di Samuele Schirru
In questa “lettura” Samuele Schirru riflette sulla tensione fra modalità epiche, storiche e romanzesche in Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, mettendo in luce la prospettiva mitografica che l’autore adotta per narrare la nascita dell’epoca moderna.
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Victor Hugo affronta in Notre-Dame de Paris il romanzo storico in modo apparentemente tradizionale, radicando le vicende dei suoi personaggi nel contesto designato grazie a ricerche d’archivio e ad un tentativo di ricostruzione minuziosa della città di Parigi, descrivendone edifici, abitanti e costumi. A questa dimensione storiografica apparentemente antiquaria, nella connotazione data a questo termine da Friedrich Nietzsche, è però affiancata una lettura della storia che va oltre il mero resoconto dei fatti, che mira ad interrogare gli avvenimenti sul loro significato per il presente, in particolare per i lettori degli anni Trenta dell’Ottocento. Il 1482, anno identificato come punto di transizione fra Medioevo ed Età moderna in Francia, viene letto in una prospettiva mitografica che mira a identificarne gli elementi fondativi per il presente dell’autore e dei suoi primi lettori.
Questo saggio si propone di mettere in luce le principali direttrici di questo processo, delineato nel romanzo attraverso le persistenti metafore architettoniche, che identificano nella storia un processo di creazione attraverso la costruzione continua su fondamenta preesistenti, che possono essere alternativamente distrutte, ricostruite o coperte da nuovi edifici, con particolare attenzione alla riflessione di Hugo sul ruolo della nascita della stampa nella creazione della concezione moderna della storia.
1. La ricostruzione storica al servizio di un’epica moderna
Nietzsche descrive lo storico antiquario come “colui che custodisce e venera”,[1] ovvero come chi affronta la storiografia come opera di conservazione di un patrimonio volta alla fondazione di un’identità collettiva:
La storia della sua città diventa per lui la storia di sé stesso: egli concepisce le mura, la porta turrita, l’ordinanza municipale, la festa popolare come un diario illustrato della sua gioventù e in tutte queste cose ritrova sé stesso […] Talvolta saluta, anche al di là di secoli lontani, oscuri e confusi, l’anima del suo popolo come la sua stessa anima; un penetrare col sentimento e un presagire cose nascoste, un fiutare tracce quasi cancellate, un’istintiva ed esatta decifrazione del passato ancora così coperto di scritture, un rapido intendere i palinsesti, anzi i polisesti – sono queste le sue doti e le sue virtù.[2]
Una lettura superficiale di Notre-Dame de Paris potrebbe portare a vedere in Hugo un approccio di questo tipo, leggendo nelle numerose descrizioni di edifici, eventi pubblici e costumi sociali un tentativo di ricostruzione del passato per conservarlo nel presente. Questa impressione è frutto dell’abilità retorica dell’autore, capace di attingere a fonti secondarie combinandole per produrre un quadro coerente della città, come osserva Max Bach:
Un grand poète, doué d’une imagination splendide, a écrit un drame étincelant de couleur locale. Il a, par son style, semé d’innombrables beautés sur un canevas plein de pittoresque, prouvant par là qu’il était le plus grand peintre que la littérature de son pays possédât. Cependant, la recherche archéologique qu’il voudrait avoir accomplie est fort loin d’être irréprochable. Elle se révèle très vite pour ce qu’elle est : un examen assez hâtif de plans détaillés, aide par une glane heureuse de citations et d’extraits bien utilises. Un archéologue accompli n’aurait probablement pas réussi à tirer a bien une telle entreprise.[3]
Il fine di Hugo non è infatti ricercare l’accuratezza archeologica, quanto restituire un’immagine viva della Parigi medioevale, in cui il lettore a lui contemporaneo possa specchiarsi e vedere riflesse, attraverso la lente offerta dal libro, le fondamenta mitologiche della realtà in cui vive.[4]
Il riferimento al presente, sin dalla prima riga del romanzo,[5] mostra la volontà di istituire un confronto con le modalità della vita collettiva del popolo nel passato, con una “très veridique histoire”.[6] Vero storico e vero poetico sono quindi compenetrati, in una continuità che attinge al passato per proiettarsi verso il futuro nel tentativo di produrre una nuova epica per la Modernità. Questa sintesi è però minata alla base dall’inattualità del genere epico in un mondo che ha superato l’epoca monumentale e, grazie alla possibilità offerta dalla stampa, si avvia verso uno sviluppo democratico che è ancora in fieri al momento della composizione del romanzo:
