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Fil rouge: il filo rosso

Letizia Baldioli, prendendo ispirazione dalla storia di John Nash raccontata nel film A beautiful Mind, dà vita, partendo da ritagli di quotidiani e riviste, ad un evidence board proprio come quelli creati dagli investigatori nei vecchi film polizieschi per scovare il colpevole nell’ottica del corso di Letterature comparate B, Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Delitto, caso, premeditazione, prove, povertà, sofferenza, sogni ed incubi, fede, ideale. Nove tappe, nove parole chiave. Il lettore di Delitto e castigo si trasforma in un vero viaggiatore pronto a seguire il percorso indicato per conoscere i segreti celati dietro l’omicidio delle due donne”.

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La mia idea per il lavoro di riscrittura è stata quella di realizzare un mood board / mappa concettuale che riprendesse tematiche, parole chiavi e immagini caratteristiche dell’opera Delitto e Castigo dell’autore russo Dostoevskij. Utilizzando ritagli di riviste e di quotidiani, ho realizzato una mappa o più propriamente un percorso come quelli creati per scovare il colpevole dagli investigatori nei vecchi film polizieschi. Ho deciso di impostare il lavoro in questo modo dopo aver rivisto uno dei miei film preferiti: A beautiful mind di Ron Howard. John Nash, talentuoso matematico interpretato da Russell Crowe, una volta contattato dal dipartimento di difesa degli Stati Uniti, viene incaricato di trovare il luogo in cui i Russi avrebbero dovuto innescare una bomba atomica contenuta in uno zaino. John Nash, dopo essere stato informato che i nemici avrebbero comunicato tra loro per mezzo di messaggi in codice inseriti in quotidiani e riviste del tempo, comincia ad analizzarle minuziosamente, a ritagliarle e ad appenderle alle pareti della sua stanza, creando un vero e proprio groviglio di informazioni, una ragnatela, una mappa di codici da decifrare per poi arrivare alla soluzione. La sua vita viene sconvolta ancora una volta quando scopre che la cospirazione, in verità, non esisteva, ma era unicamente frutto della sua mente, colpita da una grave forma di schizofrenia. Il mio mood board/mappa concettuale si trasforma allora in una “crazy wall” o in un “evidence board” ispirato a quello di John Nash. Il filo rosso che ho voluto inserire rappresenta il fil rouge del racconto, che collega concetti importanti tra loro, intorno ai quali si sviluppa l’opera dostoevskiana. Il nostro percorso inizia dal centro, dalla parola delitto. Come si può inferire dal titolo, l’opera si sviluppa attorno all’omicidio della vecchia usuraia, Alëna Ivànovna e della dolce sorella Lizaveta, per mano del giovane Rodiòn Romànovič Raskol’nikov. Se l’uccisione della prima venne premeditata per mesi, l’omicidio di Lizaveta avvenne per puro caso. La donna infatti non doveva essere uccisa, ma irruppe nell’abitazione della sorella proprio nel momento in cui Raskol’nikov si trovava ancora lì con la scure insanguinata tra le mani e la vecchia stesa a terra in una pozza di sangue.

Seconda tappa del nostro viaggio, il caso è un importante elemento tragico che, nell’opera, sembra proprio assecondare la buona riuscita del delitto. Raskol’nikov però decide di sfidarlo. Sfida il caso per tutto il tempo della narrazione come se volesse portarlo contro di sé. Il giovane concepisce le fantasie del delitto, frutto di una creatività negativa nata dal sonno della ragione che, come dice Goya, genera mostri, tra le quattro mura della sua stanza, facendo di sé stesso un eroe negativo. Un buco, così viene descritto il luogo in cui abitava, talmente piccolo, soffocante e claustrofobico da essere paragonato ad una vera e propria bara. Raskol’nikov ormai aveva deciso di sfidare i limiti dell’uomo, togliendo la vita e comportandosi come Dio. Premeditazione, ecco la nostra terza tappa. Proprio qui ho decido di inserire un’immagine che, in questo caso, diventa fortemente simbolica. L’opera in questione è l’Albero rosso di Mondrian. Tra il 1909 e il 1912, il pittore lavorò sul tema dell’albero, alla ricerca di nuove forme e nuovi accostamenti cromatici, giocando sui contrasti dei colori caldi e freddi. L’albero rosso creato da Mondrian diventa nel mio “evidence board” l’albero rosso sangue, simbolo del male e della corruzione. Raskol’nikov decise infatti di macchiare le sue mani e di sfidare i limiti, di essere un uomo straordinario e libero, usurpando il potere divino. Decide di uccidere per un motivo ben preciso e mettere fine all’esistenza.

