore, permettendogli una familiarità maggiore con il testo.

Analizzando specificamente le interruzioni di tipo «F» e le sequenze del testo in cui sono state compiute, si nota un dettaglio: negli atti di lettura le interruzioni in seguito ad un paragrafo descrittivo sono di più, mentre negli atti di rilettura abbondano particolarmente nell’ultimo paragrafo, in particolar modo quando il narratore descrive il momento in cui Little Chandler si rattristisce e viene pervaso dalla malinconia. Come già osservato prima riportando i commenti dei/lle partecipanti riguardo alle fantasticherie, sembra che si sia sviluppata una sorta di immedesimazione del lettore nel personaggio, e la maggiore emotività del testo (misurabile tramite le parole che descrivono uno stato d’animo del personaggio) ha interessato di più durante l’atto di rilettura che durante quello di lettura. Negli atti di lettura, invece, la citazione della città di Londra ha causato alcune fantasticherie: anche qui vale quanto appena detto; si tenga in conto anche il grado di influenza che l’immagine della metropoli ha avuto sui/lle partecipanti che leggevano il testo per la prima volta.

4.      Riscontro teorico

Come i dati dell’esperimento possono confermare, l’incontro di un lettore con il testo è una circostanza data dal succedersi di più azioni cognitive, ognuna delle quali ha un proprio peso ed un proprio fine nell’economia dell’atto di lettura. L’esperimento mirava a confermare che il lettore – che si presenta qui come uno “statistical reader” (Bortolussi e Dixon 2003: 43-48), dunque un’entità astratta data dalla media dei dati che ogni lettore e lettrice ha fornito compilando la Scheda – nel mezzo dell’atto di lettura (o rilettura) entra nei confini del testo e in esso si muove. Chi si occupa di letteratura empirica è familiare con un concetto di Coleridge alla cui teorizzazione si ricorre per spiegare questo fenomeno: “il momento di volontaria sospensione dell’incredulità” (Nemesio 2014),  una situazione temporanea coincidente con gli estremi temporali dell’atto di lettura, dell’incontro e della processazione del testo da parte di chi legge. Prima di iniziare l’atto, infatti, il lettore accetta implicitamente un “patto narrativo” (Grosser 1985: 25), requisito basico perché l’esperienza del testo possa compiersi. Così facendo, accetta di ‘credere’, in un certo senso, che le parole del narratore siano vere e reali, e come tale ne elabora le informazioni. La presenza del narratore è fondamentale; il suo mezzo sono le parole, e tramite esse il lettore può esperire il proprio atto. Se la sua narrazione è considerabile come un “processo conversazionale” (Bortolussi e Dixon 2003: 20-21, 72-74; anche Ledoux e Gordon 2006: 790) che il lettore intrattiene con la sua figura, anche passivamente, il testo diventa il luogo dell’incontro linguistico in cui un polo emette informazioni e l’altro le processa e le organizza. L’esperimento dimostra chiaramente questa organizzazione del testo da parte del lettore: le interruzioni di lettura sono i momenti in cui il cervello del lettore sistematizza la quantità di dati ricevuta al fine di raggiungere una comprensione del discorso. Anche il narratore viene ‘esperito’ dal lettore, che ne avverte la presenza, l’assenza, la propensione e la posizione tramite le sue parole (Bortolussi e Dixon 2003: 60-96); il testo viene percepito dal lettore come se fosse una comunicazione in cui è chiamato, tra le altre cose, a tentare di immaginare il punto di arrivo del discorso del narratore (Bortolussi e Dixon 2003: 74). Oltre alla figura del narratore, anche la figura di chi scrive è importante: “senso, sentimento, tono e intenzione dello scrittore” (Oatley 1994: 56; per l’importanza dell’autore cfr. anche Bortolussi e Dixon 2003: 74-80) sono altri fattori importanti per la processazione del testo. La lettura comporta una serie di azioni cognitive dinamiche. Ciò che muove alla conoscenza nell’ atto di lettura è il processo inferenziale, che procede a partire da questi punti saldi e si organizza come successione di supposizioni su base logica. Attraverso l’inferenza (Gilardoni 2008: cap. V; Chiera 2014: 270-271, 276-279), il lettore ricombina secondo una soluzione di continuità le informazioni che giungono in suo possesso ed ultima così una ricostruzione della realtà testuale secondo un principio di coerenza che gli sembra possibile, soprattutto negli incipit. La progressiva costruzione del lettore gli richiede di riflettere la sua conoscenza pratica del mondo per ricostruire un “situation model” (Kintsch 1988; Nemesio 1990: 24 parla invece di “concretizzazione”), cioè una rappresentazione sistematica delle informazioni raccolte durante la conversazione, necessaria per proseguire lo scambio di dati in maniera ottimale. Questa progressione crea un “lettore vagante” (Nemesio 2015) che si muove all’interno del testo; la dinamicità è dovuta all’attivazione da parte del lettore di “frame” (Minsky 1975) e “script” (Schank e Abelson 1977), ossia di pacchetti informativi custoditi nella sua memoria che gli permettono, sulla base della sua esperienza di vita, di comprendere e attribuire un senso a ciò che il testo gli sta dicendo, reindirizzando il tiro ogni volta che la sua mente lo ritiene necessario.

