La mia tempesta interiore

Giulia Berto, in questa sua composizione, attraverso i ricordi, i pensieri ed i sentimenti del protagonista, entra e scava nelle profondità di una storia d’amore che viene interrotta da una morte inaspettata, nell’ottica del corso di Letterature comparate B, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

In questa riscrittura sono stati trattati alcuni dei temi che caratterizzano Petrarca e Shakespeare, le emozioni che coinvolgono il protagonista sono in parte le stesse provate da Petrarca, sia l’innamoramento che il dissidio interiore. Per quanto riguarda Shakespeare, il protagonista per via dei suoi comportamenti, si riconosce, sul finale, in uno dei personaggi dell’Amleto.

*

Sono stanco, le gambe mi tremano e la testa pulsa sempre di più come se qualcuno mi stesse comprimendo le tempie, come se qualcuno stesse piantando un chiodo dopo l’altro per fissare migliaia di quadri nella mia testa. Ma a cosa servono i quadri? Inutili accessori costosi per arredare delle inutili pareti. E poi? Cosa succede quando sei stufo e li vuoi togliere o spostare? Ti lasciano un segno, una bella macchia geometrica sul muro, chi non l’ha mai desiderata? Ecco, forse avrò molte macchie da oggi in poi sulle mie pareti, nulla che della vernice non possa rimuovere…quelle che invece ha lasciato dentro di me, non hanno bisogno di vernice. Cosa posso fare per cancellare queste tracce? Non lo so, temo che dovrò occuparmi prima di quelle in casa e poi mi occuperò di me.

Sento gli occhi pizzicare, sarà la luce che filtra dai vetri colorati della chiesa, così forte che mi sta scivolando una lacrima calda sulla guancia. Questa mattina sarei dovuto rimanere nel letto, dormire fino a mezzogiorno, saltare la colazione e…

Il Signore sia con voi e con il tuo spirito; in alto i nostri cuori; sono rivolti al Signore…

Dormire, ma chi prendo in giro, sono tre notti che non dormo. La testa mi scoppia, non posso continuare così. Passerò nel mio studio prima di rientrare a casa, una scatola di benzodiazepine potrebbe essermi utile.

La messa è finita, andate in pace.

Ecco, la parte peggiore inizia ora. 

«Signor Giorgio! Condoglianze, sua moglie era davvero una donna speciale.» «Condoglianze caro, se hai bisogno di qualsiasi cosa conta pure su di noi.»

«Ciao Gio, condoglianze. Quando te la senti chiamami che parliamo un po’ e ci prendiamo la nostra solita birra.» L’unica faccia amica, Matteo il mio compagno di liceo, l’unico forse degno di una mia risposta.

«Ciao Matteo, grazie.»

Posso finalmente rintanarmi nel mio posto sicuro, senza vedere altre persone, altri occhi spenti che mi guardano con compassione; perché compatirmi? Succede a tutti prima o poi di non svegliarsi più in questo mondo e di certo io e Leti lo sapevamo bene, abbiamo perso i nostri genitori prima ancora di incontrarci.

Apro la porta, mi blocco nel lungo corridoio color arancio, fisso in basso le piastrelle di marmo che avevo scelto con cura otto anni fa e all’improvviso mi ricordo come ho passato la notte precedente. Avevo spostato ogni sua cosa nella camera degli ospiti, era tutto sparso per la stanza. I suoi vestiti, le sue scarpe, i suoi libri ed anche i suoi orribili quadri. In quella camera regnava il disordine e sinceramente anche nella mia testa; non avrei mai pensato che una stanza tanto piena mi sarebbe parsa così vuota. Ma in fondo è solo uno dei tanti fardelli di cui volente o nolente mi devo occupare.

È molto tardi, non ho pranzato, al solo pensiero del cibo però sento una stretta allo stomaco, forse è meglio recuperare le ore di sonno perse e domani mattina, a mente fresca e riposata, vedrò da che cosa cominciare. Prendo le benzodiazepine e crollo nel sonno.