Ed eccoci alla quarta tappa. L’omicidio era ormai compiuto, il colpevole era riuscito a fuggire dall’abitazione della donna senza farsi scovare, ma ora era tempo di fare i conti con le proprie azioni e di capire come e se dovesse distruggere le prove. Ogni assassino ha le sue tracce da nascondere, ma l’atteggiamento di Raskol’nikov nei loro confronti è senz’altro ambivalente. Decide in un primo momento di sfidare la sorte e presentarsi in commissariato con il calzino ancora sporco di sangue, dimostrandosi coraggioso, sicuro di sé; dall’altro diventa ossessionato dal fatto che qualcuno avesse potuto trovare una prova della sua colpevolezza, trasformandosi così in un uomo paranoico. Il voler continuamente nascondere e sviare le indagini e la sua volontà di far emergere le prove del delitto ci dice molto sul personaggio di Raskol’nikov, tormentato, secondo una mia interpretazione, sia da un costante senso di colpa, che lo porterà poi alla confessione, sia dalla paura, sensazione inizialmente estranea al protagonista ma che ora lo stava perseguitando.

Giunti alla quinta tappa ecco che ci troviamo di fronte alla parola povertà. Il ragazzo pietroburghese non aveva denaro, era povero. Tutto l’ambiente di Delitto e castigo è legato a questa condizione che diventa la vera cornice dell’opera. Essa è comune a molti personaggi come lo stesso Mermeladov e la sua famiglia. Raskol’nikov provava vergogna e fastidio per il fatto di essere povero. Analizzandolo attentamente, capiamo che in lui qualcosa non andava. Era un ipocondriaco, un malinconico. Ma con la sua condizione economica ci aveva fatto l’abitudine. Semplicemente non gli interessa più. Ed ecco che la domanda giunge spontanea. Uccide davvero solo per denaro? Qual è il vero motivo del delitto? Bisogna solo seguire il percorso.

È qui che subentra la sofferenza, una caratteristica importante nell’opera dell’autore russo. Raskol’nikov soffre proprio come Sonja. Ragazza credente e pura d’animo, è lei a rappresentare una figura tipica della tradizione russa ovvero quella del “jurodivyj”, personaggio che arriva al sacrificio totale di sé per amore del prossimo. Sonja è così. Si sacrifica per la sua famiglia tanto da prostituirsi per racimolare del denaro per i suoi fratelli. Lei e il giovane di Pietroburgo sono uniti nella sofferenza, nel dolore e nella corruzione, del delitto per lui, del mestiere da prostituta per lei. In questa sesta tappa ho deciso di riprendere e utilizzare immagini di attualità proprio per rappresentare l’idea di dolore e tragedia. Gli incendi, i disboscamenti, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento delle acque sono simbolo della sofferenza del nostro pianeta e di conseguenza di quella di tutti noi. Raskol’nikov, capendo di essere un corrotto, soffre. Era diventato e si era comportato proprio come l’uomo che bastonava il povero cavallino nel sogno che aveva fatto.

Sogni e incubi rappresentano la settima tappa del viaggio. Non possiamo parlare di sogni senza parlare di Sigmund Freud. Secondo il padre della psicoanalisi, essi sono il modo in cui il nostro inconscio comunica con noi, mostrandoci i nostri desideri più segreti e ciò che non riusciamo ad accettare. E proprio perché non riusciamo ad accettarle, la nostra mente le camuffa, le censura, e alla fine crea storie e immagini insensate. Il sogno in questo caso rappresenta la proiezione della coscienza di Raskol’nikov, una coscienza che nasce in negativo con il delitto. Sono due le opere d’arte che ho voluto inserire nel mio “crazy wall” a proposito dei sogni, o meglio dire, incubi.  La prima a sinistra di Pablo Picasso, il Ratto delle sabine del 1962 e la seconda di Franz Marc, intitolata I piccoli cavalli gialli, realizzata nel 1912. Entrambe riprendono la figura del cavallo, sognata da Raskol’nikov prima che mettesse in atto il suo piano diabolico. Molto più rappresentativa è sicuramente quella di Picasso. I colori, o sarebbe meglio dire i non colori, il bianco e il nero, trasmettono paura. Non è il pugnale, non è la criniera che ondeggia come lingue di fuoco a incutere terrore la ma testa dello stesso cavallo che nel sogno del giovane rappresentava la vecchia usuraia, o forse, lo stesso Raskol’nikov.

