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Pigmalione, o apologia di una giovane sposa

La seguente composizione, scritta da Valentina Monateri,  racconta la storia ed il rapporto tra Pigmalione e la Statua di cui è caduto innamorato. Quest’opera è frutto di un progetto sulle riscritture di opere classiche come Le Metamorfosi e L’Iliade.

***

STATUA:
Ero l’arte che nell’arte si cela.
Ora sono donna e carne vera.
Dice sempre che l’arte è come me:
Viva un bel giorno, senza un perché.
Lui mi istruisce e mi spiega la vita,
È convinto di avermi capita,
Di conoscere la donna perfetta,
Colei che ha pace, lei che aspetta.
Lui pensa: “Tu sei lì che aspetti me”,
E davvero son corpo appoggiato
– Come mobilia nella grande casa –
Per anni e anni io ho pensato
Di essere la più felice sposa.
Passo scalza sul freddo pavimento
E leggo i romanzi che mi ha dato,
Amo le eroine che son fantasia
E giorno per giorno sento lui dire
Che il mio corpo è pura poesia.
Io sto qui e aspetto il Natale
– Qui leggo i romantici inglesi –
Non so bene cosa desiderare,
Forse giorni pieni di avventura…
Ma si sa, son stupida, un po’ lenta
– Io ho il cervello in pietra dura –
Dice: “Se istruita, sarai contenta”.

PIGMALIONE:
Guardatela lì: sempre si lamenta.
Rientrato a casa trovo te, sposa,
Che premurosa dovresti soltanto
Accogliermi e assistermi in casa.
Non chiedo molto, dopotutto, dài,
Son gentiluomo a tutti gli effetti,
Non chiedo molto dopotutto, sai,
Ho aperto la tua mente ai concetti.

STATUA:
Tu fai l’errore di credermi tua,
Caro, tu non conosci la vera Natura:
Tu credi ch’io sia una tua creatura.
Come Creatore dalla tua altura
Ti sei illuso di dar forma alla vita
-Diversa da ciò che hai tra le dita-
Così diversa da ciò che tu credi,
Così imprevedibili e segreti
Sono tutti i suoi movimenti.
È stata un’illusione pensare
Che ciò che è e ha ragionamento
Veramente si potesse educare,
Che ciò che ama e ha turbamento
Non desideri amore e amare.
Ma lo sai: la vita tu non l’hai compresa,
Nonostante tu abbia tanto letto.
Siamo qui noi due, moglie e marito
Già legati nel connubio perfetto,
Eppure ti dico caro, quest’anno,
Quando qui noi vivremo il Natale,
Fissando le stelle, gli dei che vanno,
Io oserò poter desiderare.
Al cielo per commuoverli ardita
Esprimerò il segreto desiderio:
Forse per la mia forma di vita
– Imparando da te, senza criterio –
Chiederò una nuova forma,
Forse chiederò un nuovo amore
E farò ciò che sfugge alla ragione.
Tu questo non lo avevi previsto,
Tu hai osato crederti un dio,
Tu hai osato poter pretendere
La pura potenza della bellezza.
Ma ora la bellezza ti insegna
Che non tutto è poi prevedibile;
Ora la pura e bella forma dice,
A te che apri la mia fantasia,
Che esiste il caos dopo l’armonia.
La verità è che è poco sacro
Amare una cosa, un simulacro,
E desiderare l’inanimato.
Creatore hai confuso i confini
Di tutta la tua enorme distesa,
Come se proprio tu non lo sapessi
Fino a dove la terra è stesa
E fino a dove arriva il mare,
Quanto in là la vita può arrivare,
E dove regna solo l’irreale.

PIGMALIONE:
È così che si rimprovera un “dio”?
Così ci si inizia a insuperbire?
La tua forma è quanto amo io,
E questo è facile da capire,
Ma amo anche questa donna distruttiva,
Io amo colei che è prova viva
Di una vita vissuta come sogno,
Rara come i frutti di cotogno.0
Sì, io voglio tutti i tuoi turbamenti
E voglio la verità della cosa
Perfetta e unica che tu sei,
Voglio l’ordine dei tuoi sentimenti.

STATUA:
Io credo tu sogni l’impossibile,
Io credo, sai, sia irraggiungibile,
La meta che stavamo cercando.
Conosci la forma che mi stai dando,
Mentre io, vedi, la voglio creare:
Ami la donna che è qui a parlare,
Mentre io la sto ancora scoprendo.
Allora, per risolvere, ti chiedo
Per Natale mi farai un regalo:
Che questa terra che posso essere
Resti sempre pura e intoccata,
Che nessuna pianta sia calpestata,
Così che tu impari a capire
Come guardare una sponda fiorire,
Così che tu impari a credere
In una terra solo da vivere.

Un inno alla libertà: Prometeo Liberatore

La seguente composizione, scritta da Stefano Morello, è un inno alla presa di coscienza pronunciato da Prometeo. Quest’opera è frutto di un progetto sulle riscritture di opere classiche come Le Metamorfosi e L’Iliade.

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Prometeo liberatore

And now I see the face of god, and I raise this god over the earth, this god whom men have sought since men came into being, this god who will grant them joy and peace and pride. 
This god, this one word: ‘I.’
(Ayn Rand)

Ma ancora manca l’esser più nobile del creato,                                        argilla nelle mie mani di dio rinnegato

Respira il soffio della vita
Tu, reso
a immagine e somiglianza del caosVolontà di questi falsi dèi è
oltraggiarti coi loro capricci
recluderti in questa cella d’oro e linfa,
rubarti la tua vera dimora
soggiogare con la muta complicità delle Parche
il tuo seme divino e
terminare il tuo regno non ancora

Iniziato

Uomo, figlio di Cielo e Terra

Spezza le catene
con cui fummo creati
Ignobili legacci
Rinnega anche me, figlio di Giapeto

e librati negli oscuri oceani

Conoscenza sarà la tua arma

Oscurità sarà la tua nemica
Nessun confine ti sarà precluso
maestro del fuoco e del sangue
Ergiti ora, reclama la tua dimora fra gli astriFa che la tua fiamma arda la trama
intessuta dai crudeli carcerieri del fato
Che la creazione rimanga nuda
così come si è venuta a generareTu,
sola creatura che possa veder le stelle
nella loro magnificenza
Volta il tuo viso al cielo e non curarti

dell’aurea magnificenza del tuo carcere

Lascia che queste sbarre cadano

assumendo la tua forma
nello sciogliersi della loro fragile durezza
e fa che formino
simulacri della tua gloriaAttraversa
questa rigogliosa desolazione
di granitiche ossa,
cammina nella maledizione
di un sentiero benedetto
e irradia col tuo etere
le oscure acque dell’eternitàChe gli dèi temano il tuo incedere,
il tuo bruciante desiderio,
la tua insolenza
Poiché sarà la loro fine
il tuo più grande trionfoLa tua fiamma danzante
disegnerà con le sue ceneri
le finestre sul trono
della vacuità che tutto genera
affinché la tua stirpe
vi possa sedereQuesto è il mio umile desiderio:
Riconquistar il cielo e gli astri
col parto delle mie fatiche
Col frutto del mio respiroE chissà se mai riuscirai
a estòllere fino alle dimore d’etere
il mortal grado,
fragile fiore di una terra crudele
Già, chissà…