La strana verità su mia sorella Matilde

Silvia Barbieri immagina un’avventura alla Lady Chatterley vissuta attraverso la magia del Sogno di Shakespeare e di Peter Pan di Barrie. Il lavoro è stato sviluppato nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022.

“Disse che stava camminando nel bosco quando le era parso di vedere qualcosa muoversi tra le felci e incuriosita aveva seguito quel movimento. Sperava in una volpe o un cucciolo di capriolo e invece ne era uscito un ragazzo. Il più bel ragazzo che avesse mai visto, a suo dire”.

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Cara mamma,

A lungo ho mantenuto questo segreto per paura che nessuno mi avrebbe creduto. Sono pronta a raccontarti come andarono veramente le cose quando Matilde ed io raggiungemmo i nonni in campagna. Non è vero che non mi ricordavo nulla. Io ero presente quando lei… ma tu devi credermi mamma, o questo mio doloroso sforzo per ricordare, per tornare a quei giorni, non varrà nulla.

Sai bene che Matilde non si era dimostrata per nulla entusiasta di lasciare Torino per passare l’estate dai nonni, mentre i suoi amici si organizzavano per trascorrere insieme i giorni di vacanza, ma aveva rapidamente cambiato espressione quando finalmente arrivammo alla fattoria. Nostra nonna ci venne incontro sorridente uscendo da casa sua e questo bastò a farle cambiare umore.

In campagna c’erano molti lavori da fare e, da quando il nonno era stato male, erano aumentati a dismisura. Per questo ci svegliavamo presto tutte le mattine per raccogliere grandi quantità di frutta e ortaggi che la nonna avrebbe rivenduto al mercato del paese.

Ti ricordi l’orto dei nonni come era enorme ma ben curato, i rettangoli di terra erano precisi e altrettanto precise erano disposte le diverse piante. Tutt’attorno al perimetro erano cresciuti i cespugli di fiori colorati e profumatissimi che avevamo piantato insieme quando eravamo bambine.

Al termine di una delle prime giornate, esauste dal lavoro faticoso, dal caldo umido e asfissiante e dallo sciame di zanzare che ci avevano massacrate, ci stendemmo all’ombra del ciliegio più grande della fattoria, per rianimarci prima della cena.

Sdraiata a terra con le palpebre appesantite, mentre guardavo le nuvole spostarsi rapidamente, pensai a come eravamo cambiate, mia sorella ed io, rispetto a quando aiutavamo i nonni da bambine. Allora tutto ci sembrava un gioco e nulla era mai troppo faticoso o stancante, anzi ogni giorno era una nuova avventura.

Il boschetto lì accanto era così silenzioso eppure così vivo, luogo ricco di avventure che insieme a Matilde e agli altri cugini ci immaginavamo da bambini. Senza nemmeno rendermene conto scivolai in un sonno profondo, intontita dalla stanchezza.

Un frullare di ali mi riportò alla realtà. Non sapevo quanto tempo era passato da quando mi ero assopita e guardando l’orologio mi resi conto che erano trascorsi appena dieci minuti.

Una gallina beccava a terra poco lontano da dove mi trovavo io, mentre di mia sorella non c’era alcuna traccia. Provai a chiamarla ma non ottenni alcuna risposta, a parte la gallina che si allontanò zampettando.

Entrai in casa e sul tavolo trovai un bigliettino scritto a mano dalla nonna, in cui diceva di essere andata da qualcuna delle sue amiche a portare un cesto di verdura fresca per la cena. Chiamai Matilde ma non era nemmeno in casa.

Così mi rinfilai le scarpe e cominciai a guardare un po’ ovunque, chiamando mia sorella a gran voce, senza ottenere risposta. Guardai il bosco, che se ne stava quieto davanti a me, con le sue porte sempre spalancate che mi invitavano ad entrare, a scoprire i suoi segreti, i suoi luoghi nascosti.

Mi avviai tra gli alti alberi di castagni e robinie. L’erba cresceva rada sul terreno a causa della poca luce che riusciva a penetrare tra le fronde. L’aria era calda, impregnata di umidità e satura dell’odore del legno e della terra bagnata.

Mi incamminai seguendo uno stretto sentiero tracciato da qualche animale selvatico che abitudinariamente batteva quel tratto di bosco, forse un capriolo o qualche cinghiale.

