Archivi categoria: Letture

Marachelle contemporanee: la rivolta delle bisbetiche

di Marianna Pandolfo

Marianna Pandolfo racconta l’intreccio fra la figura storica della bisbetica e la donna contemporanea. Partendo dall’album brat di Charli XCX, questo testo riflette sull’immagine della ‘ragazzaccia’ e sulla figura storica della bisbetica, riletta in chiave contemporanea. Attraverso riferimenti culturali, letterari e pop, si esplora il modo in cui le donne oggi sfidano le aspettative sociali, rifiutando l’addomesticamento. Il parallelismo con Caterina de La bisbetica domata diventa simbolo di ribellione e orgoglio femminile, è un inno alla sorellanza, alla libertà di esprimersi, alla disobbedienza come atto di consapevolezza.

Nell’estate del 2023, Charli XCX, cantante pop britannica, ha pubblicato un album intitolato brat. Il tema centrale è l’essere una ragazza: si parla di amicizia, sorellanza e del costante paragone tra donne, spesso irrazionale e inevitabile, ma che finisce per generare dolore e insicurezza. “Brat” è un termine che indica una ragazza indisciplinata, rissosa, dispettosa. Una ragazzaccia, insomma. Le sue marachelle sono, ovviamente, tutte dirette ai maschi —
 i veri “nemici”.
È un gioco o una messinscena? Di certo, c’è la volontà di allargare i confini dell’umorismo e spingersi oltre (avviso per il pubblico maschile).
Per questo ho voluto riconoscere a Charli XCX il merito di aver lasciato un’impronta culturale che va ben oltre una semplice tendenza passeggera: la sua opera interpreta con lucidità lo zeitgeist contemporaneo, attraverso una comunicazione mirata ed efficace.

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❧ SEGNALE 11 “Imperialismi” Pierre Bourdieu

Quindi il significato e la funzione di un’opera straniera sono determinati dal campo di accoglienza almeno quanto da quello d’origine. […] perché il trasferimento da un  campo nazionale a un altro avviene attraverso una serie di operazioni sociali: un’operazione di selezione (cosa si traduce? Cosa si pubblica? Chi traduce? Chi pubblica?); un’operazione di «marcatura» (di un prodotto precedentemente «degriffato») attraverso la casa editrice, la collana, il traduttore e il prefatore. Quest’ultimo presenta l’opera appropriandosene, annettendola alla propria visione.

P. Bourdieu “La circolazione internazionale delle idee” in id. Imperialismi, Roma-Macerata: Quodlibet, 2025 p. 82

Pierre Bourdieu (1930-2002) è uno dei più influenti e citati sociologi del Novecento. Spesso citato – suo malgrado – come parte del triumvirato postmodernista insieme a Foucault e Derrida, ha dato un contributo originale al ragionamento di svariate discipline umanistiche. In ambito letterario la sua teoria dei campi ha cambiato il modo di relazionarsi alla letteratura come prodotto, mediando tra le interpretazioni “interne” (lo strutturalismo, la critica idealistica) e quelle “esterne” (il marxismo, la critica psicanalitica). Il suo programma di studio prevedeva una collaborazione transnazionale e transdisciplinare che ben si coniuga con gli studi comparatistici. 

Questo volume, curato dai suoi allievi Jérome Bourdieu, Franck Poupeau e Gisèle Sapiro (rispettivamente rappresentati dell’eredità lasciata nell’ambito degli studi economici, politici e letterari) e tradotto dalla sua più fedele mediatrice italiana, Anna Boschetti, rappresenta la raccolta di alcuni dei saggi più significativi della ricerca sui rapporti transnazionali. I saggi, e in particolare quelli di argomento letterario, possono mostrare una tipologia di comparatismo originale e (come ben rappresentato dalla bibliografia degli studi ispirati da Bourdieu presentata in calce al volume, alle pp. 217-224) più viva che mai.

❧ SEGNALE 10 “Morfologia del romanzo” Holst Katsma

Resta interessante osservare come l’emergente morfologia spaziale del romanzo – la novità di capitoli, paragrafi e virgolette – abbia reindirizzato abitudini ancestrali e modelli di pensiero, trasformando la nostra capacità di immaginare le voci e lo scorrere del tempo; andando a plasmare, di volta in volta, le nostre stesse teorie su avvenimenti, pensieri e persone. Non dobbiamo mai dimenticare che il romanzo appartiene a un insieme di generi che sono più giovani della scrittura e del libro, e che partecipano al tentativo di espandere l’immaginazione verbale attraverso la scrittura. La morfologia spaziale è quindi di centrale importanza per l’evoluzione del romanzo

