Corso Re Umberto 75

Citato in
La mia casa, 1982, poi in AM, II: 803-806

Passo
Abito da sempre (con involontarie interruzioni) nella casa in cui sono nato: il mio modo di abitare non è stato quindi oggetto di una scelta. […] La mia casa si caratterizza per la sua assenza di caratterizzazione. Assomiglia a molte altre case quasi signorili del primo Nove­ cento, costruite in mattoni poco prima dell’avvento irresistibile del cemento armato; è quasi priva di decorazioni, se si eccettuino alcune timide reminiscenze di Liberty nei fregi che sormontano le finestre e nelle porte in legno che dànno sulle scale. È disadorna e funzionale, inespressiva e solida: lo ha dimostrato durante l’ultimo conflitto, in cui ha sopportato tutti i bombardamenti cavandosela con qualche danno ai serramenti, e qualche screpolatura che porta tuttora con l’orgoglio con cui un veterano porta le cicatrici. Non ha ambizioni, è una macchina per abitare, possiede quasi tutto ciò che è essenziale per vivere, e quasi nulla di quanto è superfluo.

Con questa casa, e con l’alloggio in cui abito, ho un rapporto inavvertito ma profondo, come si ha con le persone con cui si è convissuto a lungo […].

Fonte: http://www.atlanteditorino.it/approfondimenti/ippocastano.html

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Questa è una delle parti centrali della Torino di Primo Levi: è il punto in cui iniziò e finì la sua vita, dove crebbe e visse ad eccezione dei periodi di lavoro fuori Torino, e ovviamente dell’oscura e vorticosa parentesi di Auschwitz. L’edificio è tanto importante che Levi vi dedica l’articolo iniziale dell’Altrui mestiere (pubblicato nel 1985), una delle sue più sentite e sincere prove di scrittura che racchiudono in sé tutta la bellezza del luogo (che sta, qui come nel detto, negli occhi di chi guarda).

Levi è chiaro: ammette sin da subito di sentirsi fortemente legato a quelle mura, tanto solide da resistere addirittura alla formidabile tempesta della Seconda Guerra Mondiale, e di sentirsi pienamente a proprio agio: ci sono, in particolare, tre similitudini di natura biologica che testimoniano questo legame. Nelle prime righe Levi scrive di sentirsi come «certi molluschi, ad esempio le patelle, che dopo un breve stadio larvale in cui nuotano liberamente, si fissano ad uno scoglio, secernono un guscio e non si muovono più per tutta la vita»: ecco il suo occhio entomologico che ritrova, nella natura delle cose, un correlativo in cui rispecchiarsi. In seguito, passa a dire che, se vi fosse separato (come tristemente gli toccò in sorte), si sentirebbe «come una pianta che venga trapiantata in un terreno a cui non è avvezza»: il metaforismo botanico di questa citazione richiama lo stesso di Cromo, nel Sistema periodico, dove questo paragone ricorre per indicare la stesura di Se questo è un uomo, quando Levi sperimenta appieno il potere catarticamente curativo della scrittura, grazie alla quale può esorcizzare i fantasmi del Lager. La terza similitudine si trova invece alla fine: «Abito a casa mia come abito all’interno della mia pelle: so di pelli più belle, più ampie, più resistenti, più pittoresche, ma mi sembrerebbe innaturale cambiarle con la mia». In queste parole, Levi suggella il sodalizio con uno dei suoi luoghi preferiti, il migliore per essere se stesso, che lo conosceva da tutta una vita, della quale fu costante punto di riferimento.

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