Mi guardavo attorno chiamando mia sorella, ma più mi inoltravo nel cuore della natura, più l’ambiente attorno si faceva scuro, quasi ostile. Mi intimoriva l’idea di rompere quel silenzio che aveva un che di sacro, al punto che non osavo più urlare il nome di Matilde, per paura che la natura si rivoltasse contro di me. Cominciai a guardarmi intorno con circospezione sempre maggiore, con la crescente e inquietante sensazione che migliaia di occhi fossero puntati su di me, unica creatura umana così stonante in quell’ambiente verde e naturale. Eppure per quanto sforzassi la vista alla ricerca di una qualsiasi creatura vivente in mezzo a tutto quel fogliame, non mi riuscì di trovare alcunché. Fu proprio mentre mi guardavo attorno che non feci caso ad una grossa e nodosa radice in mezzo al sentiero che mi fece inciampare e cadere bocconi.

Appena mi ripresi dalla caduta, riaprendo gli occhi vidi davanti a me un paio di scarponcini da battaglia che ben conoscevo. Mia sorella Matilde mi guardava dall’alto in basso con aria interrogativa. Mi chiese se stavo bene e io mi tirai in piedi. La guardai fissa negli occhi, sembrava strana. Aveva uno sguardo stralunato, come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno.

Le chiesi dov’era stata, le dissi che l’avevo cercata in lungo e in largo e non avendo ricevuto risposta mi ero preoccupata. E Matilde, con il suo sguardo perso nel vuoto, mi disse che si era solo allontanata per fare due passi. Le chiesi se era tutto, se non ci fosse dell’altro. Negò e io, lì per lì, non feci troppe domande, ero solo contenta di non essere più sola e di averla ritrovata.

Durante il viaggio di ritorno e durante la cena nessuna delle due accennò più all’accaduto, ma una volta a letto, con la protezione del buio notturno, Matilde mi disse che nel bosco aveva incontrato un ragazzo.

Le chiesi se avesse voglia di raccontarmi cosa fosse successo e distesa nell’oscurità prese a raccontare.

Disse che stava camminando nel bosco quando le era parso di vedere qualcosa muoversi tra le felci e incuriosita aveva seguito quel movimento. Sperava in una volpe o un cucciolo di capriolo e invece ne era uscito un ragazzo. Il più bel ragazzo che avesse mai visto, a suo dire. Disse che non sapeva molto di lui, ma che si era dimostrato estremamente gentile e che le aveva raccontato un sacco di storielle sugli abitanti dei boschi.

Secondo Zeno, questo era il nome del ragazzo, appena calava la notte, fate e folletti sbucavano gioiosi dalle corolle dei fiori, dai nidi degli uccelli, dagli incavi degli alberi per mettersi a danzare e a preparare succulente pozioni magiche da somministrare a tutti gli uomini o donne che osassero cacciare un animale, tagliare un albero, appiccare un fuoco o persino cogliere un fiore, animando l’intero sottobosco. Per quanto fosse tutto estremamente meraviglioso, Matilde disse che non ci credeva e che fate e folletti esistono solo nelle fiabe di magia. Tuttavia era rimasta stregata dal ragazzo, lo si percepiva dal modo in cui ne parlava. Disse che portava solo un paio di calzoni leggeri e camminava per il bosco a piedi nudi. Aveva folti capelli scuri e due occhi di un verde intenso che parevano sondarti l’anima.

Matilde disse che non aveva mai incontrato un ragazzo del genere e quando gli chiese da dove veniva, Zeno rispose che viveva dall’altra parte del bosco. E poi così come era apparso se n’era andato, tornando a confondersi con l’ambiente circostante. Fu allora che io feci la mia apparizione, inciampando e cadendo a terra.

Quella sera lasciai che la confessione di Matilde restasse sospesa nell’aria, senza che avesse un vero e proprio posto nella realtà: pareva un racconto così irreale e ben presto entrambe scivolammo nel sonno e l’inquietudine che mi era cresciuta nel petto durante la sua confessione parve acquietarsi un poco durante la notte.

Il mattino seguente mi svegliai con un forte mal di testa. Matilde era già scesa e mi stava aspettando con la nonna per fare colazione. Mi chiesero se avessi dormito bene. Risposi di sì, ma in verità avevo sognato per tutta la notte quel ragazzo misterioso il cui viso a me sconosciuto si fondeva e mescolava con quello di mia sorella e di fate arcigne che spremevano succhi velenosi da fiori coloratissimi sugli occhi di mia nonna e mio nonno, che finivano per non riconoscermi più e cacciarmi di casa.

Tentai di scacciare il pensiero dalla mente, liquidandolo come un sogno bizzarro dettato da una mente facilmente impressionabile e, come il giorno prima, presa dai lavori della campagna non ci pensai più.