In our tumultuous age, however, Time can no longer be so effortlessly tamed. Becoming reigns supreme and has to reconquer and integrate Being; Literature must regenerate and assimilate the solidity of Architecture; the new Epic is bound to be a construction in which the modern Novel somehow incorporates the monolithic grandeur of the architectonic Epicity of old.[7]
Come nota Brombert, “il futuro è ancora più sacro del passato”,[8] e la rivoluzione mancata, simboleggiata dall’assalto dei truands alla cattedrale dei capitoli IV – VII del libro X, è rimandata, così come nel presente dell’autore i moti parigini del 1830 avevano portato alla monarchia costituzionale, ma non a una reale partecipazione democratica al governo del paese:
l’unione di mito e storia suggerisce uno sguardo in due direzioni: ciò che deve ancora avvenire, infatti, in realtà è già accaduto. […] Nella stessa pagina si dice che l’ora del popolo non è ancora giunta (“l’heure du peuple n’est pas venue”) e che verrà (“Vous l’entendrez sonner”). Le due frasi hanno un diverso suono, se vengono lette dal punto di vista fittizio del 1482 oppure dal punto di vista dell’autore e del lettore, dopo l’incompiuta Rivoluzione di Luglio.[9]
L’aspirazione epica è ricercata tramite una struttura che alterna uno sviluppo lineare alla ripresa ciclica di nuclei tematici e momenti di digressione, in una tensione fra sviluppo drammatico dell’azione e la sua ripetuta interruzione, secondo modalità più simili a quelle del poema classico.[10]

2. La storia come problema in Hugo
Hugo affronta la storia come poeta, fondando la sua epica della nascita della modernità su di una ricostruzione solida del passato, in un doppio movimento che chiama in causa il fruitore del testo: “Notre-Dame de Paris guarda sia avanti che indietro e costringe il lettore – specialmente il lettore del 1830 – a pensare la storia come problema, più che come resoconto di avvenimenti e personaggi”.[11]
Il romanzo resiste alla tendenza storiografica alla linearità, istituendo una “temporalità multipla”,[12] ricercando oltre la successione storica la possibilità dell’uomo di realizzarsi: “La storia […] da ultimo deve dileguare per far posto a valori metastorici”.[13] Né il passato né lo sviluppo storico sono visti positivamente a priori, ma al centro del romanzo si dipana una vicenda di cui è messa in luce la partecipazione dei suoi protagonisti ad eventi più grandi di loro e il coinvolgimento degli stessi in fenomeni di lunga durata.[14]
Il tema dell’azione umana quale espressione della propria libertà è contrastato da quello della fatalità. Nella prefazione Hugo afferma di aver trovato, graffita su un muro di una torre della cattedrale, la parola ἈΝÁΓΚΗ, e di aver costruito su questa iscrizione il resto del romanzo. La parola sarebbe però stata cancellata al momento della pubblicazione del romanzo, subendo essa stessa il proprio destino davanti alla storia:
Depuis, on a badigeonné ou gratté (je ne sais plus lequel) le mur et l’inscription a disparu. Car c’est ainsi qu’on agit depuis tantôt deux cents ans avec les merveilleuses églises du moyen age. Les mutilations leur viennent de toutes parts, du dedans comme du dehors. […]
Ainsi, hormis le fragile souvenir que lui consacre ici l’auteur de ce livre, il ne reste plus rien aujourd’hui du mot mystérieux gravé dans la sombre tour de Notre-Dame, rien de la destinée inconnue qu’il résumait si mélancoliquement. L’homme qui a écrit ce mot sur ce mur s’est effacé, il y a plusieurs siècles, du milieu des générations, le mot s’est à son tour effacé du mur de l’église, l’église elle-même s’effacera bientôt peut-être de la terre.[15]
Fondare il romanzo su una parola cancellata appare quindi come una scelta paradossale, ma in linea con la concezione autoriale della superiorità dell’arte sulla storiografia, limitata dal dover ricorrere al documento. Come nel primo capitolo Hugo può portare il lettore dentro la Grand’Salle del Palais de Justice, edificio distrutto dalla storia ma ricostruito attraverso il romanzo, così egli può raccontare la vicenda dietro un’iscrizione forse mai esistita e inventata per il libro, ma non per questo meno vera agli occhi dell’autore. La distruzione è lo stimolo per la produzione del nuovo, mediante un recupero del passato che non si illude di poterlo restaurare attraverso la ricerca o la documentazione, ma mira a ricrearlo tramite la parola poetica.