15/01/2024

Suona il citofono diverse volte

«Bastardi!» Incredibile come non abbiano rispetto nemmeno in una situazione come questa. Sono i soliti ragazzini del palazzo accanto che hanno preso questa stupida abitudine e si divertono, ma prima o poi mi diverto io e gliela faccio pagare, devono portarmi rispetto. Ora che non c’è più Leti a fermarmi: «Tesoro non ti ricordi quante ne hai combinate tu da ragazzino? Lasciali perdere». Ora che sono vedovo capiranno con chi hanno a che fare. Vedovo. Che strano usare questa parola. Penso di non averci mai riflettuto molto sul suo significato. È impregnata di malinconia, con delle gocce di irrealtà o incredulità. Quando uno ci pensa, almeno per le prime volte credo, non sembra reale, non sembra di capire veramente a cosa si dovrà andare incontro. Pazienza, ormai mi hanno svegliato e tra l’altro devo aver dormito davvero una quantità di ore esagerata perché se questi hanno suonato sicuramente saranno già le 8 del mattino.

Colazione fatta anche se con uno yogurt scaduto da qualche giorno, forse era il caso di buttarlo ma la tristezza che emanava quel frigo alto, grigio ma soprattutto vuoto non mi permetteva di avere una vasta scelta; ora dovrò anche iniziare a fare la spesa, a cucinare, stirare e soprattutto far combaciare queste stupide faccende domestiche con i miei turni in ospedale. Incredibile, non riesco neanche ad immaginare quando rientrerò a lavoro, tutte le persone che dovrò sopportare mentre mi faranno queste consuetudinarie condoglianze. Meglio non angosciarsi così tanto in anticipo, devo decidere cosa tenere e cosa buttare di tutta quella roba che fino alla settimana scorsa aveva ancora un valore, forse, ma ora sono solo tante cianfrusaglie.

La porta della camera degli ospiti è socchiusa, proprio come quella della nostra camera da letto, in quella mattina, quando sono rientrato da lavoro dopo un turno di notte.

Ero stanchissimo, non vedevo l’ora di tornare a casa, quella notte era stata davvero pesante, eravamo in pochi e due pazienti avevano avuto bisogno del nostro intervento. Avevamo fatto del nostro meglio ma purtroppo su due se ne era salvato solo uno. Arrivato al parcheggio ero salito velocemente sulla mia Audi A5 Cabrio, Leti adorava quando la usavamo per andare a fare i nostri viaggetti nel weekend, ho sperato davvero tanto di non incontrare il traffico delle 7 del mattino, ma la gente doveva andare a lavorare e io ho impiegato più di mezz’ora per tornare a casa. Una volta entrato non ricordo neanche di essermi spogliato e sciacquato, avevo solo notato la porta socchiusa della nostra camera e senza sapere cosa mi avrebbe riservato il futuro, penso di essermi messo a letto e devo essere sprofondato nel sonno. Se avessi saputo che quella mattina sarebbe stata l’ultima volta che avrei potuto stringerla a me e dormire con lei, forse mi sarei comportato diversamente. O forse no.

Ora sono qui, mentre riempo sacchi neri di plastica con i suoi maglioncini colorati di lana, magari potrei donarli a chi ne ha bisogno. Io no, non mi servono i suoi vestiti, il suo profumo per ricordarmi di lei, non so se voglio ricordarmi di lei. Almeno non quella che era diventata nell’ultimo periodo. Ci eravamo allontanati molto.

In realtà mi manca Leti, ma non quella della scorsa settimana, no, quella è una Letizia diversa. Noi non eravamo più gli stessi. Certo dopo 12 anni insieme, di cui 8 di matrimonio, non si può pretendere di rimanere sempre uguali. Io forse sono stato il primo ad esser cambiato.

«Merda, cos’è caduto?» Qualcosa deve essere scivolato sotto la scrivania, sembra un biglietto. È una busta bianca, la apre.

Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,
e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto,
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato m’hanno;
e benedetto il primo dolce affanno
ch’i’ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l’arco, e le saette ond’i’ fui punto,
e le piaghe che ’nfin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch’io
chiamando il nome de mia donna ho sparte,
e i sospiri, e le lagrime, e ’l desio;
e benedette sian tutte le carte
ov’io fama l’acquisto, e ’l pensier mio,
ch’è sol di lei, sì ch’altra non v’ha parte.