Al crepuscolo però, mentre mia sorella era in casa con la nonna, uscii e mi avviai verso il bosco.  Nonostante il timore che quel luogo aveva cominciato ad incutermi, volevo vedere anche io quel ragazzo. Con passo spedito mi inoltrai verso il cuore del bosco e seguendo il sentiero oltrepassai uno stretto corso d’acqua, oltre il quale si aprì una radura, al cui centro stava una piccola casetta di legno, circondata da alcune gabbie per l’allevamento di fagiani. Allora di fagiani non c’era alcuna traccia, ma la casetta sembrava ben tenuta e gli alberi attorno disposti in forma circolare non facevano che accentuare la desolazione del luogo.

Mi avvicinai e spinsi leggermente in avanti la porta per dare un’occhiata all’interno. Non c’era nulla di particolare, solo un tavolo e alcune sedie di legno, un piccolo focolare spento e alcuni utensili appesi alle pareti. C’era anche un piccolo baule sul quale era posato un flauto di Pan. Fu allora che mi resi conto dello strano ed inquietante silenzio che era calato tutto attorno, della calma irreale che si stava impadronendo della natura circostante. Spalancai la porta e mi fiondai al di fuori, correndo a gambe levate verso casa, senza nemmeno rendermi conto che si era fatto buio e che migliaia di occhietti erano spuntati tra le foglie degli arbusti, scintillanti alla luce della luna.

Allarmata più che mai chiesi a mia sorella se conosceva la casetta dei fagiani nel bosco, ma il suo sguardo interrogativo lasciò intendere che non sapesse di cosa stessi parlando. Di nuovo evitai di proseguire il discorso e la presenza del nonno a cena contribuì tranquillizzarmi.

Matilde, che per tutto il giorno era sembrata piuttosto spensierata, sentendo che mi rigiravo nel letto, mi chiese se ero stata nel bosco. Non fui in grado di mentire, del resto le avevo chiesto io della casetta dei fagiani. Ma la verità era che non le interessava granché della mia risposta, si trattava solo di un modo per tornare a parlare di Zeno e compresi che i due si erano visti di nuovo, ma quando era successo? Non mi sembrava di averla mai vista allontanarsi. Glielo domandai ma lei proseguì a parlare di Zeno. Lo faceva in modo appassionato, descriveva i suoi movimenti e il suo aspetto come parlerebbe una Giulietta del suo Romeo. Iniziai a preoccuparmi.

Il bosco non mi piaceva più, da luogo edenico, idilliaco era diventato un labirinto infernale, pieno di creature altrettanto strane ed invisibili che parevano avere il solo intento di farti ammattire.

Le proposi di invitare Zeno a casa il giorno seguente, cosicché potessi vederlo e finalmente porre fine a quel vortice di perturbanti sensazioni. 

Per tutto il giorno successivo Matilde non fece alcun cenno alla conversazione avuta la sera precedente. Si comportò in modo del tutto naturale e la giornata proseguì come se nulla fosse mai accaduto. Quel giorno lo dedicammo alla raccolta dei frutti di bosco. Matilde attirò la mia attenzione invitandomi a seguirla, mentre la nonna era rientrata a sistemare alcune cassette cariche di frutta. Una dolce melodia risuonava nell’aria. Mi chiese di fidarmi di lei e di non avere paura, anche se le sue parole, anziché rassicurarmi, non fecero altro che agitarmi ancora di più. Aveva una strana luce negli occhi, tuttavia mi lasciai guidare dal lei e, giunte appena oltre il piccolo ruscello, vidi il ragazzo che accovacciato a terra suonava il flauto a una decina di pulcini di fagiano straordinariamente attenti. Un’espressione sgomenta dovette dipingersi sul mio volto perché quando Matilde attirò l’attenzione del ragazzo, la prima cosa che mi domandò fu se stavo bene.

In effetti Zeno aveva un aspetto magnifico, il fisico asciutto e scattante, i boccoli scuri che gli incorniciavano il volto pallido, spruzzato di efelidi e lo sguardo vigile e intenso contribuivano ad accentuare la sua bellezza e al contempo la sua stranezza. Per quanto esteriormente bello possedeva un’aura bizzarra, al limite dell’inquietante, come se non appartenesse a questo mondo. Davanti a lui persi la parola, non fui in grado di dire nulla.

Lui si presentò e disse immediatamente di essersi innamorato di Matilde.

Io li guardai entrambi, incredula. Mia sorella arrossì un poco, come se non si aspettasse quella pubblica dichiarazione. Appena ritrovai la voce dissi che potevamo tornare verso la fattoria, che alla nonna avrebbe fatto piacere conoscerlo e lo avrebbe sicuramente accolto volentieri se intendeva stare con Matilde. I due si guardarono. Zeno rispose che lui stava bene alla casetta dei fagiani e non aveva intenzione di spingersi oltre al ruscello. Lo disse in modo feroce, come se la mia proposta l’avesse profondamente offeso. Rimasi sbigottita dalla sua reazione e ancora di più da quella impassibile di mia sorella, che assistette alla scena senza alcun intervento. La guardai, in cerca del suo appoggio, ma il suo sguardo era puntato su Zeno. I suoi dolci occhi azzurri erano tutti per lui.

