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Davanti al sentimento pericoloso

Carla Doglio, in questo suo scritto, rielabora Le relazioni pericolose di Laclos, raccontando ciò che il testo non dice. La riscrittura è stata sviluppata nel corso del seminario di Scritture del desiderio, svoltosi nell’ambito del corso di Letterature comparate, della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022.

“Il romanzo di Laclos non si dilunga sul modo in cui si sono conosciuti la Marchesa di Merteuil e il Visconte di Valmont, per questo ho pensato di raccontare il loro primo incontro. I due personaggi inventati, ai quali si rivolgono i protagonisti, sono immaginariamente due esponenti della stessa società borghese parigina, alla quale appartengono Merteuil e Valmont. Narrando un incontro remoto, ho ritenuto lecito introdurre comparse nuove che non compaiono nel romanzo originale di Laclos”.

*

Lettera dalla Marchesa di Merteuil alla Presidentessa di ***.
Mia cara, è trascorso un po’ di tempo dalla nostra ultima corrispondenza; vi scrivo, per giustificare questa mia prolungata assenza. 
Non voglio sembrare scortese iniziando presto a raccontarvi i fatti che mi sono accaduti, ma sento un bisogno irrefrenabile di aprirvi il mio cuore.
Ho trascorso delle giornate assolutamente squisite in compagnia del mio nuovo conoscente: il visconte di Valmont. 
Desidero raccontarvi tutto l’episodio dal suo primo sviluppo, partendo dai nostri primi sguardi scambiati. Mi trovavo al Palazzo de Tuilleries, in compagnia della contessa di Fillon, quando ho notato che un giovane dall’aspetto molto gradevole, rivolgeva lo sguardo nella nostra direzione più di quanto non succeda quando si è privi di interesse.
Trovando molto apprezzabile questo giovane, dall’aspetto, decisi di ricambiare i suoi sguardi, unendoci una punta di malizia che, come voi ben sapete, è la mia virtù principale. Nel frattempo, la pièce teatrale proseguiva e sembrava non finire mai; non ricordo né l’opera che si stesse rappresentando e tanto meno di cosa parlasse. Questo nostro gioco di sguardi potrebbe essere durato un attimo come un’eternità. é curioso notare come, per chi sappia leggere tra le righe, uno sguardo significhi tutto. Capivo già quali fossero le sue intenzioni, mi sembrava addirittura di conoscerlo, allorché non sapevo nemmeno il suo nome; non so se dal mio racconto si percepisca la profondità di questo scambio ma mi sentivo addirittura scompigliata.
Come voi ben sapete, le mie conquiste sono sempre il frutto di una lunga preparazione con maestranza quasi direttoriale; in questo caso è stato diverso, il destino ci ha teso le mani e ne abbiamo afferrata una a testa. é stato proprio così che mi sono sentita, come se una mano esterna mi prendesse con estrema dolcezza e mi trasportasse verso Valmont. Tutta la dolcezza di quella presa traspariva dai dolci occhi del mio nuovo e tenero amico.
La contessa di Fillon, diversamente da me, era stata rapita dallo spettacolo messo in scena, non si era resa conto di tutto il nostro giochetto e del mio nuovo amico. Mi sorprende sempre vedere come certe persone si lascino incantare da spettacoli tanto sciocchi e banali, un’esibizione di pura illusione; io ho sempre preferito creare il mio spettacolo, la mia messa in scena, giocando con l’universo della seduzione senza mai conoscere l’amore vero. Questa, mia cara, è la regola secondo la quale seleziono le mie conquiste. 
Il momento in cui il mio coinvolgimento ha raggiunto il suo apice, è stato a fine spettacolo, quando ci siamo finalmente presentati. Da parte di entrambi, un’attenzione quasi cronometrica ci ha permesso di giungere all’uscita nello stesso istante. A quel punto, i nostri sguardi si sono ancora una volta incrociati, portandoci, questa volta, ad uno scambio diretto. Come lo vogliono le regole in queste circostanze, è stato lui a salutarmi e a presentarsi. Quanta gioia si è impossessata di me, al secondo stesso in cui ho conosciuto il nome di questo curioso personaggio. D’altronde, un nome alquanto nobile: Visconte di Valmont. 
Non credo mi fosse mai capitato, prima di allora, di provare una così forte eccitazione all’idea di frequentare questo singolare seduttore; Io stessa mi sono resa conto di non riuscire a contenere il rossore che si impadroniva delle mie guance.
Come avrete sicuramente intuito, la nostra serata non si è conclusa con un freddo saluto, mi sono congedata dalla contessa di Fillon e ho trascorso alcune ore con Valmont. La sua personalità non ha deluso le mie aspettative, semmai le ha superate. 
Abbiamo avuto modo di acuire la nostra conoscenza con successivi incontri, l’ho anche invitato nel mio castello di ***, dove i nostri desideri sono stati appagati. Da quel giorno, la frequenza e l’ardore con il quale ricerca le mie attenzioni, è irrefrenabile. La nostra corrispondenza è delle più vivaci. Pensate che, da qualche giorno, passo una prima metà della giornata ad aspettare la sua lettera ed una seconda a rispondere. 
Per un primo momento, ho pensato di potermi comportare come in precedenza e che il nome di Valmont, si sarebbe potuto aggiungere alla lista delle mie sedotte vittime.
Non saprei ulteriormente nascondervi il mio turbamento, sono anni che condivido con voi tutte le mie conquiste amorose e conoscete il mio motto “Amoreggiare soltanto con coloro che intendi respingere”. Tuttavia, recentemente, mi sono resa conto di provare, nei confronti di Valmont, tutt’altro che forza di repulsione; durante i nostri incontri cerco di mantenere un profilo di freddezza, in linea con la mia reputazione, ma sento un calore interno divampare come non mi era mai capitato. Una parte di me conosce il rischio di questi legami fondati sul sentimento pericoloso; allo stesso tempo, non saprei farne a meno. La sola idea di interrompere la relazione che si sta instaurando tra di noi, comporta una sofferenza straziante e un senso di vertigine che mi sono del tutto nuovi. 
Cara amica, credetemi, il mio cuore palpita di contrarietà, da un lato gioisco della mia nuova conquista, dall’altra non posso che preoccuparmi per l’intensità del sentimento irrefrenabile che provo.
Ditemi, ve ne prego, quello che fareste al mio posto, quello che pensate. Mi rimetto a voi, nella speranza di ricevere qualcuno dei vostri preziosi consigli; siete l’unica della quale mi possa fidare, nella situazione di sconfitta vergognosa in cui temo di sprofondare.
Conoscete i sentimenti che mi legano a voi in un’amicizia che spero essere eterna, addio.
Parigi, 14 luglio 17**.

Lettre du Vicomte de Valmont à la Marquise de ***.
Ma chère Marquise, vous ne pouvez imaginer avec quelle joie, je me permet de vous informer des faits qui se sont produits peu de temps en arrière. 
Cependant, je considère bien malhonnête de commencer à vous raconter mon histoire, sans avant avoir pris de vos nouvelles. L’on m’avait annoncé que votre santé n’était pas des meilleures, si cela est vrai, j’en suis profondément affecté. Je suis sûr que les bonnes nouvelles que vous apportent cette lettre, pourront diminuer vos indispositions de santé.
Comme nous avions si minutieusement programmé, notre plan qui avait comme but de manipuler les sentiments de la marquise de Merteuil, a marché comme sur des roulettes. Ma conquête a été d’une simplicité presque gênante. En connaissant la réputation de cette femme, jamais je n’aurais pensé pouvoir la séduire avec un banal jeu de regards.
En réalité, je me trouve obligé de reconnaître en vous, toute la connaissance du monde féminin et c’est grâce à vos astuces que notre plan a pu joindre au but aussi rapidement. 
À présent, je ne peux me retenir davantage et je me vois obligé de vous raconter de quelle manière j’ai vécu ces dernières journées, en compagnie de notre jeune ingénue.
Nous nous trouvions au Palais des Tuileries, la Marquise était en compagnie de la comtesse de Fillon. Dès le premier instant où nos regards se sont croisés, elle n’est pas arrivée à détacher ses yeux des miens. Après avoir passé des heures interminables à l’observer avec malice, j’ai trouvé l’occasion pour enfin me présenter et faire sa connaissance. Vous auriez dû voir quels efforts elle devait faire pour chercher à maintenir sa froideur et son tempérament, ne réussissant pas à cacher son excitation. C’était surtout à cause de la rougeur qui envahissait ses joues, que je comprenais quelles étaient ses réelles pensées. Je décidais de profiter de la situation en l’invitant à faire une promenade le long de la Seine. Déjà de la façon dont nous conduisions la conversation, il était évident que nous avions un grand intérêt à affiner notre connaissance. J’ajouterais même que j’ai trouvé plutôt agréable et divertissant, passer du temps en sa compagnie. Il s’agissait d’une conversation piquante et un peu malicieuse qui m’a beaucoup délecté. 
Le moment où j’ai éprouvé le plus grand divertissement, est durant les journées qui ont suivi notre première rencontre. Si vous aviez pu voir la manière presque obsessive dans laquelle, notre pauvre marquise, recherchait mes attentions, je ne sais vous dire combien nous aurions pu rire ensemble. J’en étais presque gêné pour elle. Elle répondait à mes lettres avec une rapidité jamais vue, on aurait dit qu’elle n’avait rien d’autre à faire. Et dans ces mots, je retrouvais toute sa volonté de me revoir, qu’elle essayait vainement de cacher.
Considérez qu’elle a même été jusqu’à m’inviter dans son Château de *** , qu’elle surnomme son Temple de l’amour, le lieu où elle conduit ces amants.  C’est à ce moment là que j’ai pu posséder en toute intimité son corps, en profitant de son ingénuité pour assouvir mon désir. Elle s’est livrée à moi précipitamment et n’arrivait plus à se retenir; en ce précis instant, elle a perdu toute ombre de froideur (qui, par coutume, précède toujours son nom et sa réputation). Je n’ai pas l’intention de m’étendre sur ce sujet, ma bonne éducation me porte à connaitre quelles sont les limites que les bonnes manières ne veulent pas que nous dépassions. Il ne serait pas convenable de vous parler davantage de notre intime liaison et de la façon dont nous avons passé ces heures.
Ma chère amie, il faut admettre que les mœurs de la société et le contentement du désir, ne marchent pas main dans la main.
J’admets que je suis encore étonné de la facilité avec laquelle, la marquise s’est livrée à moi. J’ai surement dû lui sembler bienveillant et respectable (comme j’ai toujours chercher de paraître devant les yeux de la bonne société à laquelle nous appartenons). Elle ne se doute sûrement pas du piège que nous lui avons tendu, mais je crains qu’elle comprenne le danger du sentiment d’amour qui la possède. J’ai été informé par mes sources, que tout son entourage est boulversé par ses comportements: elle alterne des moments de joie folle (quand nous sommes ensemble) et d’autres de profonde angoisse, terrifiée par le nouveau sentiment qui ne lui offre aucun répit. 
Adieu, ma belle amie, je suis fort pressé; je dois rejoindre notre jeune Marquise qui attend avec impatience mon arrivée et je ne peux pas la décevoir. En ce qui concerne votre santé, je vous invite à nouveau à m’informer sur votre condition. Je renouvelle ma profonde affection pour vous, en espérant nous rencontrer au plus tôt; L’envie de jouir avec vous du bon achèvement du plan, est pour moi chaque minute plus forte. Je suis sûr que quand nous commencerons à en rire, une force inconnue ne nous permettra pas de cesser et ce sera un de ces moments merveilleux que seule votre compagnie m’offre. 
Avec tendresse, votre vicomte.
De… ce 25 juin 17**. 