P.S. Petrarca aveva ragione, sia benedetto il giorno in cui ti ho incontrata, perché da quel giorno è cambiata la mia vita. Sei l’unica donna a cui io abbia donato il mio cuore, solo te, nessun’altra.  Ti amo Amore mio

Giorgio

Non sto piangendo ma le lacrime colano da sole, scivolano veloci lungo le guance e bagnano la mia camicia celeste. Ricordo il giorno che ho scritto questa lettera, era il nostro secondo anniversario. Lei adorava le poesie e così ne avevo cercata una che descrivesse la gratitudine che provavo nei confronti della vita per avermi dato l’occasione di incontrarla. Eravamo felici, innamorati e riuscivo ad essere ancora romantico e dolce. Le facevo regali e sorprese fino a quando tutto cambiò.

Sento un forte dolore al petto, non mi ero accorto che il mio respiro stava diventando sempre più affannato. Cerco di avvicinarmi alla finestra per prendere una boccata d’aria ma è inutile, sento il dolore che mi stringe il cuore, lo afferra e lo torce, sale alla testa che adesso sta girando, tento di reggermi inutilmente al davanzale. Cado sulle ginocchia ed inizio a piangere, a disperarmi, a gridare come mai prima. 

Dopo questa mattinata inaspettatamente emotiva ho bisogno di pranzare con qualcosa di meglio rispetto agli avanzi scaduti nel frigo. 

Squilla il telefono.

È Matteo, devo rispondergli «Pronto?»

«Ei Gio, tutto apposto? Volevo solo sapere come stai e se hai bisogno di qualcosa.» «Guarda, ho appena finito di sistemare la casa cioè le sue…cose»

«Già fatto? Sei stato veloce, sei riuscito a dormire stanotte? Se disturbo dimmelo, non ti fare problemi. Se non hai voglia di parlarne capisco.»

Avrei più bisogno di mangiare che parlare.

«No tranquillo anzi, volevo chiederti se ti va di pranzare insieme.»

«Certo, io stacco tra dieci minuti. Mi raggiungi al ristorante qui accanto al mio studio?» «Va bene, giusto il tempo di arrivare.»

«Ti aspetto»

Lo vedo, è già seduto al tavolo che attende. Tutto composto, in ordine e vestito elegante con le sue cravatte bizzarre. Ho sempre pensato fossero un po’ troppo eccentriche per fare l’avvocato, ma non gliel’ho mai rivelato. Nonostante ciò è proprio un vero amico, uno dei pochi che ho. «Eccoti»

«Tutto bene? Giornata tranquilla a lavoro?»

«Si diciamo di si; ho un appuntamento con dei clienti fra un’oretta. Tu piuttosto?» «Me la caverò, piano piano. Alla fine ho portato via qualsiasi cosa appartenesse a Letizia. Tranne una lettera che le avevo scritto e un libro.»

«Un libro?»

«Si, Amleto.»

«Da quando sei diventato un letterato?» Inizia a ridere «No dai sul serio non credevo ti piacesse Shakespeare.»

«No ma in realtà non so neanche di che cosa parla, oltre al famoso “essere o non essere”. Era il suo libro preferito, allora mi è venuta voglia di leggerlo. Per curiosità. Tutto qui.» Qualcosa della trama comunque la so, ma non mi andava di parlargliene. So che parla di morte, pazzia ed omicidi, insomma è una tragedia. Magari è questo che mi ha spinto a prendere questa decisione.

«Ah si, anche i quadri per ora ho tenuto, ti interessano? Te li regalo se li vuoi. Puoi venirli a prendere quando ti pare.»

«I quadri? Gio ma sei sicuro? Ma sai quanto valgono?»

«Varranno quello che varranno, per me non valgono niente, rendevano la casa meno vuota, tutto qui. Anzi, erano anche soffocanti. Davano un senso di claustrofobia, riducevano di gran lunga le dimensioni della casa. Li aveva scelti e comprati lei, era la sua passione non la mia. E ora che non c’è più è sbagliato se cerco di amare ciò che piaceva a lei. Quale sarebbe lo scopo? Cercare di sentirla sempre più vicina allontanandomi da me stesso?»

«No Gio, calmo, non intendevo questo. Per i quadri ti faccio sapere. Stai tranquillo.»

Dopo essere tornato a casa, e dopo una lunga doccia calda, devo controllare di chi sono le quattro chiamate che mi sono arrivate nel frattempo.

Prende il telefono e legge i nomi sul display.

