C’era una volta una cavaliera

Irene Giovannini, in questa sua composizione, rielabora in chiave ironica e femminista il Venus and Adonis di William Shakespeare. Il testo è stato sviluppato nell’ottica del corso Scritture delle origini. Dal Rinascimento a Leopardi. Letterature comparate B, mod. 2, prof.ssa Chiara Lombardi.

Dal mio stupore nel vedere la dea dell’Amore supplicare colui di cui è innamorata di concederle attenzioni, oltre che dal mio personale interesse nell’approfondire e rivalutare il ruolo della donna nella società contemporanea, deriva la scelta di proporre una lettura della figura di Venere che abbracci in parte quella shakespeariana, ma che si ponga l’ambizioso obbiettivo di proporre una versione originale largamente indipendente dalla fonte. La figura femminile non viene elogiata per la sua bellezza, ma per forza, coraggio e determinazione. Al contrario, l’uomo si spoglia della tradizionale virtù per indossare i panni di un giovane narcisista, il cui atteggiamento richiama, in parte, quello di Adone. Ho, quindi, adottato il genere della favola per bambini, utilizzando l’ironia per evidenziare il ribaltamento dei ruoli tradizionali e rendere innovativo, e spero divertente, il racconto. Probabilmente se Shakespeare leggesse questa riscrittura, si indignerebbe. Tuttavia, se io potessi tornare alla condizione di spensierata infante quale ero, mi piacerebbe crescere capendo che essere fiere di sé stesse e credere nelle proprie capacità vale più di quanto non si pensi.

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C’era una volta una cavaliera[1]. Sì, avete capito bene: proprio una cavaliera! Armatura, elmo, un cavallo bianco e una spada: tutto ciò di cui bisogna essere dotati per affrontare un’avventura. Rosalinda[2] non era particolarmente bella né alta né magra, ma era coraggiosa, perspicace e, soprattutto, deteneva il record di migliore cacciatrice di draghi di tutta la valle di Sospiro Ventoso. Rosalinda non aveva paura di niente: era stata allevata nella Foresta del Tasso Puzzone[3] da una famigliola di lepri che, nonostante le volessero un gran bene, le avevano insegnato come cavarsela da sola e ad affrontare i pericoli. Pensate che a soli cinque giorni era già in grado di arrampicarsi sugli alberi e a sette giorni di domare un lupo cattivo! Quando divenne abbastanza grande per sconfiggere un Drago Fiammarossa, partì con il suo destriero, pronta a scoprire il magnifico mondo che si trovava oltre i confini della Foresta. Dovette resistere alle intemperie, attraversare mari e monti, sopravvivere alle insidie degli Gnomi Brutticeffi, fuggire da un Orco. Insomma, dimostrò innumerevoli volte il proprio coraggio.

Un giorno giunse alla corte di Re Igor il Pezzato. Il sovrano, che soffriva evidentemente di sudorazione eccessiva, la accolse con un ricco banchetto e alcuni omaggi: una forma di fontina, qualche pennacchio nuovo e un liuto realizzato per lei da Mastro Centomani. Rosalinda rimase soddisfatta dei doni ricevuti, anche se di quel liuto proprio non sapeva cosa farsene: l’unica cosa che sapeva suonare, e anche discretamente, era il guscio di tartaruga! Re Igor aspettò che Rosalinda terminasse il suo pasto: la giovane divorò otto cosce di pollo, trenta code di lucertola, cinque panini con la frittata di uova di rana e mezza torta a sei piani con la fragola. Poi, il sovrano le chiese il suo aiuto: da tempo una bestia feroce spaventava i cittadini del regno e divorava il bestiame. Ormai l’inverno era alle porte e la gente sarebbe morta di fame, se qualcuno non avesse sconfitto al più presto quel mostro. Rosalinda non ci pensò neanche un momento: avrebbe lottato contro la terribile bestia. In cambio, però, voleva che il re le permettesse di andare a vivere nella vecchia Torre che si ergeva sulla vetta Oltremare. Re Igor acconsentì, dal momento che la Torre stava cadendo a pezzi e nessuno avrebbe mai voluto abitarci. Fu così che Rosalinda, legato il liuto alla sella del cavallo, partì alla ricerca dell’orrenda fiera. Trascorse alcune notti in una caverna: accese un fuoco, andò a caccia e si impegnò a suonare quello strambo strumento. In poco tempo comprese che ogni corda, se pizzicata, produceva un suono diverso, a volte più acuto a volte più grave, e che se suonava in sequenza tutti i suoni poteva realizzare una dolce melodia. Rimase incantata dalla propria capacità di imparare così in fretta, da sola, l’arte della musica, a lei sconosciuta fino a qualche giorno prima. Si sentì fiera e soddisfatta di sé stessa, quasi come quando aveva sconfitto un Drago Aspirasangue. Con questa piacevole sensazione chiuse gli occhi e si riposò: l’indomani avrebbe affrontato una grande sfida.