Parallelamente a questa azione, il lettore produce anche risposte al testo di tipo affettivo, emotivo ed estetico (Levorato e Nemesio 2005: 20); in un certo senso, ‘partecipa’ al testo, prende parte al suo discorso e lo esperisce, vivendolo in prima persona, tant’è che le emozioni provate durante la lettura sono paragonabili a quelle provate durante la vita vera (Oatley 1994: 54). Questa partecipazione è data anche dal riempire i vuoti del testo, azione non indifferente ai fini dell’esperimento: più sono i “vuoti” del testo (Iser 1987: 249), più il lettore sarà chiamato a riempirli e a parteciparvi per potervi attribuire un senso compiuto, quindi per comprenderlo.

Nella Figura 10 (Oatley 1994: 57) si può osservare uno schema tassonomico che riassume le emozioni del lettore durante la lettura. ‘Partecipare’ al testo, prenderne parte, è l’azione fondamentale che il lettore compie nell’incipit, l’effetto di uno dei quali ho scelto di analizzare tramite l’esperimento.

I risultati dimostrano che alcuni tipi di interruzioni di lettura sono più frequenti nelle prime righe di un testo; questo avviene perché, nei primi attimi di incontro con esso, il lettore tende ad immagazzinare informazioni preziose che ritiene istintivamente utili a ricreare il “micromondo” (Oatley 1994: 55) in cui l’oggetto della sua attenzione si colloca (Levorato e Nemesio 2005: 21). I confini dell’inizio non sono estremamente chiari, ma dipendono dal modo in cui l’informazione viene processata: fino a quando chi legge non sarà sazio dell’informazione recepita, immagazzinata e strutturata, le “prime parole” non saranno finite (Nemesio 1990; Nemesio e Levorato 2002: 22). Nella lettura e rilettura di A little cloud si può vedere come la ‘fine dell’inizio’ si sia profilata, in linea di massima, tra il primo ed il secondo paragrafo: le interruzioni di tipo «I» e «A» sono state più frequenti nei primi due paragrafi che nel terzo. Se da un lato queste interrompono la processazione dei dati da parte del lettore, dall’altro lavorano unitamente alla memoria episodica per poter situare i dati stessi, confrontandoli con quelli già immagazzinati durante esperienze affini a quelle rappresentate nel testo (Ledoux e Gordon 2006: 791-792). Le interruzioni di tipo «R» nell’esperimento confermano la necessità e l’utilità di alcuni tipi di pausa, che servono per riordinare quanto già si è letto.

