Verrà la morte e avrà i miei occhi

Sara Staiti Sellitto, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva la figura di Loki dell’Edda, nell’ottica del corso Scritture delle origini. I miti e la scienza, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.  

In questa riscrittura ho cercato di rendere la sofferenza di Loki, incatenato in una grotta dopo la morte di Baldr. A dargli la forza per resistere sono il suo forte desiderio di vendetta nei confronti degli dèi che lo hanno punito e una profezia rivelata a Ódhinn.

*

Tic.

Una goccia mi brucia il viso e mi riga la guancia come una lacrima di veleno.

Tic.

Un’altra. Il dolore deve avermi stordito a tal punto che ho perso conoscenza; succede spesso ormai. A poco a poco riprendo i sensi, stringo i denti cercando di sopportare il dolore e non urlare; tendo i muscoli e stringo i pugni, le unghie conficcate nei palmi. Mentre mi divincolo in preda alla disperazione le catene mi graffiano i polsi e rivoli di sangue scorrono lungo le braccia incrostate di sangue rappreso e terra. È passato molto tempo da quando Thórr e Skadhi mi hanno legato a queste rocce, qui, in questa caverna buia; all’inizio contavo i giorni del mio supplizio per mantenere almeno un barlume di lucidità, ma qui attorno a me è tutto così buio che ho finito per perdere la cognizione del tempo. Ormai la vista del sole è solo un vago e lontano ricordo.

Tic.

Mia moglie, Sigyn, non c’è: il veleno ha corroso la ciotola che si ostina a voler tenere sopra la mia testa e appena se ne accorta è corsa a cercarne un’altra. Anche nella disgrazia mi è rimasta fedele, ma temo che non sarà così ancora per molto e che presto sarà costretta a cedere: le tremano le braccia e le gambe mentre tiene alzata la ciotola, ogni giorno mi sembra di scorgere sul suo viso ingrigito, un tempo candido e roseo , una nuova ruga, segno del tempo che scorre implacabile ma anche della fatica a cui si sottopone.

Tic.

Mi lascio sfuggire un gemito soffocato che diventa presto un urlo, un urlo di disperazione, sì, ma anche di rabbia. Il mio corpo è scosso da violenti fremiti e così la terra, che comincia a tremare con fragore tutto attorno a me. Mi divincolo, tiro le catene con tutta la forza che mi è rimasta nel corpo per cercare di sfuggire a quelle gocce di fuoco che cadono dalla bocca del serpente ma è tutto inutile, non riesco a liberarmi. Almeno per ora.

Tic.

Il bruciore mi toglie il fiato; le lacrime mi bruciano la gola, ma cerco di ricacciarle indietro, come ho fatto quella volta. Le immagini di quel giorno tornano a susseguirsi vivide nella mia mente, ogni volta è come se rivivessi la loro morte, la morte dei miei poveri figli. Nelle orecchie mi risuonano ancora i latrati di Váli e le urla strazianti di Narvi, la carne dilaniata strappata con forza dal suo esile corpo, il sangue che cola insieme a brandelli di carne viva masticata dalle fauci di Váli, mentre loro stavano lì, diritti, a godersi il macabro spettacolo con la soddisfazione dipinta sul volto. Gli dèi Asi sono i colpevoli della loro morte e della mia tortura: hanno voluto punirmi per la scomparsa del loro amato Baldr che probabilmente tutti staranno piangendo in questo momento e continueranno a farlo. Tutti tranne me. Anzi, se avessi la possibilità di tornare indietro, pur sapendo quale punizione mi attende, lo farei uccidere di nuovo, tutto purché loro soffrano. E soffriranno ancora, lo so.

Tic.

So della profezia rivelata a Ódhinn. Pensava di non essere visto mentre si recava furtivo dalla veggente per conoscere gli avvenimenti passati e soprattutto quelli futuri, ma non poteva sfuggire al dio degli inganni e, prendendo le sembianze del suo corvo Huginn, l’ho seguito fino all’antro oscuro che era la sede della vecchia. Non entrai, rimasi all’ingresso della grotta per evitare che lei potesse accorgersi della mia presenza e ascoltai. La lontananza non mi permise di afferrare tutte le sue parole, ma quello che sentii fu sufficiente: parlò della fine del mondo, la fine che attendeva gli dèi Asi e la battaglia che avrebbero combattuto contro le forze del male. Tra loro c’ero anche io. E mentre loro ora si affannano cercando di causare tra i mortali infinite guerre per riempire la Valhöll di un esercito  sempre più numeroso, io trovo una consolazione per le mie pene nella consapevolezza che prima o poi tutto questo finirà e potrò vendicarmi. Me li immagino, tutti quei valorosi guerrieri, che si addestrano strenuamente e si abbuffano di carne e met, ignari di essere solo delle misere pedine in mano a dèi a cui si affidano e che pregano.

Tic.

Mi consola il pensiero della resa dei conti e la speranza che quel momento arrivi presto. Li affronterò e restituirò loro tutto il dolore che mi hanno causato, ucciderò i loro stessi figli di fronte ai loro occhi, mi trasformerò in lupo e li divorerò lentamente perché sentano il dolore di ogni singolo nervo lacerato, di ogni singolo osso spezzato mentre affondo le fauci nel sangue caldo e allora sarò io a godere della loro morte. Ucciderò Frigg proprio davanti a Odhinn, riesco quasi a percepire la sua rabbia mentre si rende conto di averla persa per mano mia, e poi Thórr e ancora Niördhr e poi Freyr e poi…

Tic.

Il veleno mi scorre lungo il corpo, il fragore della terra che trema copre le mie grida. Sigyr è via da un po’ ormai, sicuramente sta per tornare. Sì, sarà di certo sulla via del ritorno, pronta a soffrire ancora una volta insieme a me. Sì, eccola, sento rumore di passi, si sta avvicinando. Mi sembra che qualcosa si stia muovendo nell’oscurità, diretta verso di me. Ma perché non mi ha ancora raggiunto? Quanto manca? Perché ci sta mettendo tanto? Mi si annebbia la vista, mi pulsa la testa e le orecchie iniziano a ronzare, gli arti mi si irrigidiscono e a poco a poco smetto di agitarmi, la testa mi cade all’indietro.

Tic.                                                 

Tic.

Tic.

Bibliografia

S. Sturluson, Edda, a cura di G. Dolfini, Milano, Adelphi edizioni, 2019

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