L’audace cavaliera si alzò all’alba, indossò l’armatura e partì. Stava cavalcando da ore nella fitta boscaglia del Grande Bosco, quando sentì un agghiacciante verso provenire da poco distante. Dopo essere scesa da cavallo, legò il proprio destriero ad un albero e, munita di spada e liuto, si addentrò tra i rovi. Improvvisamente udì urla umane. Strizzò gli occhi per vedere meglio e rimase in silenzio per qualche minuto. Poi, lo vide: un giovane stava correndo a perdifiato e ad inseguirlo era un’orribile fiera a tre teste con le zanne da cinghiale e il corpo di scimmia[4]. Rosalinda corse verso il mostro, sguainando la sua spada; quello, accortosi della presenza della cavaliera, lasciò perdere il giovane e si scagliò contro di lei. Rosalinda, non appena gli fu abbastanza vicino da vederne gli occhi rossi come il sangue, tentò di trafiggerlo con la spada. Si accorse subito però che la pelle del mostro era troppo dura: niente avrebbe potuto scalfirla. La bestia nel frattempo tentava di scagliarle contro alcuni tronchi d’albero, ma l’astuta cavaliera era così veloce da riuscire a schivarli tutti. Rosalinda ebbe una rivelazione: le tradizionali tecniche cavalleresche non sarebbero servite in quel caso; doveva usare qualcosa di speciale, qualcosa che solamente lei era in grado di fare. Tirò fuori il liuto e iniziò a suonarlo. La bestia si acquietò, chiuse gli occhi e si accasciò a terra, dormiente. Fu in quel momento che Rosalinda sferrò il colpo finale: sollevò un enorme masso e lo scaraventò contro il mostro, schiacciandolo. La forzuta cavaliera esultò, sentendo crescere in lei l’orgoglio di essere riuscita a portare a termine anche quel difficile compito affidatole. Stava raccogliendo da terra la propria spada, quando il giovane che poco prima aveva visto scappare le si avvicinò. La cavaliera ne osservò per un istante il bel volto, impreziosito da incantevoli occhi castani e labbra corallo. Il ragazzo, dopo essersi aggiustato i capelli ricciolini e aver ripulito la giubba rossa che indossava, si presentò come Ascanio[5], figlio del re Sonbello Manonballo e della regina Bella Delreame. Ammiccando, ringraziò la cavaliera per aver sconfitto la temibile fiera e avergli salvato la vita, permettendogli così di partecipare al concorso di bellezza “Il principe che tutte vorrebbero”. Come ricompensa propose alla giovane di darle un dolce bacio e di farle l’onore di renderla la sua principessa. Stava già chinandosi verso la cavaliera per baciarla, quando questa lo colpì sulla testa con il liuto. Poi, si allontanò, lamentandosi della frivolezza dei principi d’oggi.

Rosalinda fece ritorno alla corte di re Igor il giorno stesso: era decisa ad ottenere la propria ricompensa e a godersi il meritato riposo. Giunta a palazzo e annunciata la vittoria, ricevette le congratulazioni di tutti e il sovrano le consegnò le chiavi della Torre di Oltremare. La cavaliera fremeva dalla gioia e non indugiò oltre. Sellato il suo destriero, raggiunse la sua nuova dimora, dalla quale da quel giorno, ogni sera, intonò canti soavi accompagnata dal suo liuto. E visse per sempre felice e… fiera di sé stessa.


[1] Nonostante il termine non sia presente sul vocabolario di lingua italiana, ho scelto di utilizzarlo per mettere in risalto il ribaltamento del ruolo femminile all’interno del racconto.

[2] La protagonista non è una donna bisognosa di amore o una dea, ma una coraggiosa cavaliera. Viene così ribaltata la struttura tradizionale sia della fiaba, che vuole l’uomo come eroe, sia del poemetto shakespeariano, visto il focus non sulle vicende amorose e sulla bellezza, ma sull’esaltazione delle proprie capacità.

[3] L’ambientazione non è più il locus amoenus descritto da Shakespeare, ma un bosco insidioso.

[4] Il cinghiale che assale e poi uccide Adone in Venus and Adonis viene qui sostituito da un’orribile fiera dall’aspetto multiforme.

[5] La descrizione del giovane riprende l’Adone nel dipinto di Tiziano, Venere e Adone ( olio su tela, 186 x 207 cm, 1553), oltre che l’atteggiamento di Narciso (Metamorfosi, Ovidio)

Bibliografia
Ovidio, Metamorfosi, tr. it. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2015
W. Shakespeare, Venus and Adonis, tr. it. di V. Malosti, Marco Valerio Editore, Torino, 2007
Tiziano, Venere e Adone, olio su tela, 186 x 207 cm, 1553

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