Filippo Pittavino immagina un dialogo romanzato tra il Fair Youth e Francesco Petrarca, in forma di falena, ispirato ai sonetti di Shakespeare e Petrarca, nell’ottica del corso di Letterature comparate B, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).
Un poeta scrive per la persona amata o solo per se stesso? Una domanda semplice, ma con risvolti sconcertanti. A farsi un esame di coscienza su cosa significhi essere dedicatario di una poesia d’amore e cosa significhi esserne lo scrittore sono due figure d’eccezione: il Fair Youth, le cui lodi tesseva il Bardo dell’Avon, e Petrarca stesso, qui nelle vesti di una falena, allegoria usata dallo stesso poeta per definire la sua spasmodica, ma fallace, ricerca della luce.
Questa è una storia che ha del curioso. Una di quelle storie che può avere luogo solo nella mente di un pazzo, o in un sogno o – perché no? – su un palcoscenico. Questo è il nostro caso, in effetti, siccome la nostra storia si svolge proprio qui, sul palco di un grosso teatro a cielo aperto, ma non durante una recita, in mezzo a un pubblico rumoroso scaldato dalle vicende cui assiste. No. La strana vicenda che mi appresto a raccontare ha luogo in un teatro, sì, ma a notte fonda, una gelida e silenziosa notte d’inverno. Era una di quelle notti così buie e fredde che più di un poeta avrebbe potuto usarla come metafora dello sfiorire della giovinezza o dell’assenza della persona amata. Potete dunque immaginare lo stupore di un viandante quando in quel freddo e buio teatro trovò, assopito, un giovane ragazzo, di bell’aspetto, leggiadro, quasi femminile, se si vogliono fare tali distinzioni.
“Cosa vedon gli occhi miei? Un ragazzo
dorme al freddo dove fansi le farse.
Intorno ha fogli, carte, rime… sparse.
Sarà forse poeta? Amante? Pazzo?”
Ecco cosa frullava per la testa del viandante, mentre si aggirava tra gli spalti del teatro. Come avesse fatto a entrare sarà più chiaro tra poco. Il viandante, incuriosito dalla presenza del giovane che dormiva, e forse sognava, accucciato in mezzo a una pila di pergamene scritte fittamente, gli si avvicinò senza farsi notare e, dopo essersi schiarito la voce, gli si accostò a un orecchio e gridò:
“Svegliati! Il freddo ti ha reso paonazzo!
Dimmi, ti prego, perché ti son parse
un buon giaciglio queste assi cosparse
di fogli. Ti svegli questo schiamazzo!”
Il giovane trasalì. “Chi ha parlato?” domandò con voce impastata di sonno e punta da una nota di paura. Si guardava intorno freneticamente voltandosi ripetutamente di scatto, ma non riusciva a distinguere nella penombra alcuna forma umana da cui potesse provenire la voce.
Il viandante gli parlò di nuovo all’orecchio, non visto:
“Al mondo c’è chi il sole può fissare,
mentre altri, abbagliati, al buio stanno;
altri ancor van dietro a ciò che balena.
Quest’ultimo gruppo mi è familiare,
poiché seguo la luce con affanno,
e se il nome mi chiedi, i’ son Falena.”
Il giovane non poteva credere a occhi e orecchie. Di fronte a lui, illuminata dalla flebile luce della luna piena, una falena grossa quanto il palmo di una mano si librava a mezz’aria, con la minuscola testa cinta da due antennine pelose, simili ad una corona d’alloro.
“Questo dev’essere un sogno.- pensò tra sé il bel ragazzo – Se la mia ombra illuminasse davvero le ombre, come dice quell’altro, ora vedrei ben più chiaramente cos’ho davanti.” Tuttavia, la curiosità ebbe la meglio sull’incredulità e perciò il giovane si decise a parlare:
“Sembri un’apparizione demoniaca, ma parli come un poeta.”
“Forse lo sono stato, in un’altra vita.- rispose la Falena viandante – Ma penso che all’epoca fossi di gran lunga più bravo a comporre versi.” Non c’erano più dubbi: la voce proveniva senz’altro dall’insetto.
“Con me caschi male, Falena, poiché nulla ho più in odio dei poeti al momento.”
La falena parve stupirsi.
“Ma come? Pensavo fossi un poeta tu stesso, a giudicare dai sonetti sparsi intorno a te.”
“Io, un poeta? No, quelli che vedi sono componimenti che ho ricevuto in quanto dedicatario. Se vuoi sapere la mia professione, io sono un mero attore.” Il bel giovane proruppe in una risata amara e fece un gesto eloquente per indicare il luogo in cui si trovavano. “Diciamo che sono abituato a fare la parte che vogliono gli altri.” Fece una pausa ad effetto, da bravo attore qual era, o forse per avere il tempo di riflettere su una verità cui non aveva mai pensato a fondo. “Penso sia anche questo il motivo per cui odio i poeti adulatori.”
“Non capisco, spiegati meglio.” La falena sembrava sinceramente incuriosita. Il giovane si mise a rovistare tra i fogli su cui si era addormentato, estraendone alcuni dopo aver dato loro una rapida occhiata.