BIBLIOGRAFIA
P. A. F. Choderlos de Laclos, Les liaisons dangereuses, Sodis, Parigi, 2013.

AL PRIMO SQUILLO

Maria Giraudo con questo lavoro riscrive Un amore di Dino Buzzati da un’inedita prospettiva contemporanea e irriverente, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022

Il seguente elaborato nasce dalla riscrittura del personaggio di Antonio Dorigo, protagonista di Un amore di Dino Buzzati, trasportato ai giorni nostri nei panni di Carlo Bertozzi, un uomo mediocre sotto ogni aspetto. Egli desidera evadere dalla sua quotidianità e per farlo si serve degli incontri telefonici con Eva, giovane donna, impiegata in un “centralino-per-soli-uomini”.
Segue il racconto di alcune telefonate tra i due “amanti” che condurranno man mano alla scoperta da parte di Bertozzi di una situazione inaspettata dal gusto amaro.

*

Venerdì. 15:30. Ancora niente.
Pazienza, non ci pensare. Forse dovresti comprarlo quel tappeto di lana color panna, a Lucia piace
15:42. Tutto tace.
Non ti importa, lo sai che non ti importa. Penso che una chiamata alla dottoressa la dovresti fare, mi pare che la chiazza sulla mano di mamma sia cresciuta ancora.
15:53. Sempre nulla.
Fattene una ragione. Pensa piuttosto a finire di redigere i documenti, altrimenti sì che saranno grane.

Squilla il telefono.
Calma, con nonchalances: tira su e dì il tuo cognome, come sempre.

“Ragionier Bertozzi”.
“Carlo?”
Deglutisce. La voce gli scorre dalla bocca nella faringe, gli brucia nell’esofago come un liquore di qualità.

“Eva, finalmente. Quasi che mi preoccupavo”
“No tesoro, ho solo fatto tardi: ho trovato coda alla cassa”
“Torni da fare la spesa?”
“Sì, ho trovato il vino, quello che ti piace. Fermo. Pensavo che se non torni tardi, questa sera possiamo berlo insieme. Ho anche comprato della frutta fresca: fragole”
“Cos’è, sei venuta stupida forse? Vuoi ammazzarmi? O sei solo demente?”
“Carlo…” 
“Fragole, Eva? Sei seria? Come fai a non ricordare?”
“Oh, giusto, le fragole no. Facciamo albicocche allora?”
“Mh. Va bene, sì, certo. Ho ancora i conteggi da finire, cerco di sbrigarmi”
Silenzio dall’altro capo. E poi:
“Hai lavorato molto? Devi essere stanco, cosa posso fare per te?”

La telefonata si concluse sette minuti dopo. Bertozzi si ritenne soddisfatto. Bel lavoro continuava a ripetersi, mentre accendeva un cubano. Bel lavoro.
Cercò di rimettersi ai conti, era molto più concentrato, come al solito dopo quelle telefonate. 
Le telefonate. Ormai era un costume per lui: mercoledì e venerdì, alle 15,10, puntuali. A parte oggi. Quella là cominciava a prenderlo sottogamba. Ah, ma gliene avrebbe fatto passare la voglia lui. Ai ragionieri non piace scherzare, tutti lo sanno. Ma queste ragazzette poco si interessano alle convenzioni, infatti, era anche per questo che lui risultava a tutte così poco attraente: lui sulle convenzioni ci aveva costruito il suo castello. 

Si erano messi d’accordo per “vedersi” la sera stessa, alle nove e mezzo, ma lui sapeva già che avrebbe fatto tardi, lei non lo avrebbe aspettato. D’altronde, un uomo come lui, così ricercato e pieno di impegni, non poteva certo sprecare nemmeno un’ora con quelle come Eva, lo sapeva benissimo. Tuttavia, aveva comunque accettato l’impegno, perché metti mai che d’improvviso si liberasse, tipo che riceveva una telefonata da Poetti che diceva che il cliente aveva disdetto all’ultimo. “Carlo, l’abbiamo perso. Tutto saltato, tutto saltato! Ci stavi ancora lavorando? Lascia perdere, è perso, è perso!”. O magari iniziava a venir giù di brutto la pioggia -che in realtà era plausibile, dato che era tutto il giorno che minacciava pioggia- e tutte le strade si allagavano, non si poteva più circolare e al telegiornale delle 20:00 annunciavano codice rosso, la regione chiedeva lo stato d’emergenza e a tutti i cittadini era consigliato di non uscire nemmeno dalle camere da letto l’indomani. In tal caso il direttore l’avrebbe chiamato, sempre che prendeva ancora il telefono, e gli avrebbe annunciato la chiusura dell’ufficio per il giorno dopo. “Senta Bertozzi, non so se ha avuto tempo per vedere il TG, so che ha da fare lei…”. O magari era un gran terremoto, tipo quello del ’71 a Tarquinia, ma pure peggio, che apriva una voragine enorme al centro dell’ufficio stesso, così che fosse dichiarato inagibile e allora lui, ormai chiaramente senza lavoro, poteva liberamente andarsene e farsi consolare dalle tiepide braccia di Eva. 
Beh, plausibile, chiaro.
In tal caso, allora sì, sarebbe arrivato all’appuntamento a casa di Eva, magari anche con qualche decina di minuti di anticipo. Doveva portare qualcosa? Magari sì, eh. Insomma, andava pur sempre ad un appuntamento con una donna. Donnina, in verità. Eva è molto giovane. Non è che l’avesse ancora molto vista, ma da quello che gli aveva detto Antonella di lei era molto, molto giovane, per non parlare della sua voce al telefono: così appariva ancora più giovanissima. Però non valeva la pena che comprasse qualcosa, d’altronde lei mica era da premiare, con quello scivolone sulle fragole. Lo sapeva! Lo sapeva. Lo sapeva? Sì, sicuro che lo sapeva. E lo faceva apposta, per farlo arrabbiare. Lui sa di essere molto più attraente quando si arrabbia, ha un certo je ne sais quoi e, sicuro, lei l’aveva avvertito. Sì, lei è una che queste cose le avverte, eccome, e l’aveva fatto apposta. Per provocarlo.
Quella poco di buono.

Venerdì. 17:45.
Ora di tornare a casa dopo una scintillante giornata lavorativa. In realtà sarebbe dovuto rimanere ancora almeno una mezz’ora per finire di scrivere il rapporto sull’affare che gli aveva affibbiato Carmine Poetti, dell’ufficio accanto. Aveva già molto lavoro di suo e quello scansafatiche doveva appioppargliene altro ancora. L’aveva sempre detto che quello non aveva voglia di fare niente, sin da quando aveva messo piede in ufficio per la prima volta, gli era bastato uno sguardo: erano le 14:30 e quello stava mangiando delle melanzane per pranzo e nell’intero ufficio si era diffuso un odore disgustoso di fritto, ma nessuno osava dirgli nulla perché quello lavorava lì già da dodici anni. Roba da matti. Prese un appunto mentale: riferire al direttore lo scarico di lavoro (a mie spese) di Poetti e la sua nullafacenza.

