di Silvia Fedele
Silvia Fedele, in questo contributo, esplora il percorso ekfrastico nella produzione poetica di Torquato Tasso. Il saggio segue le prime prove poetiche della giovinezza, con le sperimentazioni nelle forme classiche dell’ekphrasis tardo rinascimentale, fino alla fase conclusiva della produzione, soffermandosi sul rapporto fra arte figurativa e verità dopo la Controriforma e su come questo influenzi non solo gli artisti, ma anche i letterati che si cimentano in descrizioni ekfrastiche.
☙
I. Introduzione. L’ekphrasis nella letteratura tardo rinascimentale: alcuni casi emblematici
Nel decimo canto del Purgatorio Dante e Virgilio, dopo averne oltrepassato la porta, si fermano su un’altura deserta e osservano rilievi marmorei che rappresentano esempi di umiltà, destinati a insegnare le anime dei superbi. Le sculture, perfette in quanto opere dirette da Dio, includono l’Annunciazione di Maria, il re David che danza umilmente davanti all’Arca, e l’imperatore Traiano che, fermandosi a vendicare una vedova, dimostra che la vera grandezza sta nel compiere umilmente il proprio dovere. Queste immagini sono talmente perfette da far invidia al grande scultore classico Policleto. L’arte, in questo caso di derivazione divina, è capace di evocare un linguaggio che trascende la sua dimensione visibile e si fa voce – il visibile parlare, appunto, una fortunata espressione dantesca che racchiude in sé l’essenza del dispositivo ecfrastico.
Pertanto, il concetto di ekphrasis, inteso come la descrizione di un’opera d’arte visiva all’interno di un’opera letteraria, ha radici profonde nella tradizione italiana – sebbene fosse una pratica discorsiva presente già in Omero. «Words about an image, itself often embedded in a larger text»[1], potremmo dire, immagini parlanti grazie all’intermediazione del poeta.
Nel corso del Cinquecento, il procedimento ecfrastico interroga concretamente le possibilità espressive del linguaggio. Il tardo Rinascimento, infatti, vede il fiorire del dibattito estetico sulla potenzialità della parola, ben limitata se comparata alla resa immediata dell’arte pittorica. Tuttavia, Elena Paroli afferma che la riflessione cinquecentesca sulla poesia come una «pittura cieca» riprende un dibattito nato già in seno alla cultura greca: la studiosa puntualizza come «il concetto di “cecità” della poesia abbia assunto un carattere ambiguo sin dall’Antichità; Virgilio, introducendo l’ekphrasis dello scudo di Enea – una descrizione che consta di un centinaio di versi! – definisce l’oggetto in questione come “non enarrabile”»[2]. La letteratura si trova così a dover affrontare una sfida ardua: come rendere visibile il mondo fenomenico con la parola, seppur priva di una sua “materialità” come quella della pittura?
Il cuore della questione risiede nella componente emotiva che investe tanto l’autore quanto il lettore. Il procedimento ecfrastico non si limita a narrare l’opera d’arte presa in esame, ma amplifica e trasmette l’emozione che l’arte visiva suscita in chi la contempla. Secondo Paroli, infatti, «il genere ecfrastico, lungi dal limitarsi a “narrare” l’opera, ne allarga il raggio d’azione emozionale: in un gioco di specchi, lo scrittore di ekphrasis trasmette al lettore tanto l’emozione insita nelle figure che le emozioni che egli stesso percepisce alla vista di quelle figure»[3]. L’ekphrasis non è dunque un semplice esercizio descrittivo, ma un modo per ricostruire la vivacità dell’immagine sulla pagina, per renderla “parlante”. Un’interpretazione che si esplica nel continuo attraversamento tra la dimensione visiva dell’opera e quella emotiva dell’osservatore. La riflessione che emerge da questo confronto si concentra sul concetto di enargheia, ossia la capacità di far apparire l’immagine davanti agli occhi del lettore, un termine ripreso dall’ekphrasis per come era concepita nel mondo classico[4]. In effetti, la difficoltà per la letteratura risiede proprio nel rendere la vivezza dell’immagine pittorica: mentre la pittura può esprimere i moti esterni del corpo, la poesia si dedica piuttosto ai moti interiori, alle emozioni nascoste. L’arte letteraria è così chiamata a esplorare quei «moti dell’animo» che non sono visibili nella superficie dell’immagine, ma che ne costituiscono il vero contenuto emotivo. La parola diventa uno strumento che non solo replica la realtà, ma ne fa emergere nuove potenzialità espressive. Come sostiene ancora Paroli: «La descrizione non è più ancella della pittura ma strumento che fa dire all’immagine ciò che essa da sola non dice»[5]. In questo senso, l’ekphrasis si fa veicolo di un’emozione condivisa, capace di arricchire l’immagine con una dimensione interiore che da sola l’opera visiva non può trasmettere.
L’opera tassiana si inserisce perfettamente entro il discorso della trattatistica estetica cinquecentesca, tanto più che quasi tutte le opere del poeta ospitano riflessioni sulla bellezza, con particolare riguardo alle teorie antiche ma anche alle riflessioni coeve. E non mancano puntuali riferimenti all’arte propriamente detta, in particolare alla pittura. Come nota Ambra Carta, infatti, «non mancano nell’opera tassiana, dai giovanili Discorsi dell’arte poetica ai più tardi Discorsi del poema eroico, dalle Rime al Mondo Creato, attraverso i Dialoghi, numerosi riferimenti alle teorie sulla bellezza, alla pittura, al confronto tra gli strumenti del poeta e quelli del pittore, che provano, come già i contemporanei di Tasso notavano, la conoscenza da parte del poeta dei trattati sulle teorie dell’arte e l’utilizzo di un vocabolario tecnico derivato dalla pittura, dalla musica e dalla scultura»[6]. Il discorso ecfrastico risulta tutt’altro che marginale o episodico all’interno dell’officina poetica del Tasso, tanto più che lo stesso poeta rivendicava con forza il carattere narrativo e non digressivo delle ekphráseis nel momento in cui dovette difendere la scelta di inserire ampie descrizioni di immagini all’interno della Gerusalemme Liberata[7].
Continua la lettura di Il «visibile parlare» in Tasso. Un percorso ecfrastico dalle prime Rime alle ultime Rime Sacre, con un’incursione nella Gerusalemme Liberata. →