H. Kastma, Morfologia del romanzo, Milano: Nottetempo, 2025

Morfologia del romanzo è la tesi di dottorato di Holst Katsma, edita in Italia da Nottetempo, nella collana “Extrema Ratio” – collezione che raccoglie studi capitali della teoria letteraria e della letteratura comparata insieme a testi inediti di studiosi contemporanei italiani e stranieri – grazie alla curatela di Tiziano de Marino. Come recita l’explicit della postfazione di Franco Moretti – advisor e faro teorico dell’autore – Morfologia del romanzo è «un modello di creatività scientifica». Vale a dire che quello di Katsma è un testo eterodosso per metodo, coraggioso per le idee che lo sottendono ed eccentrico per lo stile che lo compone. La tesi di fondo – semplificando di molto –  è che la lingua e le strutture mentali ed epistemologiche del romanzo siano informate dagli aspetti morfologici-tipografici dei testi. Di conseguenza, indagando le mutazioni morfologiche è possibile indagare le strutture dell’immaginario. Ovviamente è possibile farlo attraverso le tecniche quantitative e statistiche del distant reading morettiano. Lo stile di Katsma, infine, risulta eccentrico perché assai poco accademico: sempre enfatico, spesso metaforico, talvolta addirittura intimo. Insomma uno studente di Letterature comparate potrà trovare in questo volume un’interpretazione originale della produzione teorica e accademica, oltre che un interessante incrocio di due eterodossie teoriche: il material turn e il distant reading.

Il «visibile parlare» in Tasso. Un percorso ecfrastico dalle prime Rime alle ultime Rime Sacre, con un’incursione nella Gerusalemme Liberata.

di Silvia Fedele

Silvia Fedele, in questo contributo, esplora il percorso ekfrastico nella produzione poetica di Torquato Tasso. Il saggio segue le prime prove poetiche della giovinezza, con le sperimentazioni nelle forme classiche dell’ekphrasis tardo rinascimentale, fino alla fase conclusiva della produzione, soffermandosi sul rapporto fra arte figurativa e verità dopo la Controriforma e su come questo influenzi non solo gli artisti, ma anche i letterati che si cimentano in descrizioni ekfrastiche.

I. Introduzione. L’ekphrasis nella letteratura tardo rinascimentale: alcuni casi emblematici

Nel decimo canto del Purgatorio Dante e Virgilio, dopo averne oltrepassato la porta, si fermano su un’altura deserta e osservano rilievi marmorei che rappresentano esempi di umiltà, destinati a insegnare le anime dei superbi. Le sculture, perfette in quanto opere dirette da Dio, includono l’Annunciazione di Maria, il re David che danza umilmente davanti all’Arca, e l’imperatore Traiano che, fermandosi a vendicare una vedova, dimostra che la vera grandezza sta nel compiere umilmente il proprio dovere. Queste immagini sono talmente perfette da far invidia al grande scultore classico Policleto. L’arte, in questo caso di derivazione divina, è capace di evocare un linguaggio che trascende la sua dimensione visibile e si fa voce – il visibile parlare, appunto, una fortunata espressione dantesca che racchiude in sé l’essenza del dispositivo ecfrastico.

Pertanto, il concetto di ekphrasis, inteso come la descrizione di un’opera d’arte visiva all’interno di un’opera letteraria, ha radici profonde nella tradizione italiana – sebbene fosse una pratica discorsiva presente già in Omero. «Words about an image, itself often embedded in a larger text»[1], potremmo dire, immagini parlanti grazie all’intermediazione del poeta.  

Nel corso del Cinquecento, il procedimento ecfrastico interroga concretamente le possibilità espressive del linguaggio. Il tardo Rinascimento, infatti, vede il fiorire del dibattito estetico sulla potenzialità della parola, ben limitata se comparata alla resa immediata dell’arte pittorica. Tuttavia, Elena Paroli afferma che la riflessione cinquecentesca sulla poesia come una «pittura cieca» riprende un dibattito nato già in seno alla cultura greca: la studiosa puntualizza come «il concetto di “cecità” della poesia abbia assunto un carattere ambiguo sin dall’Antichità; Virgilio, introducendo l’ekphrasis dello scudo di Enea – una descrizione che consta di un centinaio di versi! – definisce l’oggetto in questione come “non enarrabile”»[2].  La letteratura si trova così a dover affrontare una sfida ardua: come rendere visibile il mondo fenomenico con la parola, seppur priva di una sua “materialità” come quella della pittura?