Mentre passa in mezzo alla folla di gente in fila per addentrarsi nella bocca della metropolitana, si domanda se mai fra tutte quelle persone ce ne sia una che risponde al nome della prima peccatrice della cristianità. Chissà se lei è lì. Chissà se lo sta guardando, se sa chi sia e lo segue e lo ammira. O magari cambia strada perché la sua vista la disgusta, perché gli uomini rispettabili non cercano sulle pagine gialle il numero di un centralino per soli uomini. 
Questa ignoranza lo soffoca, si sente come un bambino relegato in un’altra stanza quando alla televisione danno un film vietato ai minori di dodici anni. Tuttavia, è l’ignoranza stessa a spingerlo a volerne sempre di più, perché quel bambino, escluso dal salotto, in camera sua gioca a “fare Sherlock Holmes” e cerca di risolvere l’enigma della Sfinge: chi è Eva?

Venerdì. 18:02.
Quattro fermate e scende dalla metropolitana. Si dirige in Via Primo Levi e inserisce le chiavi nella toppa del 5b, apre la porta e…
Buon compleanno papà!”
I bambini gli saltano al collo, mentre Lucia, sua moglie, gli dà un bacio svelto:
“Bentornato, amore. Sei stanco? I bambini avrebbero qualcosa per te”
“Guarda papà l’abbiamo fatta per te!” Dice il maggiore mentre la più piccola porta al papà una torta tutta storta di pan di Spagna con una glassa verde acido sopra.
“Carina. Fatemi togliere il cappotto”
La serata prosegue come una tipica serata a casa Bertozzi: ognuno per i fatti suoi.

Venerdì. 23:30
56 anni e rifugiarsi in bagno come un ragazzino di 15 che ha appena trovato una copia di Playboy. Bertozzi non si sente molto diverso da lui: adesso si trova in bagno con il telefono aziendale nella mano destra a comporre il numero del telefono aziendale di Eva.
Gli risponde lo smistamento chiamate: “Resti in attesa”.
In attesa. Bertozzi è in attesa da quando ha telefonato la prima volta. Un’attesa logorante, vorace, sembra sbranarlo vivo. Un’attesa che sa non avrà mai fine. Non andrà mai all’appuntamento con Eva: loro concordano sempre di incontrarsi, ma quegli appuntamenti sono vuoti, privi di indirizzi, privi di indicazioni per riconoscersi una volta giunti. Un’attesa così stressante che Bertozzi ha pensato più volte di lasciar perdere. Questo non è vivere: essere costantemente sull’attenti, temere il giudizio di chi passa davanti al suo ufficio mentre sbriga le sue chiamate. Temere che Lucia lo venga a sapere, come non lo sa, ma lo teme. Temere che un giorno incontrerà Eva e scoprirà che non rispecchia affatto le sue fantasie, che è troppo alta o bionda o ha gli occhi storti. 
Alla fine comunque Eva prende la chiamata.
“Carlo, è tardi”
“Avevo bisogno di sentirti. Oggi è ancora il mio compleanno”
“Sei a casa tua?”
“Sì”
“Vuoi ancora giocare a far finta? Cosa vuoi che mi inventi questa volta? Che tornata a casa dal lavoro ho spolverato? O magari che mentre aspettavo che tornassi anche tu ho cucinato il tiramisù, perché so che lo adori, e ho preso anche le candeline con il numero 40 sopra, così che una volta a casa potessimo festeggiare insieme?”
Carlo ascoltava inebetito, non si aspettava questo atteggiamento da parte di Eva.
“Non ho mai avuto clienti come te: tutti quanti non vedono l’ora di arrivare al dunque, mentre tu ti trastulli in queste chiacchiere, con questo far finta di avere una vita insieme. Non sei stanco?”
“E cosa dovrei fare secondo te, sentiamo”
“Penso che non dovresti più chiamare”
“Non vuoi che ti chiami più?”
“Certo che voglio che mi chiami, a me conviene che tu continui a farlo, ma non dovresti. Penso che tu non voglia telefonare a me, penso che tu voglia solo qualcuno con cui parlare, qualcuno che ti ascolti, e li hai! Hai una vita, hai dei figli e una famiglia. Hai una bella moglie che a te ci tiene. Smettila di ingannare tutti quanti, te compreso. Buonanotte Carlo, buon compleanno”.
E la chiamata si chiude.

Martedì. 11,45.
Non è ancora il giorno. Nonostante ciò, Bertozzi sente come un formicolio che pervade tutto il corpo, l’unico modo che conosce di alleviare questo fastidio è alzare il braccio, afferrare la cornetta e comporre il numero del centralino di Eva. Lo sa perché prova spesso questa sensazione durante la settimana.

Il telefono squilla. A lungo. Sembra quasi che dall’altro lato non ci sia nessuno, o che abbia chiamato qualcuno di molto lontano e il segnale ci mette molto a raggiungere l’altro capo. Questa situazione lo fa sorridere: stesse anche chiamando qualcuno di molto lontano il prezzo della chiamata sarebbe uguale.

Dall’altro lato prendono la chiamata
“Sì?”
Qualcosa non torna.
“Pronto? Eva?”
Una risatina. “Tesoro, non so chi sia Eva, ma se lo desideri puoi anche chiamarmi così”
A Carlo prende il panico. “Pronto? Pronto! Chi sei? Dov’è Eva?”
“E datti una calmata! Va bene, allora, io sono Eva. Con chi parlo? Cosa posso fare per te?”
Carlo riattacca. Non gli era mai capitata una situazione simile -e dire che è da un po’ che chiama il centralino e prima di sentire Eva aveva telefonato a molte altre donne. Ma qualcosa questa volta non gli sembrava giusto, non era convinto da quella voce molto più bassa e matura di quella di Eva. Ritelefona. ‘Stavolta l’attesa è brevissima. La donna dall’altro lato sembra scocciata.
“Sì?!”
“Lucia?”
Nessuno risponde. Hanno buttato giù.

BIBLIOGRAFIA

D. Buzzati. Un amore. Milano, Mondadori editore, 2015.
J. W. Goethe. Le affinità elettive. Milano, Feltrinelli editore, 2021.
B. Luhrmann (Regia). Moulin Rouge [Film]. 2001.
V. Nabokov. Lolita. Milano, Adelphi, 1996.




L’autorialità polimorfica

Dall’aedo all’algoritmo

Convegno annuale dell’Associazione di Teoria e Storia Comparata della Letteratura

L’Aquila, 24-26 novembre 2022

Compalit » L’autorialità polimorfica. Dall’aedo all’algoritmo

Il tema

Nel racconto La vita privata (The Private Life, 1893), Henry James raffigura uno scrittore sdoppiato fra un io diurno brillante e mondano, e un io notturno che lavora nel silenzio e nel buio assoluti, concentrato fino a raggiungere quello spossessamento di sé che già Platone nello Ione attribuiva agli aedi. L’autore sarebbe dunque un altro spettrale, un fantasma che corrisponde all’io profondo, contrapposto da Proust all’io di superficie, e considerato la vera origine della scrittura.

L’autorialità è una nozione cruciale dell’estetica non solo letteraria, che ha conosciuto innumerevoli metamorfosi: morti e resurrezioni, negazioni ed espansioni. Nella cultura contemporanea si percepisce a riguardo una tensione marcata fra spinte contrastanti. Da un lato si afferma sempre più una visione forte e quasi sacralizzata dell’autorialità: basta pensare ai festival letterari, alle case degli artisti allestite e visitate con feticismo maniacale, ai film biografici, e a tante strategie di marketing editoriale; fenomeni che sembrano andare in direzione contraria rispetto alla teoria critica, che da tempo nega ogni corrispondenza diretta tra biografia e scrittura e ogni idea forte di soggettività. L’autore sembra aver preso il posto del genere letterario, in quanto istanza che legittima e inquadra il testo: la scelta dell’anonimato o dello pseudonimo (il caso Elena Ferrante) è una chiara reazione a questa tirannia. Dall’altro lato la rivoluzione digitale ha da tempo trasformato le nozioni di testo e di autorialità, rendendole più fluide e frammentarie. Si diffondono sempre di più pratiche che scompaginano l’idea romantica di originalità, su cui si è imbastita a suo tempo l’estetica dell’autorialismo: il remix, il cut and paste, la fan fiction; pratiche che sono state affrontate da saggi importanti come Uncreative Writing di Kenneth Goldsmith e Unoriginal Genius di Marjorie Perloff. In questo panorama intermediale, la creatività consiste sempre più nell’attingere da uno smisurato archivio culturale, per poi rimontarlo liberamente in combinazioni sempre più ardite.

Fra questi due estremi, il ritorno della nozione forte di soggettività autoriale e la sua decostruzione nelle nuove tecnologie, c’è uno spazio intermedio e ibrido sicuramente ancora tutto da esplorare, che include, per fare solo qualche esempio: la sfida all’autorialità di stampo occidentale da parte delle culture meticce nate della decolonizzazione; il recupero dell’autorialità forte nelle culture subalterne a fine di rivendicazione e autoaffermazione; la decostruzione dell’autorialità da parte del pensiero queer con la nozione di performativo; la metamorfosi dell’autorialità nella pratiche intermediali; la messa in discussione del canone attraverso il recupero di figure sotterranee e subalterne; le pratiche sempre più diffuse di autorialità doppia o multipla.

