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L’assedio

Questa riscrittura di Camilla Cattunar mira ad una rappresentazione concreta dell’interiorità di Petrarca attraverso l’impiego di personificazioni ispirate dal romanzo cavalleresco, facendo leva sul lessico bellico con cui l’autore caratterizza alcuni dei componimenti del suo Canzoniere, nell’ottica del corso di Letterature Comparate, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Ci troviamo nel profondo del cuore di un autore cardine nella storia della letteratura, qui egli non è solo, abbiamo modo di conoscere ciò che lo caratterizza, i suoi valori e la sua debolezza più grande. Viviamo con lui il suo dissidio, non più solo interiore ma reale, per quanto una riscrittura che si spinge fino al cuore di un uomo possa esserlo.”

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Quella che sto per raccontarvi è la storia di un assedio, un lungo assedio durato decenni ma vinto grazie ad un sol gesto, che senza fatica sbaragliò ogni difesa, anche la più salda e sicura. L’oggetto della contesa fu un semplice ragazzino, ormai cresciuto, nascosto da tempo nella fortezza della sua interiorità. A difenderlo diversi cavalieri di grande esperienza e valore, addestrati dal più potente dei comandanti: la Fede in Dio. Tra loro presenziano Occhi, Cuore, Virtù e Ragione[1], gentiluomini fedeli, paladini difensori di quest’uomo che nulla può all’attacco del più potente dei rivali, Amore, la cui unica mira, a suo dire, è quella di distoglierlo dal raggiungimento della santità, dalla devozione a Colui solo che la merita, Dio.

Il protagonista è un uomo che presto nella sua vita ha intrapreso un’aspra via: rifugiarsi dall’Amore ch’egli considera maligno, costruendo una roccaforte imponente, dotata di sei torri almeno, numerosissime finestre, grandi abbastanza perché la luce del giorno possa raggiungere ogni sala ma non a sufficienza perché occhi indiscreti riescano ad osservare che cosa accade tra le sue mura. Ha diverse camere da letto, la fortezza, una grande biblioteca dove l’inquilino usa scrivere di sé e un giardino con diversi alberi da frutto e un ruscello, raramente frequentato per semplici ragioni, è di un assedio che parliamo. Il ragazzo ci vive da solo, ci cresce da solo, i suoi servitori non parlano e sempre più spesso si trovano ad affrontare gli attacchi di Amore, che imperterrito con la sua determinazione e i suoi dardi scandaglia il perimetro di quelle altissime mura, osserva i cavalieri, nell’attesa di trovare una breccia, fragilità, mollezza o difetto. Attende con pazienza il punto e il momento giusto per colpire, e poi attacca. Non è parsimonioso, non teme di sprecare i suoi dardi, al contrario è convinto, colpo dopo colpo, di ottenere il successo. Ma la rocca resiste. Nessun segno di cedimento, il giovane adulto che ci abita non esce allo scoperto e chi lo difende è competente e combatte valorosamente. Non è facile infastidire Amore, egli sa di non esser malvagio, in pochi hanno osato avere tale considerazione di lui, ma la situazione ristagna da troppo tempo ormai, come osa costui respingerlo con tanta violenza? Allora s’infuria, ripensa ad Apollo, sente quello stesso desiderio di vendetta ardergli dentro. Dubitare della mia forza? Pensare di essere più potente? Prendersi gioco di me con tale leggerezza? Non avete capito con chi avete a che fare. Dunque, ecco incominciare l’azione.

Mentre il ragazzo trascorre i suoi giorni come d’uso, l’irato arciere, anche abile stregone, escogita un piano per dimostrare la propria superiorità: per sua mano una donna apparirà in sogno all’uomo, talmente bella ch’egli alla sola apparizione rimarrà rapito, sarà il giusto diversivo per sconfiggere i suoi cavalieri e finalmente vendicarsi. Non resta che aspettare la notte.

È il 5 aprile 1327 e l’uomo dopo una giornata tranquilla s’addormenta. Cade in un sonno profondo e si risveglia in un prato agli albori di un giorno nuovo, il cielo è terso e c’è odore di rugiada. Inizia a camminare ma s’ arresta di colpo: davanti a lui una donna gli dà le spalle, ora si volta appena, forse attirata dal rumore, lo guarda di sfuggita e poi inizia a camminare leggera in quella distesa d’erba verde. L’uomo è rapito. Costei ha capelli dorati, splendenti alla luce del sole e un abito turchese svolazzante che lo inducono a dubitare della sua natura. Umana o divina? Qualunque sia la risposta, nessuno potrebbe far altrimenti se non seguirla.[2]

Intanto al castello Amore agisce indisturbato, questa volta Cuore non ha nemmeno il tempo di accorgersi del pericolo, ecco un dardo conficcarsi in una piega della sua armatura e subito dopo un altro penetrarla all’altezza del petto, spostato a sinistra di poco rispetto al perfetto centro. Occhi invece assume un comportamento del tutto inaspettato, che i suoi compari Virtù e Ragione trovano spregevole. Per qualche assurda ragione il cavaliere si avvicina allo stregone, pregandolo di ascoltare le sue parole: “Accetta la mia sottomissione a te, fin ora non conoscevo la ragione profonda delle mie azioni, grazie a te ho trovato uno scopo. Contemplare tanta bellezza. È questo ciò per cui sono nato”. Ecco che il combattimento si bilancia. Ragione, da sempre il più risoluto e potente di tutti si scaglia incollerito verso Amore, deciso a farla finita una volta per tutte. Occhi si affretta a difenderlo ma Virtù, pronta e scaltra lo blocca prima che riesca a sfiorare Ragione. Così i due, che fino a quel momento avevano convissuto pacificamente si assalgono ma così simili nell’addestramento non hanno la capacità, forse nemmeno l’intima volontà, di prevalere sull’altro. Si trafiggono vicendevolmente e rimangono agonizzanti quanto increduli, supini nel vasto giardino del forte a contemplare l’aurora. Contemporaneamente Ragione si accorge, con suo grandissimo disgusto, di non avere alcun mezzo per ferire Amore, la spada non ha effetto, si piega come ferro bollente maneggiato da un maniscalco, e nello scontro fisico si scopre un agnellino di fronte al più possente dei leoni. Non resta che la fuga. Ragione si precipita all’interno, cerca il ragazzo, per avvisarlo del pericolo. Amore non si disturba nemmeno ad inseguire il cavaliere impaurito, il suo piano si è realizzato, la sua vendetta è conclusa, ha dimostrato che nessuno può rifuggirgli per tutta la vita, nemmeno un uomo con il suo esercito. Da quel momento, infatti, il suo cuore è gravemente ferito, il suo sguardo rapito, la sua virtù troppo debole per permettergli di agire nei confini di ciò che lui reputa giusto; cerca rifugio e forza nella ragione, che sola non ha potere alcuno davanti alla grandezza dell’Amore. Il ragazzo è rimasto solo, nella sua maestosa fortezza ormai espugnata. Un pensiero sconnesso gli si presenta alla mente, “forse non mi sarei dovuto nascondere”. “Ma di cosa ti convinci? – si risponde immediatamente – non senti il dolore che ti ha procurato?”.


[1] I cavalieri fanno riferimento a rispettivamente a occhi, cor, virtute ed al poggio faticoso et alto protagonisti dell’assalto di Amor nel sonetto 2 del Rerum Vulgarium Fragmenta.

[2] Il sogno si ispira al sonetto 190 del Rerum Vulgarium Fragmenta.