Il cuore della questione risiede nella componente emotiva che investe tanto l’autore quanto il lettore. Il procedimento ecfrastico non si limita a narrare l’opera d’arte presa in esame, ma amplifica e trasmette l’emozione che l’arte visiva suscita in chi la contempla. Secondo Paroli, infatti, «il genere ecfrastico, lungi dal limitarsi a “narrare” l’opera, ne allarga il raggio d’azione emozionale: in un gioco di specchi, lo scrittore di ekphrasis trasmette al lettore tanto l’emozione insita nelle figure che le emozioni che egli stesso percepisce alla vista di quelle figure»[3]. L’ekphrasis non è dunque un semplice esercizio descrittivo, ma un modo per ricostruire la vivacità dell’immagine sulla pagina, per renderla “parlante”. Un’interpretazione che si esplica nel continuo attraversamento tra la dimensione visiva dell’opera e quella emotiva dell’osservatore. La riflessione che emerge da questo confronto si concentra sul concetto di enargheia, ossia la capacità di far apparire l’immagine davanti agli occhi del lettore, un termine ripreso dall’ekphrasis per come era concepita nel mondo classico[4]. In effetti, la difficoltà per la letteratura risiede proprio nel rendere la vivezza dell’immagine pittorica: mentre la pittura può esprimere i moti esterni del corpo, la poesia si dedica piuttosto ai moti interiori, alle emozioni nascoste. L’arte letteraria è così chiamata a esplorare quei «moti dell’animo» che non sono visibili nella superficie dell’immagine, ma che ne costituiscono il vero contenuto emotivo. La parola diventa uno strumento che non solo replica la realtà, ma ne fa emergere nuove potenzialità espressive. Come sostiene ancora Paroli: «La descrizione non è più ancella della pittura ma strumento che fa dire all’immagine ciò che essa da sola non dice»[5]. In questo senso, l’ekphrasis si fa veicolo di un’emozione condivisa, capace di arricchire l’immagine con una dimensione interiore che da sola l’opera visiva non può trasmettere.

L’opera tassiana si inserisce perfettamente entro il discorso della trattatistica estetica cinquecentesca, tanto più che quasi tutte le opere del poeta ospitano riflessioni sulla bellezza, con particolare riguardo alle teorie antiche ma anche alle riflessioni coeve. E non mancano puntuali riferimenti all’arte propriamente detta, in particolare alla pittura. Come nota Ambra Carta, infatti, «non mancano nell’opera tassiana, dai giovanili Discorsi dell’arte poetica ai più tardi Discorsi del poema eroico, dalle Rime al Mondo Creato, attraverso i Dialoghi, numerosi riferimenti alle teorie sulla bellezza, alla pittura, al confronto tra gli strumenti del poeta e quelli del pittore, che provano, come già i contemporanei di Tasso notavano, la conoscenza da parte del poeta dei trattati sulle teorie dell’arte e l’utilizzo di un vocabolario tecnico derivato dalla pittura, dalla musica e dalla scultura»[6]. Il discorso ecfrastico risulta tutt’altro che marginale o episodico all’interno dell’officina poetica del Tasso, tanto più che lo stesso poeta rivendicava con forza il carattere narrativo e non digressivo delle ekphráseis nel momento in cui dovette difendere la scelta di inserire ampie descrizioni di immagini all’interno della Gerusalemme Liberata[7].

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Notre-Dame de Paris fra romanzo storico ed epica moderna

di Samuele Schirru

In questa “lettura” Samuele Schirru riflette sulla tensione fra modalità epiche, storiche e romanzesche in Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, mettendo in luce la prospettiva mitografica che l’autore adotta per narrare la nascita dell’epoca moderna.

Victor Hugo affronta in Notre-Dame de Paris il romanzo storico in modo apparentemente tradizionale, radicando le vicende dei suoi personaggi nel contesto designato grazie a ricerche d’archivio e ad un tentativo di ricostruzione minuziosa della città di Parigi, descrivendone edifici, abitanti e costumi. A questa dimensione storiografica apparentemente antiquaria, nella connotazione data a questo termine da Friedrich Nietzsche, è però affiancata una lettura della storia che va oltre il mero resoconto dei fatti, che mira ad interrogare gli avvenimenti sul loro significato per il presente, in particolare per i lettori degli anni Trenta dell’Ottocento. Il 1482, anno identificato come punto di transizione fra Medioevo ed Età moderna in Francia, viene letto in una prospettiva mitografica che mira a identificarne gli elementi fondativi per il presente dell’autore e dei suoi primi lettori.

Questo saggio si propone di mettere in luce le principali direttrici di questo processo, delineato nel romanzo attraverso le persistenti metafore architettoniche, che identificano nella storia un processo di creazione attraverso la costruzione continua su fondamenta preesistenti, che possono essere alternativamente distrutte, ricostruite o coperte da nuovi edifici, con particolare attenzione alla riflessione di Hugo sul ruolo della nascita della stampa nella creazione della concezione moderna della storia.

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