Non avevo mai visto Matilde così persa, come se fosse sotto l’effetto di un potente incantesimo. In quel momento mi tornarono in mente le storie delle creature del sottobosco, le fate e i folletti che spremono pozioni sugli occhi degli esseri umani. Zeno le aveva raccontato solo un mucchio di favole oppure le aveva fatto realmente una magia? Non avrei saputo rispondere con certezza. Matilde sembrava far parte di un altro mondo, che le aveva fatto perdere completamente il contatto con il nostro. Cosa le era successo? Dov’era finita la sua testardaggine e il suo carattere forte e deciso? Quella ragazza sembrava Matilde, aveva il suo viso, i suoi capelli, portava i suoi vestiti. Ma dentro quell’involucro non si agitava l’anima irrequieta di mia sorella. Ella doveva trovarsi lontana da quel bosco, la mente assopita, assuefatta. Cercai di avvicinarmi a lei, di scuoterla e riportarla alla realtà, le dissi che la nonna probabilmente ci stava cercando, ma Zeno s’intromise e strattonando Matilde verso di sé la allontanò ancora di più da me. Mi disse che ormai era sua e non potevo più riportarla indietro. Matilde sarebbe rimasta nel bosco con lui perché era quello il loro rifugio. Fu allora che cominciai a percepire la natura circostante muoversi, diventare sempre più viva e frenetica. A migliaia spuntarono dai bassi cespugli circostanti fate e folletti non più grandi di una pannocchia, ognuno dei quali mi guardava con i loro occhietti neri e vispi, carichi di risentimento per essermi opposta alla volontà di Zeno. Mi si attorcigliarono le viscere e mi si gelò il sangue nelle vene. Non avevo la minima idea di cosa fare, come comportarmi. Avrei voluto urlare, ma ero fin troppo consapevole del fatto che non sarebbe servito a nulla. Matilde restò impassibile, gli occhi sempre puntati verso Zeno, un ghigno maledetto si fece largo sul suo volto. Non avevo armi contro di lui, non avevo modo di oppormi alla volontà di quello spirito del bosco, non nel suo ambiente. Così un passo dopo l’altro, mentre lo sciame di creature fatate si schiantava rapidamente su di me, indietreggiai, mantenendo lo sguardo su Matilde e Zeno che scomparvero dietro la massa di fate e folletti, fino a confondersi con la natura circostante. Prima di cadere a terra e perdere conoscenza, sentii chiaramente la voce di Zeno ridere di gusto ed esclamare: “Chi entra nel bosco non torna più indietro e la sua anima mi apparterrà per sempre.”

Quando mi svegliai ero nel mio letto, nella camera al piano superiore della fattoria. Appena presi coscienza di dove mi trovavo mi voltai di scatto verso il letto di Matilde. Era vuoto. Scoppiai a piangere, mentre nella mente le mostruose immagini del giorno prima cominciavano a riaffiorare.

Fu la nonna a raccontarmi come mi avevano trovato e come avessero cercato per ore mia sorella. Ma di Matilde non c’era alcuna traccia. Era sparita nel nulla e con lei anche quello strano ragazzo, spariti come spariscono i personaggi di un libro appena terminato: non li dimenticherai mai ma non potrai mai vederli davvero.

Come ben sai, mamma, le ricerche proseguirono per molto tempo dopo, senza averne mai ottenuto nulla. So che per te sarà un duro colpo e che non mi crederai. Lo fu anche per me, soprattutto quando, con un’immensa forza di volontà e coraggio mi spinsi nuovamente nel folto del bosco e raggiunta la radura non trovai alcuna traccia della casetta, né dei fagiani. Solamente un cerchio perfetto di funghi bianchi…

Ho sempre sperato che Matilde, ovunque sia andata a finire, si trovi in un posto meraviglioso, dove vivere avventure fantastiche. A volte ho l’impressione di ritrovare un po’ di lei quando leggo un libro che mi appassiona e così mi sembra di riaverla, anche se per poco, accanto a me.

Bibliografia

D. H. Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, a cura di Silvia Rota Sperti, Feltrinelli, Milano, 2013

W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, a cura di Fernando Cioni, BUR, 2021

J. M. Barrie, Peter Pan, a cura di Aurelia Scorsone, BUR, 2020

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