Nel movimento storico raffigurato da Hugo “I concetti di conservazione e trasformazione sembrano mescolarsi”,[16] con un ruolo decisivo attribuito all’uomo, che crea e distrugge inevitabilmente. A questo ciclo naturale, in cui rientra la normale erosione prodotta dalla storia, si aggiunge l’intervento attivo dell’uomo nelle pratiche di demolizione e nei restauri. Nel capitolo I del libro III, parlando dell’arte gotica, l’autore sostiene che “Cet art magnifique que les vandales avaient produit, les académies l’ont tué. Aux siècles, aux révolutions qui dévastent du moins avec impartialité et grandeur, est venue s’adjoindre la nuée des architectes d’école.”[17]
La concezione della storia di Hugo appare, in conclusione, come moderna nella sua ambivalenza, caratterizzata da una fiducia nelle possibilità del futuro, ma priva di ottimismo cieco. Il progresso è sempre in discussione e va continuamente riconquistato, in una prospettiva che ha portato Bradley Stephens a definire l’autore come protomodernista:
The future for Hugo is always left in play, even if man has ‘awakened’. It is as yet unformed, resistant, although crucially not immune, to the very repetition of past ideological schemas that have blocked the revolutionary consciousness. The critical radar monitoring the nineteenth century has in fact picked up a signal of positive correlation between Benjamin and Hugo so conspicuous that it demands attention, although so faint that it barely registers. Ariane Smart underlines the ambiguity in Hugo’s outlook between hope and despair, stressing the ‘common anguished imaginary’ that links his aesthetics to those of Baudelaire. This anxiety makes it possible to ‘reread Hugo as a modernist […][18]
Nel paragrafo conclusivo si esamineranno quindi le due digressioni maggiori del romanzo, costituite dai libri III e V, in cui l’autore delinea le potenzialità insite nell’Età moderna tramite l’analisi del cambio di paradigma che conclude il Medioevo, dovuto al passaggio dell’espressione della collettività dall’architettura al libro stampato.
3. La transizione verso l’età moderna
Il 1482 fu il penultimo anno del regno di Luigi XI, durante il quale il potere feudale in Francia venne definitivamente superato. Si tratta quindi di un momento di cambiamento, ma ancora a metà fra due epoche: “Gli ultimi anni del XV secolo fanno quindi da cerniera, costituiscono un momento di passaggio entro il dramma più vasto della storia”.[19]
Il tema della svolta verso un nuovo periodo della storia umana si concretizza nel romanzo nell’immagine della cattedrale di Notre-Dame, essa stessa “édifice de la transition” fra stile romanico e gotico.[20] Essa diviene il cronotopo che agisce da forza centripeta sulle vicende del libro:
La dimension spatio-temporelle de la cathédrale dans Notre-Dame de Paris – son chronotope – qui rend visibles les passages entre espaces opposés ainsi que la transition entre les temporalités, fournit en effet la clef à toute l’action, ainsi qu’à tout le symbolisme du roman.[21]
Nel capitolo I del libro III Hugo afferma che l’architettura è stata a lungo il libro collettivo dell’umanità, capace di esprimere e dare forma concreta alla vicenda del popolo che l’ha prodotta: “L’homme, l’artiste, l’individu s’effacent sur ces grandes masses sans nom d’auteur ; l’intelligence humaine s’y resume et s’y totalise. Le temps est l’architecte, le peuple est le maçon”.[22] Si tratta di un libro fatto di simboli da decifrare, la cui chiave di lettura è nelle mani di pochi detentori di un potere interpretativo non contrastabile.
L’arcidiacono Claude Frollo diventa nel romanzo il portavoce di queste preoccupazioni, pronunciando la sentenza di morte del monopolio della casta degli interpreti ufficiali della conoscenza nel capitolo I del libro V. Con l’affermazione “Ceci tuera cela”,[23] cui l’autore dedica una lunga digressione nel capitolo successivo, viene introdotto il tema del sapere democratico che viene reso possibile dall’invenzione della stampa.
Non si ha più quindi il libro di pietra, espressione simbolica di un sapere iniziatico, ma il libro stampato, riproducibile a prezzo relativamente contenuto e sempre uguale, compatibilmente con i limiti tecnologici del periodo, a sé stesso.
Se l’architettura, nella sua espressione monumentale di una collettività, è in definitiva destinata a subire l’azione del tempo e venire da essa degradata, la stampa si afferma come più durevole grazie alla propria riproducibilità tecnica:
La pensée humaine découvre un moyen de se perpétuer non seulement plus durable et plus résistant que l’architecture, mais encore plus simple et plus facile. L’architecture est détrônée. […]
L’invention de l’imprimerie est le plus grand événement de l’histoire. C’est la révolution mère.[24]
La possibilità principale offerta dalla stampa è quindi per Hugo quella di un sapere democratico, accessibile alla collettività e interpretabile senza il bisogno di un gruppo di intermediari. Con l’istruzione il popolo ottiene la possibilità di entrare nella storia, ed è in questo che consiste per l’autore il carattere decisivo della transizione verso la Modernità.

