Citato in
Potassio, SP, I: 900Passo
L’interno dell’Istituto di Fisica Sperimentale era pieno di polvere e di fantasmi secolari. C’erano file di armadi a vetri zeppi di foglietti ingialliti e mangiati da topi e tarme: erano osservazioni di eclissi, registrazioni di terremoti, bollettini meteorologici bene addietro nel secolo scorso. Lungo la parete di un corridoio trovai una straordinaria tromba, lunga più di dieci metri, di cui nessuno sapeva più l’origine, lo scopo e l’uso: forse per annunciare il giorno del Giudizio, in cui tutto ciò che si asconde apparirà. C’era una eolipila in stile Secessione, una fontana di Erone, e tutta una fauna obsoleta e prolissa di aggeggi destinati da generazioni alle dimostrazioni in aula: una forma patetica ed ingenua di fisica minore, in cui conta più la coreografia del concetto.
*
Potassio è tra i più famosi e citati racconti che compongono il Sistema periodico. È la cronaca degli anni dell’apprendistato chimico di Levi, in particolare all’indomani dell’avvento delle leggi razziali promosse dal regime fascista: il giovane studente di chimica, ebreo suo malgrado, non riesce a trovare nessun professore tramite cui poter davvero imparare qualcosa, fare gli esperimenti giusti, cimentarsi in compiti difficili per apprendere quanto più possibile durante un periodo tanto ricco di ispirazioni. Fuori dalle mura dell’Istituto di chimica, per parafrasare una definizione sempre dal Sistema periodico, la situazione era buia, ma ancor di più lo era in Europa: era il 1941 e la deportazione nazista aveva già preso inizio. Il quadro politico era raccapricciante: lo strapotere della Germania andava crescendo sempre di più, nella speranza di poter conquistare sempre più territori, a partire dalla Polonia. Gli ebrei italiani, nella fattispecie e quelli torinesi, erano però vittime di quella che Levi definisce “cecità volontaria”: continuavano a condurre le proprie esistenze regolarmente, non volevano essere vittime di preoccupazioni ingestibili, di cui nemmeno lontanamente avrebbero immaginato le conseguenze, e continuavano a vivere la propria vita senza curarsi di cosa succedeva in Europa. C’erano fonti che lo affermavano, certo, ma mancava il desiderio di conoscerle davvero, e di organizzarsi di conseguenza; mancava addirittura il desiderio di opporsi ad un regime tanto stretto quanto quello fascista, nonostante impedisse agli ebrei di vivere davvero al pari degli altri.
Anche il giovane Levi: completamente (e volutamente) ignaro delle possibili conseguenze che verso cui il suo destino lo avrebbe condotto, era preoccupato di trovare un buon lavoro che gli permettesse di guadagnare abbastanza da condurre una vita agiata, esattamente come giustificavano ai suoi occhi i modelli della piccola borghesia torinese, tra cui in particolare i suoi genitori. Per farlo, sapeva bene che doveva diventare un tecnico bravo e capace, e che quindi si sarebbe dovuto laureare con un’ottima votazione all’università. Suo malgrado, a causa delle leggi razziali nessun professore era intenzionato a prenderlo come proprio tesista. Ci sarebbe dunque stato il suo maestro?
Proprio l’Assistente (al secolo Nicolò Dallaporta): specializzato in astrofisica, “il regno dell’inconoscibile” come lo chiamava, iniziò Levi ad una disciplina quasi esoterica, di cui soltanto pochi adepti potevano intendersi davvero. Era insomma la figura esperita che il giovane assetato di sapere stava aspettando; e lo divenne ufficialmente – o quasi – quando propose a Primo di collaborare con lui. Così il discepolo poté avere accesso, in veste inconsueta, all’edificio in cui entrava soltanto come studente: l’Istituto di Fisica Sperimentale, dove l’Assistente aveva il suo microscopico ufficio (in realtà un ripostiglio riadattato), sarebbe stato il loro rifugio alle asperità della Storia che sconquassavano l’Europa, fuori da quelle spesse mura.
L’estratto sopracitato ne descrive l’interno più che l’esterno, e favorisce l’immagine di una gigantesca arca piena di utilissima strumentazione, seppur datata, arcaica e vetusta, piena di polvere e inutilizzata. Qualche pagina più avanti si legge la rassegna di un’incursione vera e propria alla ricerca del necessario: l’Assistente propose a Levi di verificare la parte chimica di una rivoluzionaria teoria fisica di cui era venuto a conoscenza; per farlo, avrebbe dovuto avviare una serie di esperimenti volti alla ricreazione e all’osservazione delle condizioni. Ancora una volta l’interno dell’edificio, sfiancato dai bombardamenti e impoverito dal regime autarchico che limitava i rifornimenti (siamo nel 1941), viene presentato come un catasto pieno di oggetti misteriosi e curiosi segnati dal passaggio del tempo, tra i quali il giovane chimico deve agilmente destreggiarsi per trovare ciò che gli serve per superare la prova: «Frugai invano il ventre dell’Istituto: trovai dozzine di ampolle etichettate, come Astolfo sulla Luna, centinaia di composti astrusi, altri vaghi sedimenti anonimi apparentemente non toccati da generazioni, ma sodio niente. Trovai invece una boccetta di potassio: il potassio è gemello del sodio, perciò me ne impadronii e ritornai al mio eremitaggio» (Potassio, SP, I: 903).
A questa descrizione segue un’appassionante cronaca dell’esperimento (con l’avvincente e genuina trattazione filosofica della distillazione) che termina in un elogio mascherato di quella «chimica impastata di puzze, scoppi e piccoli misteri futili» (Potassio, SP, I: 905) che Levi avrebbe praticato per tutta la vita. Pur sciocca e inutile agli occhi dell’Assistente, per il giovane Levi la rivelazione di quell’attimo fu letteralmente a base chimica: questa affascinante disciplina è un sapere esatto, preciso, necessario e fortemente morale (poiché dal comportamento degli elementi l’uomo può trarre importanti lezioni).