Ma ecco che grazie a quella sofferenza il giovane raggiunge la salvezza, una salvezza interiore. La verità viene sempre a galla. Il giovane decide finalmente di confessare il suo delitto alla ragazza. Proprio grazie a lei e alla lettura del vangelo Raskol’nikov capisce che un Dio, non solo fatto di castigo ma, anche di amore e perdono esisteva davvero. Ecco allora la nostra penultima tappa: la fede. Ho voluto in questo caso far sì che la creazione di Adamo di Michelangelo rappresentasse, in modo simbolico, il momento in cui il ragazzo decise finalmente di accogliere un nuovo Dio nella sua vita.

Il nostro viaggio che si conclude con la parola ideale. Ecco svelato il mistero. Raskol’nikov uccise la vecchia usuraia unicamente per un suo ideale. Era convinto, come aveva scritto nel suo articolo, che al mondo esistessero due tipologie di uomini: gli uomini ordinari e quelli straordinari. I primi sottoposti e leggi divine e civili, vivono come schiavi ma pur sempre felici, i secondi regole e limiti non ne hanno. La loro morale viene abbattuta dalla coscienza. Sono uomini legittimati a uccidere nel presente per la creazione di un futuro migliore. Napoleone, secondo Raskol’nikov era uno di questi. Emblema del super uomo, decide di uccidere solo per affermare la sua superiorità e le sue idee. Si comporta come Dio, non è schiavo ed è felice. Ma Raskol’nikov non è Napoleone. Non trova felicità nel delitto, anzi. Il suo ideale crolla appena compiuto il fatto ed ecco che inizia il suo castigo. Tutto è nelle mani dell’uomo secondo il nostro protagonista, un pensiero apparentemente rassicurante ma angoscioso. La libertà non è soltanto qualcosa di positivo, non essendoci limiti il male è dietro l’angolo.

Delitto

Giulia Repetto, in queste due lettere, riscrive il romanzo Delitto e castigo trattando il tema della coscienza in relazione all’attuale conflitto tra Ucraina e Russia, nell’ottica del corso diLetterature comparate B, Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Se avessi voluto aspettare che tutti fossero diventati intelligenti, sarebbe passato troppo tempo… Poi ho capito anche che questo momento non sarebbe arrivato mai, che gli uomini non cambieranno mai e che nessuno riuscirà a trasformarli e che tentar di migliorarli sarebbe fatica sprecata!” (F. Dostoevskij, Delitto e castigo)

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Rodion Romanovič Raskol’nikov

                                                                                                                       Mariupol, 18 marzo 2022

              Sof’ja Semënovna Marmeladova

Cara Sonja,

come stai? Come stanno tuo padre, Katerina Ivanovna e i bambini? Alla fine i soldi sono bastati a comprare le scarpine a Pòletschka e a Lènja? Quelle che avevano erano tutte a pezzi. Hai avuto notizie di mia sorella e di mia madre? Dì a Dunja di non stare in pensiero per me.

In questo momento mi trovo nella regione della Priazovia, nella città di Mariupol. È una bella giornata, ma la polvere della devastazione offusca l’occhio del cielo e quelli che un tempo erano tranquilli sobborghi e villaggi sono diventati cumuli di macerie. Nella desolazione della guerra la desolazione della natura: gli alberi sono spogli, nelle aiuole delle piazze spuntano qua e là, piegati su loro stessi, degli esili fili d’erba e l’acqua fredda e sporca del fiume Kal’mius trasporta i detriti delle case. Oltre al vociare dei soldati e al rumore dei caccia militare, ogni tanto si sente il latrato di qualche cane in lontananza. Mi manca sentire il canto degli uccelli. Il bubbolio della guerra mi accompagna anche nel sonno; non ricordo più quale pace può esserci nel silenzio. Sonja, mia cara, anche l’odore qui è quello della guerra, della guerra e della morte, un odore che punge il naso ma a cui ormai sono abituato. Aguzzando lo sguardo riesco ancora a scorgere due colonne di fumo nero che provengono dal teatro cittadino che abbiamo bombardato ieri. Il posto è spaventoso, ma in compenso tranquillo. Il fuoco ucraino è cessato da qualche ora: i nemici stanno sicuramente piangendo i loro morti.