Bibliografia
Testi primari
Hugo, Victor, Notre-Dame de Paris, ed. Benedikte Andersson, Parigi, Gallimard, 2009.
Hugo, Victor, Notre-Dame de Paris, trad. it. Gabriella Leto, Milano, Mondadori, 2016.
Testi critici
Brombert, Victor, “Introduzione” in Hugo, Victor, Notre-Dame de Paris, trad. it. Gabriella Leto, Milano, Mondadori, 2016, pp. V-LV.
Holdheim, W. Wolfgang, “The History of Art in Victor Hugo’s Notre-Dame de Paris” in Nineteenth-Century French Studies, 5, 1, Lincoln, Nebraska, University of Nebraska Press, autunno-inverno 1976-77, pp. 58-70.
Mouton, Marguerite, “Notre-Dame de Paris ou la continuation de l’épique par d’autres moyens”, in Romantisme, 172, 2, Malakoff, Armand Colin, 2016, pp. 26 – 34.
Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, trad. it. Sossio Giametta, Milano, Adelphi, 1974.
Stephens, Bradley, “Reading Walter Benjamin’s Concept of the Ruin in Victor Hugo’s Notre-Dame de Paris”, in French Studies: A Quarterly Review, 61, 2, Liverpool, aprile 2007, pp. 155-166.
[1] F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, trad. it. Sossio Giametta, Milano, Adelphi, 1974, pp. 24 – 28.
[2] Ibidem.
[3] M. Bach, “Le vieux Paris dans Notre-Dame: sources et ressources de Victor Hugo” in PMLA, 80, 4, New York City, New York, 1965, p. 324.
[4] J. Spires, “Victor Hugo’s Notre-Dame de Paris: The Politics and Poetics of Transition”, in Dalhousie French Studies, 61, Halifax, Nova Scotia, Inverno 2002, p. 42.
[5] “Il y a aujourd’hui trois cents quarante-huit ans six mois et dix-neuf jours que les Parisiens s’éveillèrent au bruit de toutes les cloches sonnant à grande volée dans la triple enceinte de la Cité, de l’Université et de la Ville.
Ce n’est cependant un jour dont l’histoire ait gardé souvenir que le 6 janvier 1482.”, V. Hugo, Notre-Dame de Paris, ed. Benedikte Andersson, Parigi, Gallimard, 2009, p. 67.
[6] Ivi, p. 82.
[7] W. W. Holdheim, “The History of Art in Victor Hugo’s Notre-Dame de Paris” in Nineteenth-Century French Studies, 5, 1, Lincoln, Nebraska, University of Nebraska Press, autunno-inverno 1976-77, pp. 69 – 70.
[8] V. Brombert, “Introduzione”, in V. Hugo, Notre-Dame de Paris, trad. it. Gabriella Leto, Milano, Mondadori, 2016., p. XVI.
[9] V. Brombert, Ivi, pp. XXXIII-XXXIV.
[10] M. Mouton, “Notre-Dame de Paris ou la continuation de l’épique par d’autres moyens”, in Romantisme, 172, 2, Malakoff, Armand Colin, 2016, p. 29.
[11] V. Brombert, “Introduzione”, cit., p. L.
[12] Ibidem.
[13] Ivi, p. LIV.
[14] W. W. Holdheim, “The History of Art in Victor Hugo’s Notre-Dame de Paris”, cit., pp. 60 – 62.
[15] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, cit., pp. 59 – 60.
[16] V. brombert, “Introduzione”, cit. p. VIII.
[17] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, cit. p. 197.
[18] B. Stephens, “Reading Walter Benjamin’s Concept of the Ruin in Victor Hugo’s Notre-Dame de Paris”, in French Studies: A Quarterly Review, 61, 2, Liverpool, aprile 2007, p. 159.
[19] V. Brombert, “Introduzione”, cit., p. XIII.
[20] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, cit., p. 199.
[21] J. Best, “Pour une définition du chronotope : l’exemple de Notre-Dame de Paris” in Revue d’Histoire littéraire de la France, 89, 6, Parigi, Presses Universitaires de France, Nov. – Dec., 1989, p. 978.
[22] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, cit., p. 201.
[23] Ivi, p. 279.
[24] Ivi, p. 290.