Il Convegno Compalit 2022 mira a indagare il polimorfismo dell’autorialità, innanzitutto sul piano storico: dall’oralità dell’epica antica, così lontana dalla visione moderna, alle prime affermazioni della funzione-autore nell’ellenismo; dalla prassi medievale, più variegata e articolata di quanto si creda, alle varie strategie di stilizzazione dell’io autoriale (il self-fashioning) nell’età moderna che conosce svariate fasi cruciali, dal Rinascimento all’epoca vittoriana e al Modernismo.  Altrettanto articolata è anche la riflessione teorica sull’autore, che include concezioni estetiche (dal sublime al camp), codificazioni narratologiche, e ribaltamenti in chiave femminista e postcoloniale.  L’autorialità polimorfica trova un’espressione particolarmente significativa nel fenomeno dei talenti doppi e plurimi (quanto cambia l’immagine di un autore attraverso i diversi linguaggi in cui si esprime, visivo, verbale, musicale?), e nelle dinamiche intermediali, soprattutto in arti composite e collettive come il cinema, la serialità televisiva, l’opera lirica. In questa chiave ci occuperemo anche di pratiche in cui l’autorialità non è ancora ben riconosciuta e legittimata: la recitazione, la performance, la traduzione, la sceneggiatura, l’editing. Infine, assieme a Compalit Scuola il convegno affronterà come la riflessione sull’autorialità possa incidere sull’insegnamento e sulle nuove configurazioni della didattica, attraverso una ridefinizione delle nozioni di classico e dei metodi di lettura.

Le linee di ricerca

Le sessioni parallele del convegno sono articolate lungo sei linee di ricerca, di cui una è stata concepita in collaborazione con Compalit Scuola al fine di promuovere una riflessione più articolata sui problemi dell’autorialità nell’insegnamento scolastico. Per chi volesse inoltrare un intervento, è necessario conformarsi alle linee-guida. Non saranno infatti accettate proposte che non abbiano un’evidente pertinenza rispetto al tema del convegno e a tali indicazioni. Altrettanto cogente ai fini della selezione sarà l’impianto autenticamente teorico-comparatistico del progetto, attestato dall’abstract e anche dal profilo bio-bibliografico del proponente. Le proposte potranno partire anche da casi specifici, ma che dovranno essere dotati di valore generale, richiamando un quadro teorico-metodologico chiaro e originale.

 N.B.: Le proposte di intervento vanno inviate solo ai/alle coordinatori/coordinatrici dell’ambito a cui si intende partecipare.

1. Metamorfosi teoriche e storiche dell’autorialità

Coordinato da: Stefano Ercolino(stefano.ercolino@unive.it), Daniele Giglioli (daniele.giglioli@unitn.it), Donata Meneghelli(donata.meneghelli3@unibo.it)

Quella di autore tende ormai ad essere una nozione irriflessa, data per scontata e soprattutto schiacciata su alcuni assunti estetici e culturali che datano dalla modernità e che vengono assolutizzati o indebitamente generalizzati. Mentre invece una serie di mutamenti storici (dall’invenzione della stampa al tramonto della società di corte fino all’emergere delle questioni connesse al diritto d’autore, per citarne solo alcuni) ha ripetutamente modificato lo statuto, il ruolo, la funzione dell’autore in relazione ai testi.

La parola “autore” non ha sempre avuto lo stesso significato, non ha sempre rimandato a una stessa concezione e a uno stesso insieme di pratiche.  Ancora nei dizionari del ’600 essa veniva connessa non tanto al fatto di aver scritto ma di aver pubblicato. Per non parlare della sua ricchissima filiera etimologica: autore da augere, far crescere, suscitare, il che implica sia il “dar inizio” (accezione moderna: l’autore come “causa prima” dell’opera), sia il conferire sviluppo, svolgimento, amplificazione a qualcosa di già presente (accezione antica: autore come allievo delle Muse figlie della Memoria, conservatore e accrescitore di un patrimonio tradizionale). Giace al cuore del suo concetto la tensione, che può essere sia cooperazione (aspetto che curiosamente accomuna tanto la sua concezione antica quanto quella contemporanea) sia competizione (l’idea moderna di originalità del soggetto individuale che non ammette niente di significativo prima di sé). La storia dell’autore, insomma, è una storia fatta di trasformazioni, ma anche di sopravvivenze, di slittamenti, di inaspettati ritorni.

Il panel raccoglierà interventi interessati a riflettere su questo ordine di problemi, con particolare – ma non esclusiva – attenzione a:

  • le trasformazioni storiche della nozione di autore;
  • le diverse pratiche dell’autorialità e i diversi quadri istituzionali all’interno dei quali essa ha trovato posto;
  • i termini i cui la critica, la teoria letteraria, l’estetica hanno concettualizzato il ruolo e la figura dell’autore;
  • la nozione di autore in diversi ambiti disciplinari (filologia, storia del libro…)
  • la dialettica tra concezioni dell’autore e corpus letterario eletto esplicitamente o implicitamente a modello di riferimento (particolari generi, la produzione letteraria di particolari epoche e/o aree geo-culturali, ecc.).

Si raccomanda in special modo di non concentrarsi unicamente sull’epoca moderna e contemporanea, in quanto la ricchezza della nozione può emergere solo a partire dall’ampiezza del suo spettro semantico e del suo impiego pragmatico.

2. Autorialità decentrata, marginale, queer

Coordinato da: Serena Guarracino(serena.guarracino@univaq.it), Attilio Scuderi (atscu@tin.it), Fabio Vittorini(fabio.vittorini@iulm.it)

Mentre la teoria letteraria si confrontava con presunte morti e resurrezioni inattese della figura autoriale, movimenti come il femminismo, la teoria queer e la critica post- e decoloniale hanno riscritto i confini dei canoni letterari e culturali.  Questo ha avuto conseguenze rilevanti sulle morfologie dell’autorialità sia per la ricezione della tradizione che per la produzione contemporanea, ampliando la portata di quello che nel 1990 Kobena Mercer, in riferimento all’arte “nera”, ha chiamato “l’onere della rappresentazione”.

La spinta ad ampliare il campo di studi includendo soggettività non rappresentate dai “dead white males” del canone occidentale in parte ha replicato, piuttosto che decostruito, la centralità della figura autoriale, grazie anche ad un panorama contemporaneo che celebra una “differenza” prima di tutto di autrici/autori/autor*, ossia dei corpi prima che delle produzioni artistiche. E tuttavia, nelle strettoie imposte da un mercato culturale globale in cui la figura autoriale è parte di un’ampia strategia di marketing, la portata politica di queste autorialità (de)centrate non può dirsi completamente disinnescata; al contrario, questa si dimostra rilevante tanto per la dimensione del contemporaneo quanto in prospettiva diacronica. È infatti possibile rileggere oggi la dimensione storica dell’autorialità utilizzando il paradigma del decentramento delle scritture marginali, “minori”, spesso censurate, che nel corso delle pratiche letterarie hanno costituito il costante contrappunto ai fenomeni di canonizzazione: dai bachtiniani generi serio-comici dell’antico e del medioevo alle scritture censurate, maschili e femminili, del libertinismo moderno; dalle prime forme di scrittura collettiva settecentesche ad alcune scritture testimoniali della schiavitù e della tratta atlantica, fino all’autrice/autore “debole” dei sistemi di comunicazione di massa ottocenteschi.

Sia nella revisione del canone che nella produzione contemporanea, quindi, emergono soggettività che lavorano “in contrappunto” (secondo una nota espressione di Edward Said), occupando con corporeità eccentriche e antiegemoniche l’attuale panorama intermediale in modalità che sarebbero state impensabili meno di un secolo fa. E se la questione della rappresentatività rischia di appiattirsi negli incasellamenti della “identity politics”, una visione performativa dell’autorialità permette l’assunzione anche temporanea di un essenzialismo strategico per mettere a tema questioni affatto risolte in un mondo ancora profondamente diseguale.

In tale quadro ricco e complesso, il panel intende sollecitare interventi su come questi movimenti di pensiero hanno influito sulle forme dell’autorialità. Le proposte potranno muoversi, in via non esclusiva, partendo dai seguenti temi:

– Ampliare e/o decostruire: archeologia culturale e nuovi canoni

– Mettere in scena la figura autoriale: autorialità e teorie della performance

– Autorialità e autorevolezza dei corpi queer

– Soggetti eccentrici: femminismi, libertinismi e questione del genere

– L’intellettuale pubblico come autorialità intermediale

– Postcolonialismo, intersezionalità e la razzializzazione del corpo autoriale

3. L’autorialità disseminata nei media

Coordinato da: Massimo Fusillo(massimo.fusillo@gmail.com), Mirko Lino (mirko.lino@univaq.it), Luca Zenobi (luca.zenobi@univaq.it)

L’autorialità si è sempre configurata in modo diverso a seconda dei media e delle arti, ed il confronto fra le diverse declinazioni mediali è significativo in ogni epoca e in ogni contesto culturale. Gli ecosistemi narrativi, i transmedia storytelling, l’immersività di esperienze videoludiche, sono tutti fenomeni che spingono al riposizionamento del concetto di autorialità nella rete dei media contemporanei – un concetto messo già in crisi in epoca moderna dall’ingresso nel mondo della letteratura e delle arti dei mezzi di comunicazione di massa. L’ampio utilizzo di nuove terminologie che delineano i modelli della media autorialità – Game Designer, Showrunner, Transmedia Mentor, ecc. – testimonia questa trasformazione.

All’interno di un contesto dinamico e in transizione, la nozione di autorialità svolge, dunque, una rilevante funzione epistemologica, con cui interpretare il senso profondo delle forme di produzione e ricezione.