Sono gli amici di Letizia, Anna, Gaia e Fabio. Uno peggio dell’altro. Li richiamo dopo se ho voglia. Leggo un po’ il libro che ho deciso di salvare e mi accorgo di essere molto simile ad Amleto. Entrambi abbiamo perso le persone che amavamo ed abbiamo un modo nostro di affrontare il lutto che probabilmente non viene compreso dall’esterno. Li vedevo come mi guardavano al funerale quei tre, non gli sono mai piaciuto. Ma la cosa è più che reciproca. Non hanno un briciolo di pietà, non mi hanno rivolto mezza parola; ma io sono contento così, non ho bisogno di nessuno.

Squilla il cellulare nuovamente.

«Si?»

«Giorgio, sono Fabio. Ho bisogno di parlarti. Vediamoci domani mattina alle 8 al bar Ophelia.» Ha messo giù, cosa vorrà? Perché non mi lasciano solo nella mia sofferenza. Non potranno mai capirmi, non mi capisco nemmeno io a volte.

16/01/2024

Suona la sveglia.

Nuovo giorno, nuova sofferenza. Si può dire che questo sia il mio motto per cominciare la giornata, lo penso ogni mattina da molti giorni, mesi, forse potrebbe essere anche un anno. Da quel giorno non è più stato lo stesso. Mi sono sentito come un funambolo che all’apice della sua felicità, mentre sta raggiungendo l’altra metà del cielo, all’improvviso precipita, la corda si spezza, qualcuno deve averla tagliata. A chi appartiene la lama affilata? Sbalorditivo il fatto che potrebbe essere la mia.

Mi vesto velocemente, passo da una camera all’altra in cerca della mia cintura preferita, cuoio marrone invecchiato con una fibbia molto elaborata, e il profumo che emana è davvero…«Aia, ma cos’era?» Qualcosa mi ha punto sotto il piede. Non vedo nulla, deve esser finito sotto al letto, mi abbasso e vedo una siringa, strano devo averla portata per sbaglio dall’ospedale, magari era finita nella mia valigetta. Però ho trovato anche la mia cintura quindi ora sono pronto per uscire.

L’aria fresca del mattino è accompagnata da un timido sole appena nato che riscalda lievemente l’atmosfera; bella giornata per essere gennaio. Per apprezzarla al meglio decido di camminare verso il bar, andrò a piedi, niente auto. Inoltre trovare parcheggio è sempre un miracolo in quella zona troppo frequentata. Le strade non sono vuote ma non si è ancora formata quella coda mattutina che spazientisce chi va di fretta. Ecco in lontananza il bar Ophelia, vedo anche Fabio, è un uomo piuttosto alto, ci tiene ad essere in forma, non so quante volte a settimana frequenti la palestra ma si può dire che i risultati siano ben visibili. Uno dei tanti motivi per cui sicuramente si crede meglio di me. Io lavoro, salvo vite, non sempre le salvo, ma non ho tempo da sprecare pensando ai muscoli. Mi avvicino sempre di più ed inizio a provare una sensazione che non so come potrei definire; non è ansia ma non è nemmeno solo pura curiosità, ne una ne l’altra o forse entrambe.

Quella conversazione durata poco più di un’ora mi ha fatto rivivere una scena di Amleto. Mi era sembrato di essere al centro di un interrogatorio mascherato. Era come se stesse cercando di indagare, voleva leggermi dentro per trovare le righe esatte che descrivevano la mia colpevolezza nei confronti della morte di Letizia. Io so come ci si sente a fare il gioco degli investigatori, non è passato molto tempo da quella volta in cui i nostri ruoli erano invertiti. Quello è stato molto probabilmente il giorno in cui tutto è cambiato, io, il mio matrimonio e Letizia.

