Scuola Ebraica

Citato in
Potassio, SP, I: 898

Passo
Ci radunavamo nella palestra del “Talmud Thorà”, della Scuola della Legge, come orgogliosamente si chiamava la vetusta scuola elementare ebraica, e ci insegnavamo a vicenda a ritrovare nella Bibbia la giustizia e l’ingiustizia e la forza che abbatte l’ingiustizia: a riconoscere in Assuero e in Nabucodonosor i nuovi oppressori. Ma dov’era Kadosh Barukhù, “il Santo, Benedetto sia Egli”, colui che spezza le catene degli schiavi e sommerge i carri degli Egizi? Colui che aveva dettato la Legge a Mosè, ed ispirato i liberatori Ezra e Neemia, non ispirava più nessuno, il cielo sopra noi era silenzioso e vuoto: lasciava sterminare i ghetti polacchi, e lentamente, confusamente, si faceva strada in noi l’idea che eravamo soli, che non avevamo alleati su cui contare, né in terra né in cielo, che la forza di resistere avremmo dovuto trovarla in noi stessi.

Fonte: https://www.hakeillah.com/5_15_18.htm

*

Tra tutti i racconti del Sistema periodico, Potassio è certamente uno di quelli che più risentono della Storia e del tempo in cui si inserisce la narrazione: nel corso di tutta la vicenda, diversi sono i riferimenti all’Europa, al mondo, e in particolare all’Italia di quegli anni, che stava vivendo l’anticamera della deportazione con le aspre e ingiuste leggi razziali. A Torino le differenze venivano fatte, tuttavia, quasi solo per quanto riguardava l’ossequioso e pedissequo rispetto delle regole, secondo come il regime voleva: c’era certo diffidenza che proveniva dai non ebrei, ma di certo Levi e i suoi compagni israeliti non venivano esiliati programmaticamente come succedeva laddove la morsa del razzismo strinse più ferocemente, esiliando gli ebrei dalla società e trattandoli come diversi, come subalterni. Per questo motivo la loro resistenza al Fascismo era nulla, era passiva, una sordida accettazione della situazione visto che non impediva poi così tanto che il quieto vivere potesse susseguirsi come di consueto.

Bisognava provvedere da sé a se stessi: e così fece la comunità ebraica locale, che, cavalcando l’iniziativa caldeggiata dai fratelli Artom, creò un’apposita scuola israelitica (nell’odierna piazzetta torinese dedicata a Levi, dove sorge oggi la sinagoga) in cui conversero i docenti (di scuola primaria e secondaria, ma anche universitari) che il regime andava scalzando delle loro posizioni pubbliche e lavorative. Così i giovani avrebbero ricevuto un’educazione rispettabile e corretta, e sarebbero loro stati trasmessi i valori della religione mosaica e dei padri fondatori, offrendo chiavi di interpretazione e comprensione di quanto stava accadendo. Non era un piano soltanto religioso, dunque, quello di Ennio ed Emanuele Artom, e con loro di tutta la comunità cittadina: quanto più reazionario, poiché nelle Sacre Scritture era possibile trovare una morale che offrisse sollievo, motivazione e che spiegasse come reagire alle oppressioni e ingiustificate discriminazioni che il popolo ebraico aveva sempre attratto a sé.

«Bisognava ricominciare dal niente “inventare” un nostro antifascismo, crearlo dal germe, dalle radici, dalle nostre radici. Cercavamo intorno a noi, e imboccavamo strade che portavano poco lontano. La Bibbia, Croce, la geometria, la fisica, ci apparivano fonti di certezza» (Potassio, SP, I: 898): e segue poi l’estratto succitato, in cui compare una galleria di nomi biblici che Levi e i suoi compagni tentano di ravvisare nei convolgimenti della storia a loro contemporanea. In questa maniera avrebbero forse potuto trovare dei numi tutelari che li aiutassero a decifrare le pieghe che quel tempo strano e pericoloso andava assumendo: con degli esempi che li aiutassero a riconoscere i paradigmi familiari del giusto e dello sbagliato, del buono e cattivo, pericoloso e amichevole, e che nel contempo provenissero dalla loro millenaria tradizione, quella che avevano dovuto imparare a memoria durante la loro giovinezza a cui ora potevano tentare di guardare alla ricerca di un appiglio.

Ma nulla sarebbe giunto da quella direzione, anzi i fatti stessi avrebbero contribuito ad aumentare il coefficiente della laicità di Levi, che ad Auschwitz avrebbe smesso una volta per tutte di credere in qualsiasi presenza superiore e provvidenziale: «il cielo sopra noi era silenzioso e vuoto», e qualsiasi presenza divina che potesse abitarlo e prestare aiuto alla specie umana non era lì per soccorrere nessuno. Avrebbe dovuto impegnarsi da sé, adoperarsi per riuscire a trovare una via per sopravvivere, per guardare il nazi-fascismo negli occhi con orgoglio e sicurezza, senza restarne fatalmente impietrito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.