Il panel intende indagare le declinazioni dell’autorialità all’interno di diverse prassi artistiche e mediali, prestando attenzione alla persistenza della visione letteraria del concetto o al discostamento da essa. Per inquadrare l’eterogeneità di stimoli che intervengono in questo dibattito, si sollecita l’invio di proposte che si focalizzino, tra gli altri, sui seguenti aspetti:

  • La definizione dell’autorialità nel sistema delle arti e dei media, spaziando dalla letteratura al cinema, dalla televisione alle arti visive, fino a forme storicamente considerate ‘marginali’ (es. comic novel e videogame);
  • I modelli di autorialità nel complesso panorama delle narrazioni mediali (es. storyworld transmediali, ecosistemi narrativi);
  • L’autorialità nei processi di adattamento, non solo dal testo letterario a quello filmico, ma anche nelle derivazioni da più media;
  • La dimensione autoriale nei testi interattivi (remix, mash-up e altre forme di manipolazione), in relazione agli schemi narrativi pianificati da algoritmi;
  • L’autorialità transmediale, attraverso l’utilizzo di diversi linguaggi, canali e prassi mediali (Tv show, blog, post sui social media, siti web, ecc.);
  • L’autorialità non-umana, ovvero la riflessione sulla validità delle categorie storicizzate dell’autorialità davanti a romanzi e audiovisivi e altri prodotti artistici creati da Intelligenze Artificiali (I.A.).
4. Talenti doppi e plurimi

Coordinato da: Stefania Rimini(s.rimini@unict.it), Maria Rizzarelli(m.rizzarelli@unict.it), Beatrice Seligardi (bseligardi@uniss.it)

 La categoria ermeneutica del “doppio talento”, tesa a indagare le interferenze tra codici differenti messe in atto da chi si è cimentato, all’interno della propria produzione artistica, in due media diversi con una continuità significativa, sembra a prima vista recuperare un intendimento forte di autorialità, intesa sia nei termini biografici della personalità artistica che si è espressa attraverso mezzi differenti, sia in quelli di un’intenzionalità creatrice che travalica i confini della singola opera, permeando più attestazioni che trovano, nella figura centrale dell’autore/autrice, un punto comune di unione e di orientamento all’interpretazione.

Non è un caso che la nozione di “doppio talento” sia stata applicata, primariamente, mettendo al centro la forma autoriale per antonomasia, ossia quella letteraria, con un’attenzione che è stata rivolta, perlopiù, a interferenze con la musica o con le arti figurative e alla «doppia vocazione» creativa degli scrittori-pittori (si veda il saggio di Michele Cometa, che è fra i primi ad aver tentato la strada di una mappatura teorica) o a casi specifici considerati di riferimento per una particolare tradizione – uno su tutti, l’esempio di Pier Paolo Pasolini –, dialogando soprattutto con forme artistiche in cui una nozione forte di autorialità risulta preponderante nell’intendimento stesso dello studio della disciplina (pittura e cinema d’autore su tutte).

Ma cosa accade se si cerca di ampliare lo sguardo in direzione interdisciplinare, includendo anche pratiche artistiche che esulano da quelle più tradizionali (performance, fotografia, graphic novel, cinema sperimentale, cinema mainstream, arte digitale ecc.) e che spesso sono portatrici di forme autoriali a loro volta più ibride e partecipative? In che modo la nozione di autorialità può trasformarsi alla luce di un “talento plurimo”, in cui anche la dimensione di genere può indurre alla creazione di spazi alternativi e ad una ridefinizione del ruolo dell’autore/autrice?

Scopo di questo panel sarà dunque quello di riflettere sull’autorialità del “doppio talento” verso un suo possibile e ulteriore intendimento “plurimo”, partendo sì dalla letteratura, ma ponendola in dialogo con le altre arti sulla base anche delle contemporanee prospettive sull’intermedialità e sulla transmedialità. Verranno accolti contributi tesi a ragionare sia sul fronte teorico-metodologico, sia su casi di studi che dovranno essere necessariamente declinati in un’ottica fortemente comparatistica, che metta in luce, nell’analisi dei testi letterari e non, una proposta teorica di riferimento.

5. L’autorialità sommersa: teatro, traduzione, lavoro editoriale, ghostwriting

Coordinato da: Angela Albanese(angela.albanese@unimore.it), Doriana Legge(dorianalegge@gmail.com), Mattia Petricola(mattia.petricola@gmail.com), Niccolò Scaffai (niccolo.scaffai@unisi.it)

Nel campo culturale (arte, letteratura, produzione) è stata e continua a essere decisiva la funzione di attori e attrici, traduttori e traduttrici, editor, ghost writer; nel complesso, si può dire che tali figure esprimano una autorialità sommersa. Il panel si articolerà principalmente in questi settori:

  • Il lavoro di attori e attrici è stato a lungo assimilato a quello di interpreti di un testo, ma nel ricordo di spettatrici e spettatori la firma attoriale è chiaramente e sempre riconoscibile come autonoma rispetto a quella dell’autore. È un vizio storico che ci fa giudicare come capolavori quelli della letteratura drammatica ottocentesca, ma impedisce spesso di riferirsi con gli stessi termini all’Otello di Tommaso Salvini, al Saul di Gustavo Modena, alla Maria Stuarda di Adelaide Ristori, alla Fedra di Rachel, all’Amleto di Sarah Bernhardt o a quello di Edmund Kean. I cosiddetti interpreti realizzano qualcosa che va al di là dell’azione indicata dal testo: c’è chi ha parlato di poesia dell’attore (Taviani, 1991), chi di attore creatore (Meldolesi, 1996), ma già Wagner (1849) individuava nell’attore di genio la sostanza stessa dell’arte teatrale. Rispetto a queste linee di riflessione, ed estendendo il terreno di indagine a diversi contesti storici e geografici, si sollecitano contributi sulle diverse declinazioni di autorialità sommersa nell’ambito teatrale e sulle modalità attraverso le quali la creazione attoriale può rendersi indipendente da quella letteraria.
  • Nel 1959 Renato Poggioli intitolava The Added Artificer un importante saggio sul tradurre (apparso nel volume collettaneo On Translation): un titolo emblematico per ribadire l’idea del traduttore come artefice aggiunto all’artefice. C’è chi si è spinto anche oltre, rivendicando persino un’esclusiva autorialità dell’opera tradotta, espressione anche della poetica e dello stile di chi traduce. Eppure la storia della traduzione ci ha consegnato esempi eclatanti di identità autoriali nascoste, specie fra le traduttrici: si pensi a Lucia Morpurgo Rodocanachi, traduttrice fantasma di Montale, Vittorini, Gadda, Sbarbaro, che si servivano delle sue traduzioni come prima bozza di lavori poi rifiniti e firmati solo da loro. La questione dell’invisibilità delle traduttrici e dei traduttori e della loro reclamata autorialità si scontra ancora, e a maggior ragione nell’epoca del digitale, con una prassi spesso riluttante a riconoscere il diritto d’autore, una retribuzione non forfettaria, il controllo sulle correzioni, la presenza del proprio nome in copertina. I contributi potranno riguardare, tra l’altro: poetiche della traduzione, riflessioni sul genere; autorialità, traduzioni collaborative, traduzioni automatiche; autorialità ed etica della traduzione; rapporto giuridico di traduttrici e traduttori con le case editrici; storia della traduzione e autorialità: mondo classico, Medioevo, Umanesimo.
  • È rimasta spesso sommersa anche una forma di autorialità legata al lavoro editoriale. Collaboratori e consulenti delle case editrici hanno svolto una funzione che è andata spesso ben oltre il semplice incarico di revisione, contribuendo invece a orientare le scelte degli autori. Non sempre a questa funzione corrisponde il riconoscimento di un ruolo intellettuale, in particolare quando le mansioni editoriali sono state svolte dalle donne; in certi casi, infatti, a lasciare sottotraccia o a rimuovere l’autorialità ha concorso anche il genere. Questo tipo di autorialità ‘per procura’ è stata esercitata anche da scrittori e scrittrici che hanno lavorato presso le redazioni: si pensi, nel contesto italiano, al contributo di Calvino e N. Ginzburg alle edizioni Einaudi. D’altra parte, in tradizioni come quella statunitense sono diventate famose, proprio per il loro ruolo, figure quali Maxwell E. Perkins (editor di Hemingway e Fitzgerald) o Gordon Lish (editor di Carver). Oggi il lavoro dell’editor incide in modo sempre più pervasivo sulla scrittura degli autori, modellandone lo stile. Il panel potrà includere proposte che riguardano: il rapporto tra autori o autrici e i loro editor; la collaborazione di un autore alla preparazione o revisione dell’opera altrui; l’influenza degli editor sullo stile letterario; lo studio di paratesti editoriali; la riflessione sul gender in rapporto all’anonimato editoriale.
  • Last but not least, vi è poi una forma di autorialità che consiste proprio nel rimanere intenzionalmente sommersa. Le professioni in cui si esercita giocano proprio con la semantica dell’in/visibilità: ghostwriter, scrittore ombra, scrittore fantasma, écrivain fantôme. Se oggi associamo queste pratiche principalmente alle opere di personalità della politica, dello sport, dello spettacolo e della musica pop, l’esplorazione dell’autorialità fantasma copre in realtà una casistica più estesa, sincronicamente e diacronicamente. Si pensi ad esempio a come, fino ad un passato molto recente, autrici e autori-ombra siano stati spesso definiti con spregio razzista attraverso l’espressione nègre littéraire. O a come gli scritti di Alexandre Dumas padre siano stati di frequente il risultato di un lavoro collettivo non molto dissimile da quello portato avanti nelle botteghe artistiche del Rinascimento. Si dà inoltre il caso opposto di autrici o autori (tra i più celebri, H.P. Lovecraft) le cui opere complete oggi includono lavori da loro scritti come ghostwriter per conto di altri. Le proposte potranno contemplare argomenti quali: il ghostwritingcome forma di autorialità; le rappresentazioni dei rapporti tra autrici/autori e scrittori/scrittrici fantasmi (come, ad esempio, dei film L’autre Dumas, diretto da S. Nebbou, e The Ghost Writer, diretto da R. Polanski).
6. L’autorialità in classe (in collaborazione con Compalit Scuola)

Coordinatori/coordinatrici: Emanuela Bandini (emanuela.bandini@unimi.it), Federico Bertoni(federico.bertoni@unibo.it), Orsetta Innocenti(orsetta.innocenti@virgilio.it)

L’autorialità letteraria e artistica è uno dei nodi nevralgici della didattica, scolastica come universitaria, dei saperi letterari e umanistici. La ricerca e la didattica universitarie tendono negli ultimi anni a riarticolare questo concetto (talora seguendo anche mode critiche di diverso fondamento) attraverso forme di decostruzione del canone e di ridiscussione dei meccanismi creativi (estetiche della ricezione, gender studies, estetiche delle arti, riflessione sul contemporaneo); nell’esperienza della scuola ricerca e pratica didattica sembrano invece e ancora, molto se non troppo, bloccate sul modello di un’autorialità intesa in senso positivistico e ottocentesco.