Non so come, ma avevo iniziato a non fidarmi più delle parole della mia dolce moglie, sospettavo di lei e del suo caro amico Fabio. Questa gelosia è nata all’improvviso, avevo per sbaglio notato dal suo telefono delle conversazioni lunghissime e insospettito avevo visto che ai messaggi corrispondevano chiamate altrettanto lunghe. Non sono uno sprovveduto, non ho rovinato il mio matrimonio per dei messaggi, c’è dell’altro, riguarda una panchina, mia moglie, Fabio ed io. Dopo averli visti così intimi e vicini, non ho più potuto riporre fiducia nei confronti di Letizia. Abbiamo discusso per giorni, ma lei sosteneva che stesse solamente cercando di consolare Fabio perché stava passando un periodo difficile. Ma io da una donna non posso farmi prendere in giro, nemmeno se è la donna che pensavo di amare. In quel momento, la odiavo. Non potevo credere di aver sprecato in un modo così insignificante questi anni della mia vita. Finsi di crederle, lei continuava a ripetere «Amore, fidati io amo solo te. Con il tempo ogni cosa si sistemerà.». Con il passare dei giorni, il mio odio nei suoi confronti si affievoliva ma non del tutto, rimaneva lì, pronto per tornare a galla tutte le volte che lei gliene avrebbe dato il motivo. Per questo non eravamo più gli stessi, avevamo

smesso di essere onesti l’uno con l’altro e invece che continuare a vivere insieme avevamo iniziato a convivere con le nostre insicurezze. Letizia aveva iniziato ad indossare abiti molto corti quando usciva con i suoi amici e a me non andava affatto bene che mi mancasse di rispetto in questo modo. Molte volte la costringevo a cambiarsi, perché il suo obiettivo non era più soltanto Fabio ma molto probabilmente qualsiasi uomo sulla trentina, se non più giovane, che le avrebbe fatto un complimento. Anche il giorno prima che morisse avevamo litigato. Era pomeriggio, io mi stavo preparando per andare a lavoro e lei mi stava spiegando che doveva incontrarsi con alcune sue amiche anche se poco prima avevo sentito la voce di un uomo al telefono; le urlavo di dirmi la verità e di non mentirmi. Poi la vedo uscire di fretta, con un abitino di velluto che non avrebbe dovuto indossare.

Continuo a leggere Shakespeare, non pensavo che sarebbe stata una lettura così scorrevole. Mi mancano gli ultimi due atti. Nel mentre, continuo a ripensare a Letizia, alle sue colpe, ai miei errori. Non avrei dovuto sposarla, dovevo accorgermene prima, non mi sarei dovuto innamorare di lei. Il problema era proprio quello, io la amavo, e lei invece no, altrimenti mi avrebbe ascoltato. Si può amare ed odiare allo stesso tempo una persona? Io credo di si, c’erano giornate in cui un sentimento prevaleva sull’altro. A volte mi capitava di incantarmi a guardare i suoi occhi verdi, in quei momenti pensavo di avere al mio fianco la donna più bella del mondo.

Scendo dal letto per prendermi un bicchiere d’acqua, questi pensieri mi stanno confondendo, mi è ritornato il mal di testa. Mentre torno in camera, poso gli occhi sul tappeto: la siringa. La mia mano inizia a sudare, il bicchiere diventa sempre più pesante, qualche secondo dopo si frantuma sul pavimento. Sento l’acqua fresca che accarezza i miei piedi scalzi. Un tuono mi spaventa, aveva iniziato a diluviare, il cielo di stamattina però non presagiva alcun temporale. Mi inginocchio, nonostante i vetri per terra, le mie gambe non avevano più la forza di reggermi. Prendo la siringa in mano, mi sembrava di essere in mezzo ad una tempesta, in alto mare, senza timone senza possibilità di raggiungere il porto. Ero stato io? Perché fino a quel momento non me lo ricordavo? Hanno detto che il suo cuore si era fermato. Abbiamo dato tutti la colpa ai suoi problemi cardiaci, ma ora lo so. È stata la mia iniezione, una dose letale di potassio. Perché sto piangendo? Come ho potuto dimenticarmene, cosa dovrei fare adesso? La mia nave sta affondando, nessun faro, non c’è luce che illumini il mio cammino, nessuno mi può salvare, forse…merito di annegare. Guardo il suo libro preferito, ora capisco, mi è chiaro, io non sono come Amleto, io sono sempre stato Claudio. Io sono un assassino.

Bibliografia

– Petrarca, Canzoniere, a cura di Sabrina Stroppa, Einaudi, Torino, 2016.
– Shakespeare, Amleto, a cura di Nemi D’Agostino, Garzanti, Milano, 2016.
– https://www.nurse24.it/infermiere/attualita-infermieri/iniezione-letale-di-potassio-infermiere muore-suicida.html

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