Il testo letterario, in maniera maggiore rispetto agli altri testi, permette al lettore di entrare al suo interno e sperimentare contesti affini a quelli della vita vera (Larsen e Seilman 1988; Oatley 1994; Nemesio 2002). In seguito all’organizzazione delle informazioni, durante la lettura si è soliti processare le informazioni in maniera propria ed assumere un proprio “io empirico” (Larsen e Seilman 1988: 169): una volta imparate le regole, si è liberi di sperimentare la conoscenza del mondo ricreato, di riempire i “vuoti” non determinati dalla voce narrante e di situarsi all’interno della narrazione. Le interruzioni di tipo «F» dell’esperimento lo confermano: è sufficiente rileggere le motivazioni offerte sulle schede per vedere che la partecipazione in prima persona agli avvenimenti del testo è stata occasione comune a più partecipanti. La fantasticheria è quindi un processo che comporta una “risonanza personale” da parte del lettore (Larsen e Seilman 1988), con l’attivazione di ricordi o di ipotetiche occasioni di riflessione soggettiva. Nel caso del racconto di Joyce, la materia trattata è stata sentita come vicina e familiare dai lettori: molti nel terzo paragrafo, in cui si profila della paralisi che colpisce il protagonista e della malinconia che sente pensando a cosa la vita non gli ha dato, hanno registrato diverse interruzioni di tipo «F», dimostrando una certa ‘partecipazione’ al testo. Lo stesso è stato per le sequenze descrittive, che hanno portato i lettori a concretizzare il contesto di cui si parlava, e cioè uno scorcio del mondo del racconto che hanno ricreato ed osservato come una “persona invisibile” (Oatley 1994: 62).

* * *

Note

[1]           I dati sono stati raccolti a Torino, nel pomeriggio del 2 maggio 2017.

[2]           Le abbreviazioni che si troveranno in seguito sono: F – riferito alle partecipanti all’esperimento; M – riferimento ai partecipanti all’esperimento; AL – atto di lettura; AR – atto di rilettura; GEN – i/le partecipanti non avevano alcun tipo di conoscenza pregressa riguardo al testo o all’autore o alle opere; C – i/le partecipanti hanno seguito il corso di Lingua e traduzione inglese C; L – i/le partecipanti hanno già letto il testo A little cloud; E – i/le partecipanti hanno sostenuto l’esame di Lingua e traduzione inglese C nell’aprile dell’a.a. 2016-2017; A – i/le partecipanti conoscono l’autore del testo; O – i/le partecipanti conoscono altre opere dell’autore del testo. A questi sono da aggiungere le lettere maiuscole tra parentesi che indicano i vari motivi dell’interruzione, per i quali vd. supra.

[3]           Talvolta potrebbero presentarsi piccole incongruenze con i dati. Non ho potuto trovare un modo di sistemare l’errore perché alcune pause segnalate coprivano due dei campi indicati come tipologie di interruzione; quanto si è venuto a creare non è puramente un errore, quanto più un’aporia legata al computo. Quanto fa fede è comunque il numero totale delle interruzioni, riportato nei grafici qui di seguito e da me calcolato tramite le consuete funzioni; i dati riportati nei risultati della rilevazione sono ugualmente validi, purché si consideri la ‘doppia interruzione’. Vd. nota 4.

[4]           A questo punto mi preme specificare che la somma di questi numeri è incongruente a quella presente nelle schede dei risultati generali: questo avviene perché alcune interruzioni hanno avuto una natura duplice, rientrando tanto in una tipologia quanto in un’altra, e come tali sono state registrate dai/lle partecipanti all’esperimento. Sulle schede consegnate sono infatti presenti alcune annotazioni del tipo “E/R” o “I/F”; lascio libero il lettore di ricorrere all’interpretazione che creda migliore – se considerare una o bina l’interruzione – mentre io seguirò i numeri che riporto nei grafici della relazione. Questo problema è dovuto ad un fatto che non avevo messo in conto: prima dell’esperimento non supponevo che un’interruzione potesse avere una doppia tipologia.

[5]           Ritengo utile ricordare che nel commento alle interruzioni di tipo «F», due schede di valutazione riportavano le seguenti spiegazioni: “Ho immaginato come sarebbe stato ritrovarmi questo testo all’esame di Lingua e traduzione che ho dato a giugno 2016 e se mi sarei trovato in difficoltà nel tradurlo. Le domande iniziali sono quelle che mi hanno spinto a riflettere su ciò” (3°¶); “Ho ripensato al momento in cui ho tradotto questo brano durante l’esame e mi sono distratta” (2°¶). Questi commenti mi sembrano assolutamente importanti in quanto confermano la stretta relazione tra la vita universitaria di chi ha compilato la scheda e la processazione dei dati durante la lettura; è assolutamente possibile che il luogo ed il momento dell’esperimento abbiano influito su questo pensiero, ma la relazione tra questi due fattor è comunque stretta.

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