Il panel, a partire dal legame costituzionalmente centrale e non scindibile tra livelli formativi, in un’ottica di sempre maggiore integrazione e scambio tra esperienze scolastiche e universitarie (tra ricerca, scientifica e didattica, sia nell’università sia nella scuola, per affrontare i mutamenti dirompenti se non violenti del presente), intende porre un insieme di domande che hanno una ricaduta fondamentale sull’esperienza culturale degli studenti e delle studentesse così come dei e delle docenti. Quanto l’insegnamento letterario e umanistico nelle classi scolastiche è aperto a una declinazione che superi la didattica basata sugli Auctores (che diventano quasi il controcanto ‘obbligato’ di un sistema letterario basato su contesti prevalentemente nazionali), spesso ancora privilegiata rispetto ad approcci che mettano al centro l’opera letteraria, collocata sia nel suo contesto storico-culturale che in quello delle sue molteplici letture e ricezioni?

Che ruolo ha l’autorialità al femminile e la dimensione della polimorfia e della differenza di genere nel percorso di trasmissione dell’esperienza letteraria; ovvero quanti studenti e quante studentesse apprendono in classe, per fare degli esempi, dell’omosessualità di Leopardi, della scrittura declinata al femminile, o delle reali esperienze biografiche e culturali di molti autori e molte autrici al di fuori della pruderie di una consolidata mitologia del genio creatore che continua a persistere più o meno sotto traccia?

Che funzione e che ruolo ha (può/deve avere) l’autorialità del docente, inteso come intellettuale, lettore e interprete non solo dei testi letterari, ma anche – soprattutto? – della concreta realtà socioculturale e relazionale in cui opera, che, con la sua professionalità, attraverso quel processo che Federigo Enriques ha definito “insegnamento dinamico”, costruisce una cornice di senso nella quale progressivamente includere il piacere dell’incontro con i testi, e quello della pratica del leggere, la costruzione delle competenze di interpretazione e analisi? E ancora: quale è il ruolo autoriale dei e delle docenti nel momento in cui, dentro il sistema chiuso della classe, caratterizzato da regole più o meno inespresse o espresse, ma comunque condivise, si pongono come colui o colei che, per il fatto stesso di essere ‘in cattedra’, veicola un approccio, un modello, la scelta di un’opera, un canone, dotandole ipso facto di un’aura in nome di questa stessa autorialità di ruolo riconosciuta (dal sistema educativo così come dal sistema classe)?

Come si dialoga su questo tema con una generazione che è abituata, anche compulsivamente, a meccanismi immersivi e immediati di ricezione estetica e cognizione nei quali autore e fruitore si fondono e confondono? Come si lavora con lo studente/la studentessa per stimolare la sua autorialità dall’aspetto più immediato e basilare (l’elaborazione e la stesura di ‘testi’ dalle molteplici funzioni – elaborati, verifiche, testi funzionali) a quello più complesso e raffinato (scrittura argomentativa e creativa, scrittura biografica); per giungere infine a quel riconoscimento ermeneutico dell’autore inteso come alterità radicale (della sua lingua, del contesto storico da cui proviene, della sua concezione del mondo) prima ancora che come amico e compagno di viaggio?

Le linee di ricerca possono comprendere (senza alcuna intenzione di esaustività):

  • la centralità/decentramento del concetto d’autore nello studio dei testi e della storia della letteratura;
  • la persistenza/accantonamento del biografismo nella manualistica e nella prassi didattica;
  • l’autorappresentazione degli insegnanti nelle scritture dedicate alla rappresentazione del mondo scolastico;
  • la percezione del docente come auctor nella rappresentazione mediatica e nel dibattito sulla scuola;
  • il concetto di autorialità del e della docente che si muove in un presunto canone (o percepito come tale);
  • l’influsso di un sempre maggiore impulso a una generica tecnologizzazione della didattica sulla percezione del ruolo autoriale del/la docente;
  • la dialettica tra libertà di insegnamento e la cornice di un Esame di stato che vede nella prova scritta di italiano l’unica nazionale e identica per tutti gli indirizzi;
  • il concetto di autorialità dello studente e della studentessa, così come quello di autorialità polifonica della classe come gruppo.

Adesione al convegno: modalità operative

1) Proposta comunicazioni per le sessioni parallele

Per partecipare al convegno è necessario inviare, entro il 1 giugno 2022, una proposta di intervento solo ai coordinatori di sezione (vedi sopra). La proposta deve contenere le seguenti informazioni: a) Titolo dell’intervento; b) Abstract di lunghezza compresa tra le 1000 e le 2000 battute (spazi inclusi); c) Breve profilo biobibliografico (max10 righe); d) Indicazione dell’ambito a cui si desidera aderire; e) Iscrizione all’Associazione (già avvenuta negli anni passati oppure nuova richiesta: vedi punto 2). Il Comitato scientifico vaglierà l’effettiva pertinenza delle proposte rispetto all’argomento e all’articolazione del convegno.

Le proposte dovranno riguardare da vicino le sei linee di ricerca sopra elencate, sviluppando riflessioni di carattere teorico e/o analisi testuali in chiave teorico-comparata. Le comunicazioni potranno muoversi in prospettiva interdisciplinare, interdiscorsiva o intermediale, e su uno scacchiere geografico esteso alle culture extraeuropee e postcoloniali. Per agevolare la partecipazione e lo scambio di idee, sono ammesse comunicazioni anche in inglese o in francese.

La durata delle comunicazioni sarà tassativamente contenuta entro i 15 minuti.

È peraltro indispensabile che ogni partecipante garantisca la sua presenza almeno fino al termine della sessione, per poter partecipare alla discussione. Il mancato rispetto di tali condizioni comporta l’esclusione d’ufficio dell’intervento ai fini della successiva pubblicazione degli atti.

2) Borse di studio

Quest’anno verranno messe a disposizione 6 borse di studio del valore di 500 euro ciascuna per studiose e studiosi non strutturate/i al fine di coprire i costi di partecipazione al convegno. I borsisti verranno selezionati da parte del Direttivo di Compalit in seguito all’accettazione del paper da parte dei coordinatori di sezione. Chi volesse usufruire di tale opportunità dovrà farne esplicita richiesta al momento dell’invio della proposta.

3) Iscrizione all’Associazione

La possibilità di tenere una comunicazione nella sede del convegno è subordinata all’iscrizione all’Associazione per gli Studi di Teoria e Storia Comparata della Letteratura. All’atto della proposta, sarà necessario precisare se l’iscrizione all’Associazione è stata compiuta negli anni passati (e dunque si procederà al rinnovo per l’anno in corso) o se invece avverrà per la prima volta in occasione di questo convegno. In tal caso, andrà contestualmente compilata una motivata richiesta di iscrizione che contenga una sintetica descrizione della propria attività di ricerca, indirizzata al Presidente dell’Associazione (massimo.fusillo@gmail.com).

Il contributo per le nuove adesioni e per i rinnovi è fissato in 70 euro per gli strutturati (ricercatori, professori associati e ordinari in Italia e/o assimilabili all’estero), e in 35 euro per tutti gli altri (dottorandi, borsisti, assegnisti, contrattisti, ricercatori indipendenti, insegnanti di scuola in Italia e/o assimilabili all’estero). Il contributo dovrà essere versato con congruo anticipo rispetto alla data del convegno, in modo da poter avere traccia delle operazioni, tramite bonifico bancario (le istruzioni per l’iscrizione e i dati bancari sono reperibili qui: http://www.compalit.it/iscrizione/).

4) Definizione del programma e pubblicazione degli atti

La pubblicazione del programma definitivo del convegno è prevista per il mese di settembre 2022.

I paper approvati e presentati al convegno saranno successivamente selezionati secondo il meccanismo della peer-review per essere pubblicati. Se ne richiederà pertanto l’invio in tempo utile perché i curatori, congiuntamente al Comitato direttivo e alla redazione editoriale, possano allestire con cura le operazioni di lettura e valutazione, presumibilmente intorno a marzo-aprile 2023 (nella sede del convegno verrà comunicata con precisione la data ultima per la consegna dei saggi e le modalità di pubblicazione).