“Prima di cadere addormentato, stavo rileggendo questi fogli e mi sono reso conto che… io sono un oggetto, un oggetto nelle mani del mio poeta.” Espose una delle pergamene di fronte al viandante volante. “Vedi? Leggi qui: il mio poeta mi adula, mi dice che sono bello e leggiadro quanto o più di un giorno d’estate, poi inveisce contro il Tempo, tiranno sanguinario contro cui mi istiga a guerreggiare, ma che solo lui, con la sua poesia salvifica, è in grado di contrastare per preservare la mia bellezza. Insomma, io sono solo un pretesto per vantarsi del suo ruolo di poeta!”
La falena si posò, indispettita, sulla spalla del giovane.
“Mi sembri ingiusto, giovanotto capriccioso.- disse – C’è chi pagherebbe per ricevere tali attenzioni. E non hai idea di quanto sia difficile per un poeta trovare simili metafore. Per ciò che mi riguarda, non posso dare torto a questo tuo ammiratore. Anch’io ho parlato spesso di argomenti simili in passato, di come la vita fugga e la morte venga dietro a gran giornate. E non solo contro il Tempo si fa guerra, ma anche contro Amore stesso, credimi! E non c’è proprio modo di vincerlo, o almeno, io mi sono ritrovato disarmato e ho sofferto oltre misura. Quindi non biasimare questo poeta, se trova sollievo pensando che la sua opera possa fare del bene a chi ama.”
Il giovane non lo stava ascoltando, preso com’era dalla spasmodica ricerca dei sonetti che avevano causato la sua frustrazione.
“Oh, ma non finisce qui!- esclamò – Sai fin dove si spinge il mio poeta? Mi dà consigli – e chi glieli ha chiesti? – su cosa dovrei fare della mia vita, su come dovrei procreare per perpetuare, diciamo così, la mia bellezza. Ma si decida! Non doveva avere lo stesso effetto la sua poesia?”
La falena volò giù dalla spalla, facendosi più vicina ai fogli sparsi. Dopo averne letto qualcuno, rispose:
“Be’, ma in questo altro sonetto scrive che servirebbero entrambe le cose insieme per garantirti una sorta di vita eterna! Inoltre, in quest’altro dice che esistono mezzi migliori delle sue sterili rime per combattere il Tempo e qui che la sua poesia non è in grado di descrivere una così grande bellezza pienamente e che ogni penna sarebbe inadeguata. Mi sembra un meraviglioso complimento, sebbene condito da un po’ di falsa modestia! E mi sembra anche, a quanto dice poco sotto, che non solo non disdegnavi le sue attenzioni, ma pretendevi anche maggiori lodi!”
Il giovane arrossì, coprendo alla meglio il sonetto che la falena stava leggendo.
“Senti, insetto. Forse c’è stato un periodo in cui la pensavo così, è vero. Ma col tempo, sonetto dopo sonetto, non ho potuto fare a meno di pormi una domanda: è davvero così che voglio essere ricordato? Un pupazzo, perfetto e statico, da tenere su uno scaffale per la contemplazione, oggetto di sentimenti altrui? Sono stanco di essere oggetto, sai? Se ne avessi le capacità, vorrei essere io il soggetto, vorrei che i posteri sapessero cosa penso e non solo cosa pensano gli altri di me! Il mio poeta dice bene qui! Saprà pure ritrarmi con maestria, ma non conosce proprio cosa serbo nel cuore.”
La falena rimase sconcertata, come se fosse travolta da vecchi ricordi, magari di una vecchia fiamma. E lei di fiamme se ne intendeva. Era posata su un foglietto spiegazzato e le sue zampette anteriori poggiavano sulla frase “Even so my sun one early morn did shine”. Il suo sole, il cui splendore per breve tempo l’aveva riempita di gioia, non splendeva più.
Il bel giovane si accorse di quel silenzio e si sentì improvvisamente in colpa per quel piccolo esserino. Si accovacciò per avvicinare il volto al viandante notturno e disse: “Ti chiedo scusa, amica Falena, se ti ho recato offesa. Ero perso nei miei pensieri e non ho nemmeno dato ascolto a quanto avevi da dire. Dev’essere l’incubo di voi poeti, vero? Non essere ascoltati.”
Quando la falena rispose, la sua voce sembrava rotta dal pianto.
“Ti ringrazio per le scuse, ragazzo, ma… non è questo il punto. Da un lato ti invidio, sai? Penso che il tuo atteggiamento mi abbia fatto arrabbiare perché… be’, io non so se qualcuno provi per me ciò che io ho provato per la luce, la donna che amavo. Nessuno me l’ha mai scritto. E tu, che hai ricevuto alcune tra le parole più belle che si possano ricevere, le rifiuti.” Si alzò in volo, molto lentamente, mentre il bel giovane iniziava a sentirsi un poco più vecchio. “Dall’altro lato,- continuò l’insetto – mi hai fatto riflettere su una cosa a cui, ahimè, non avevo mai pensato. Sono sempre stato così assorbito nei miei sentimenti, alla ricerca di un modo per esorcizzarli nel mio animo turbolento, che non ho mai pensato se la dedicataria della mia poesia potesse essere felice di avere questo ruolo, prima o dopo la sua scomparsa. E questo… forse è il vero incubo di noi poeti. Addio.”
Il bel giovane guardò la falena allontanarsi verso la luce della luna, poi si mise a raccogliere le rime sparse sul palcoscenico, solo e pensoso.
Bibliografia
Francesco Petrarca, Sabrina Stroppa (a cura di), Canzoniere, Einaudi, 2011
William Shakespeare, Alessandro Serpieri (a cura di), Sonetti, Rizzoli, 1995