A causa dell’emergenza sanitaria attualmente in corso, al momento si prevede lo svolgimento del convegno in modalità mista, con la possibilità di partecipare sia in presenza che in via telematica. Ulteriori aggiornamenti verranno dati in occasione della pubblicazione del programma.

Comitato scientifico

Angela Albanese, Emanuela Bandini, Federico Bertoni, Stefano Ercolino, Massimo Fusillo, Daniele Giglioli, Serena Guarracino, Orsetta Innocenti, Doriana Legge, Mirko Lino, Donata Meneghelli, Mattia Petricola, Stefania Rimini, Maria Rizzarelli, Niccolò Scaffai, Attilio Scuderi, Beatrice Seligardi, Fabio Vittorini, Luca Zenobi

Comitato organizzativo

Massimo Fusillo, Serena Guarracino, Doriana Legge, Mirko Lino, Mattia Petricola, Luca Zenobi

Vado… ma dove?

Marta Diotallevi, in questo lavoro, riscrive in un’edita prospettiva la lettera di Didone tratta dalle Eroidi di Ovidio, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022

“Lo avesse fatto un uomo sarebbe stato un gran furbo però, vero? Rideremmo e gli faremmo pure i complimenti. Bravo, bravo. Invece lo ha fatto una donna che si è dimostrata un po’ meno ingenua e un po’ più scaltra, un po’ più forte e un po’ meno misera”.

*

Personaggi:
Direttore d’orchestra
Direttore artistico
Professor d’orchestra della sezione archi
Didone
Osmida
Enea

Scena. Stanza di un teatro. Pomeriggio tardo. I personaggi sono intenti a imbastire l’allestimento dell’opera la “Didone abbandonata” (1747) di Niccolò Jommelli e Pietro Metastasio e si confrontano sull’aria finale di Didone “Ah che dissi infelice!”. Affrontando delle difficoltà interpretative, il gruppo inizia una discussione sulla figura di Didone e sul tema dell’amore.

(Didone canta l’aria “Ah che dissi infelice!”)
“Ah che dissi, infelice! A qual eccesso mi trasse il mio furore?
Oh Dio, cresce l’orrore! Ovunque io miro,
mi vien la morte e lo spavento in faccia:
trema la reggia e di cader minaccia.
Selene, Osmida! Ah! tutti,
tutti cedeste alla mia sorte infida:
non v’è chi mi soccorra, o chi m’uccida.
Vado… Ma dove? Oh Dio! Resto… Ma poi… Che fo?
Dunque morir dovrò
senza trovar pietà?
E v’è tanta viltà nel petto mio?
No no, si mora; e l’infedele Enea
abbia nel mio destino
un augurio funesto al suo cammino.
Precipiti Cartago,
arda la reggia; e sia
il cenere di lei la tomba mia.”

Direttore d’orchestra    No! No! Così non va!

Direttore artistico    Cielo, non ne posso più.

Direttore d’orchestra    Cos’è? Una puntata di Febbre d’amore? Per fare una cosa fatta a metà io non la faccio. Né tanto meno ci metto la faccia, chiaro?

Direttore artistico    Si ma tra un po’ più che la Didone abbandonata facciamo la Didone sfiancata!

Didone    No dai, rifacciamola un’ultima volta. Ci sono quasi, devo solo concentrarmi meglio.

Professor d’orchestra    Ma non è questione… è che ce ne manca un pezzo.

Enea    Ma più d’uno direi!

Professor d’orchestra (rivolgendosi a Didone)    E’ quel Vado ma dove? che non funziona. Va bene tutto, va bene calarsi nella parte, lo sconforto,… ma lei un’idea di quello che sta facendo ce la deve avere? Se no facciamo prima ad andarcene tutti a casa e tanti saluti!

Osmida    Ma non credo che Didone non sapesse cosa fare. Penso che già lo avesse deciso che si sarebbe fatta fuori e tanti saluti a Enea.

Enea    Ma va! È Enea l’unico che sapeva cosa fare.

Osmida    Infatti! Lui sa di doversene andare. E Didone sa che troverà un’altra e che, anche se nessuno lo amerà mai quanto lei, Enea sarà felice. Ma lei si chiede: e io? Adesso? Cioè lui se ne va via, ma io? Dove vado senza di lui?

Enea    Ma perché vuole supplicarmi di restare!

Osmida    Ma cosa stai dicendo! Didone dice Non ti permetterò di restare. Anzi di fatto si accolla l’incarico di cacciarlo in mare senza che si spezzi il collo tra un’onda e l’altra. Che razza di sconsiderato. La poveretta gli chiede solo di aspettare un po’, giusto che il mare si calmi e che lei si abitui all’idea dell’abbandono.

Direttore artistico    Non tutti sono egoriferiti come te Enea.

Osmida    Va beh non ci allarghiamo! Anche Enea ha il suo destino insomma.

Direttore artistico    Ma guardala! Prima fa la paladina della giustizia poi però getta subito la mano.

Direttore d’orchestra    Si dice lanciare il sasso e nascondere la mano.

Direttore artistico    Si dice vivi e lascia vivere una buona volta!

Professor d’orchestra    Ma non parlerei di abbandono… Quanto più di partenza. Il centro di questo amore sta nel viaggio. Nasce da un viaggio! Didone gli chiede Dove scappi? Vedete che è un amore sempre con la valigia in mano, pronto a partire pronto in ogni momento ad andare da un’altra parte?

Didone    Ma assolutamente no! Io direi proprio che la pianta in asso lì per lì, senza neanche pensarci due volte. Si immagina sua moglie che una mattina si sveglia e le dice: “Caro mi spiace ma questa sera non ci sono per cena perchè devo compiere il mio destino.” Saluti e baci e non la vede mai più. Il viaggio sarebbe più sereno se lui fosse meno crudele con lei e aspettasse. Ma Enea vuole andare in mezzo a una tempesta che se non mancassero le rane sarebbe come fare un salto in Magnolia!

(Direttore artistico canticchiando e facendo il verso all’aria “Già si desta la tempesta!”)

“Già si desta la tempesta,
ai nemici venti e l’onde,
io ti chiamo su le sponde
e tu resti in mezzo al mar.”

Direttore d’orchestra    Qualcuno spenga il jukebox per favore!” (Poi rivolgendosi al direttore artistico) “Ci provi gusto ad essere insopportabile? Come avrai fatto a sposarti sarà sempre un mistero.

Direttore artistico    Diciamo che per amore ho viaggiato poco e non ho mai abbandonato mia moglie. Siamo una coppia semplice. Ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca… per cui ogni tanto cedo su delle piccole cosucce, ma solo per farla felice.

Direttore d’orchestra    Ah capito! Ecco il trucco di un amore duraturo! Sua moglie comanda e lei fa il bravo cagnolino. Altro che prendere il mare in tempesta! Ma non si vergogni. Probabilmente deve solo chiedere il permesso per guardare la partita? Poi una volta raggiunta la maggiore età magari potrà vendere anche i film con il bollino giallo.

Direttore artistico (indispettito)    Che ridere. Ma non si preoccupi che chi la fa l’aspetti.

Professor d’orchestra:    Per favore basta! Che non voglio stare qui fino a domani!

Osmida    “Però per me non si può neanche esagerare quel Vado ma dove? Vado? Resto? si rischia di cadere troppo nel lamento.

Enea    “Oh per carità! Ci manca solo un’altra Bridget Jones!

Professor d’orchestra    Ma secondo me non sarebbe neanche così male…D’altronde quello di Didone era il canto di un bianco cigno. È una preghiera fittizia. Sa che quello che chiede non si può realizzare, le sue richieste non porteranno a nessun effetto, nessun cambiamento. Enea partirà comunque per quanto lei si sforzi.

(Direttore artistico cantando)
When I am laid in earth,
May my wrongs create
No trouble in thy breast;
Remember me, But ah!
Forget my fate.

Didone    No ecco, Purcell e Dido and Aeneas lasciamoli perdere. Mi va bene tutto e sicuramente è un  eccezionale esempio di lamento. Non lo metto in dubbio e non mi permetterei mai. Ma se fatico a interpretare questa versione credo che una del genere non saprei neanche da che parte prenderla.

Enea    Si direi che Il lamento di Arianna 2 la vendetta lo facciamo la prossima volta.

Direttore d’orchestra    Che cafoni. Anche io ce l’avrei visto bene su di lei. Certo con un po’ di esercizio. Non è poi sbagliato vederci una supplica. Una donna che vuole riscrivere la storia dal suo punto di vista.

Direttore artistico    Non la dipinga come una santa però! Le cerca tutte per farlo restare. Cavolo dice di essere addirittura incinta e che Enea sarebbe stato l’assassino suo e di una vita non ancora venuta alla luce! Cioè mi sembra che la ragazza si sia un po’ spinta oltre.

Didone    Ma si sa che in amore non ci sono regole. Certo questo è giocare davvero sporco, ma mentire è poi sempre un male? Se Enea si fosse sciolto sentendo questo annuncio e non fosse partito, che male avrebbe fatto? Si sarebbe solo dimostrato un brav’uomo e un buon padre. O se partendo avesse incontrato la morte e questa bugia gli avesse salvato la vita? Nessuno avrebbe detto nulla e magari avremmo pure ringraziato Didone perché lo avrebbe salvato.

Enea    Ma stiamo scherzando? In amore se c’è una sola cosa fondamentale è l’onestà, la fiducia totale e reciproca. Non si può tollerare una cosa del genere. Se la mettiamo così allora dico che Enea ha fatto bene ad abbandonare una pazza del genere!

Osmida    Lo avesse fatto un uomo sarebbe stato un gran furbo però, vero? Rideremmo e gli faremmo pure i complimenti. Bravo, bravo. Invece lo ha fatto una donna che si è dimostrata un po’ meno ingenua e un po’ più scaltra, un po’ più forte e un po’ meno misera.

Direttore artistico    Sapete chi è un’altra donna forte e indipendente?
Mia moglie! Quindi visto che non stiamo combinando niente di che e si è fatta una cert’ora, io andrei a cena o al posto di Didone l’unico abbandonato sarò io.

Su Medea e l’immortalità

Sofia Crea, in questa composizione, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022, riscrive il dialogo del Simposio tra Socrate e Diotima sul desiderio di immortalità degli uomini, portando a esempio la storia di Medea.

“E appunto in questa maniera ogni cosa mortale si mette in salvo, ossia non già con l’essere sempre in tutto il medesimo, come ciò che è divino, ma con il lasciare in luogo di quello che se ne va o che invecchia, qualcos’altro che è giovane e simile a lui”.
(PLATONE, Simposio, 207 E – 208 C)

*

SOCRATE       Ma quindi, o Diotima, tu sostieni che nella ricerca degli uomini di essere immortali, la generazione possa, in parte, assolvere a tale spinta?

DIOTIMA       Certamente. La brama dell’immortalità è insita nella natura mortale, e per soddisfare tale desiderio l’uomo fa in modo di lasciare dopo di sé un altro essere che gli somigli, affinché possa mettersi in salvo.

SOCRATE       Solo così è possibile che ciò avvenga? La gloria conferita dalla memoria viene realizzata solo tramite il partorire, come dicesti tu, di nuovi esseri, per coloro la cui fecondità risiede nel corpo, o di saggezza e virtù, per i gravidi nell’anima? Non altre possibili soluzioni vengono offerte all’uomo?

DIOTIMA      Forse tu non credi che ciò non sia abbastanza? Non è forse vero che padri anziani abbiano fatto affidamento sui figlioli più giovani e robusti di loro per la sopravvivenza della dinastia? Non hanno forse, grandi poeti, lasciato ai posteri le opere frutto dei loro anni migliori acciocché queste vivano per sempre nella mente di coloro che le leggono? Non hanno forse recato vanto alla poetessa di Lesbo i suoi versi, lei a cui la bellezza non è stata data, ma il cui nome è da tutti conosciuto per le sue parole? Non ti sembra vero tutto quanto da me detto?

SOCRATE       Assolutamente.

DIOTIMA       Riconosci, allora, o Socrate, che quanto mi hai chiesto non sia già sufficiente? Hai detto bene che concordi con me ma vedo in te la scintilla del dubbio. Codesta scintilla io voglio spegnere perché tu ti senta fermamente convinto che ciò che ho detto non sia altro che la Verità.

SOCRATE       [A parte] E avendo parlato la straniera di Mantinea si fermò un attimo, come a voler raccogliere i propri pensieri.

DIOTIMA      Due sono le cose che ho intenzione di portare alla tua attenzione, o Socrate, e spero che queste ti persuadano. Come già affermato da me, agli uomini è concesso di mantenere vivo il loro ricordo per mezzo della generazione. Si prenda ora il primo caso, quello dato dalla fecondità nel corpo, e a dimostrazione di quanto detto porterò l’esempio della figlia di Eete, re della Colchide, che concesse i suoi favori a Giasone e dalla loro unione due figli furono generati. A tutti è noto il triste destino di Medea, lasciata dall’amato, il quale nessuno scrupolo si fece nell’abbandonare la moglie e i figli per sposare la figlia di Creonte. Quale altro mezzo aveva, l’innamorata, per far pagare all’ignobile ingrato la colpa commessa, lei che aveva tradito il padre e abbandonato la patria per seguirlo? Bastarono forse le terribili minacce? Di certo, la rabbia e passione tradita non furono placati solo con lo sfogo verbale, o questo è ciò che credi, o sapiente Socrate?

SOCRATE       Non lo credo.

DIOTIMA       Fai bene, perché questo non è ciò che accadde. L’amore della fanciulla, così come ardeva di desiderio per Giasone quando questi con lei rimase, di furore bruciava al momento dell’abbandono; scacciata dal palazzo di Esone e esiliata, a lungo si tormentò la povera infelice, divisa dalla passione che ancora nutriva per l’infedele e il desiderio di vendetta. A lungo maledisse la sua bocca menzognera, struggendosi giorno e notte. A quale gesto estremo arrivò, dunque, la povera scellerata? Si limitò all’uccisione di colei che aveva profanato il suo talamo? O andò oltre? A dimostrazione di quanto detto da me precedentemente, la giovane donna, guardando i figli, rivedeva nei loro volti la somiglianza con l’uomo tanto odiato. Nei due fanciulli Giasone aveva lasciato una parte di sé e la furia che ormai dominava la madre era tale da farle dimenticare l’affetto che provava per i due innocenti, colpevoli solo di essere nati da un padre tanto vile. Dominata dalla passione, e dopo un lungo conflitto interiore, la fanciulla di un crimine tremendo si macchiò: l’uccisione dei giovani figli.

SOCRATE       Credevo che tale delitto fosse rivolto alla privazione del padre dei suoi figlioli; non li ha forse uccisi per minare l’affetto paterno?

DIOTIMA      A quale fine? O Socrate, tu dimentichi ciò che io prima precisai. Il giovane non solo la moglie abbandonò, ma con essa anche la propria prole. Dell’amore di un genitore affettuoso tu parli? No, non di questo si trattò. Come potrebbe averne sofferto colui che per primo rese orfani i due fanciulli? Orfani di padre, giacché abbandonarli non è forse uguale ad averli lasciati se fosse morto? Uguale no, perché quello che fece fu peggio: non per causa superiore a lui se ne separò, ma per sua volontà. E non fu sempre lui che spinse, con la sua crudele dipartita, la moglie folle di dolore al culmine della vendetta? Non fu anche la sua mano di traditore a compiere, complice, ciò che ogni genitore dovrebbe rifuggire? No. Non per questo fine il misfatto venne compiuto. La figlia di Eete pensava a ben altro motivo quando premeditò l’infanticidio: non all’affetto paterno mirava, quanto alla brama di immortalità che domina ogni mortale. Uccidendogli l’unica prole, non solo si slegava dal comune possesso che la legava al perfido marito, possesso che era stato frutto di lieto tempo per lei ormai passato, ma si assicurava che questi non avesse più una discendenza. Sicché, quando escogitava la vendetta che più dolore avrebbe arrecato a colui che era colpevole della sua sofferenza, non pensò di porre fine alla vita dell’ingrato, consapevole che più danno gli avrebbe procurato se fosse morto senza la consolazione di una dinastia che ne avrebbe portato avanti la memoria.

SOCRATE       Codesto il movente? Questa la fiamma che animò la sua follia? Certamente ciò che dici è il Vero, o donna di Mantinea, ma non sono del tutto persuaso. Non dicesti che due erano le cose che volevi porre dinnanzi alla mia diffidenza?

DIOTIMA      E’ così, o Socrate. Ma devi lasciarmi il tempo di creare un discorso che tale si possa chiamare, e per fare ciò ho bisogno di riorganizzare le mie idee. Per suffragare quanto da me detto, affinché possa convincere e liberare te dal demone del dubbio, la mia orazione deve essere tanto completa quanto ben strutturata. Ora, ero rimasta alla fine della possibilità di Giasone di avere il proprio nome portato avanti dalla progenie. Questa, dunque, la fine della prima parte di avvaloramento del mio discorso. La seconda parte si discosta leggermente dalla via inizialmente intrapresa ma non temere, cercherò di essere il più coincisa e chiara possibile. Tu, però, non allontanare la mente dalle mie parole: segui attentamente ciò che ho da dire e non indugiare in altre riflessioni. Abbiamo detto che la morte è temuta dagli uomini se ad essa non si accompagna la consapevolezza che una parte di loro rimarrà indietro. Prima parlammo della generazione dei corpi fecondi, ma abbiamo anche nominato la fecondità nell’anima.

DIOTIMA      E qui la parte insidiosa. Uccidendo gli unici discendenti del marito, lei, che era diventata madre nello stesso tempo in cui lui divenne padre, si privò pure della stirpe. Doppio fu il suo sacrifico: non solo uccise i figlioli a lei cari, ma rinunciò anche lei stessa alla possibilità di immortalità di cui voleva privare il marito. Tale era la sua follia! Tale il suo dolore! Tuttavia, non devi pensare, o SOCRATE    , che compì questo gesto senza la totale guida della ragione: la giovane madre era consapevole di quanto stesse lasciando per punire il perfido amato e, nonostante ciò, scelse comunque di farlo. Sapeva che pur privandosi del frutto della generazione data dalla fecondità del suo corpo, la sua memoria non si sarebbe cancellata con esso: le rimaneva, infatti, la consolazione che in molti avrebbero raccontato la sua storia. Diversi sarebbero stati coloro che, gravidi nell’anima, avrebbero partorito versi per narrare le sue gesta. Non conosciamo noi il suo destino? Non eri già a conoscenza della colpa di cui si macchiò, prima ancora che te ne parlassi, o Socrate?

DIOTIMA       Ecco dunque conclusa la mia orazione. I due punti che avrebbero avvalorato la mia tesi li ho illustrati, e con ciò spero di averti convinto.

SOCRATE       [A parte] Questo disse la sapiente Diotima, e ne fui persuaso.