Non piangere Sonečka, tutto ciò è necessario. Credi che Licurgo, Solone, Maometto e Napoleone si siano fatti qualche scrupolo? E Putin? Non è forse la stessa cosa? Perché dovrei preoccuparmene io, io che eseguo solo gli ordini, io che contribuisco alla grandezza della mia patria? Dopotutto non sono anch’io un grande uomo? Io non voglio essere un uomo ordinario; voglio essere un uomo straordinario. Mentre i primi si limitano a conservare il mondo e ad aumentarlo numericamente, i secondi lo muovono e lo conducono verso la meta. Ricordi cosa avevo scritto in quel mio articoletto? Gli uomini si suddividono in due categorie: la categoria inferiore, quella degli uomini ordinari, che è composta di materiali che servono unicamente a procreare individui simili a loro, e quella degli uomini veri e propri, che hanno il dono o la capacità di dire nel loro ambiente una parola nuova. Alla prima categoria appartengono quegli uomini conservatori e morigerati che vivono nell’obbedienza, la quale per loro non è una cosa umiliante, mentre alla seconda categoria appartengono i sovvertitori, coloro che, per attuare la propria idea, si autorizzano in animo loro a passare oltre il sangue senza scrupoli di coscienza. L’uomo straordinario ha un suo diritto personale di permettere alla propria coscienza di superare certi scogli. Perché allora dovrei farmi fermare da certi ostacoli morali? Sì, ho ucciso in questa guerra, ma erano tutti soldati ucraini, nemici. Era necessario, capisci?

Tuttavia proprio questa mattina è successo qualcosa a cui non riesco a smettere di pensare da tutto il giorno. Devi sapere che qui il servizio più penoso tocca alla vedetta posta sul confine, compito che la scorsa notte è toccato a me. Avevo quasi finito il mio turno quando all’improvviso, al primo chiarore dell’alba, la tranquillità fu rotta. Ho sentito un lieve fruscio provenire da dietro un arbusto. Mi sono avvicinato con il cuore che batteva all’impazzata. Ero convinto fosse una spia ucraina, invece era solo un’anziana. Il suo volto mi è rimasto sorprendentemente impresso: era solcato da rughe profonde, accentuate dalla polvere che vi si era insinuata, e anche i capelli grigi erano ricoperti dal fango e dalla sporcizia. Gli zigomi impressionantemente sporgenti, accentuati dall’eccessiva magrezza del viso, e la pelle olivastra, macchiata da ore di esposizione ai raggi solari, non facevano che accentuare l’età avanzata della donna. I vestiti erano di ottima fattura, ma logori e strappati, e, nonostante la temperatura non fosse molto bassa, si stringeva stretta stretta in uno scialle rosso impreziosito da ricami dorati che riflettevano la luce del sole. Era molto bassa, rattrappita, accartocciata su se stessa, evidentemente consumata dalla guerra. Non si è accorta subito della mia presenza. Sono rimasto a guardarla cercare qualcosa tra i cespugli per quello che mi è parso un lasso di tempo infinito, indeciso sul da farsi. Quando si è voltata i suoi occhi color ghiaccio, incorniciati da folte sopracciglia, mi hanno colto alla sprovvista. Vi ho letto la paura. Poi la morte. L’ho uccisa, Sonja. So cosa starai pensando mentre leggi queste parole: era solo una povera innocente. La guerra è spietata Sonja, ma tu cosa puoi saperne? Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro. Poco importa se siano soldati o no; sono pur sempre nemici. I grandi uomini non si fermano davanti al sangue, neppure dinanzi a quello degli innocenti.

Ti confesso però che la mente mi gioca brutti scherzi: ogni volta che chiudo gli occhi mi sembra di rivedere il suo volto. Non so perché mi abbia colpito in questo modo. Era solo una donna qualunque, una vita come le altre, eppure provo pietà nei suoi confronti e soffro quando penso a lei. Dopotutto la sofferenza è l’inevitabile dovere di una coscienza generosa e d’un cuore profondo. Credo che gli uomini veramente grandi debbono provare su questa terra una grande tristezza.

Ora devo salutarti perché la Russia ha bisogno di me. Aspetto tue notizie.

Con affetto,

                     Rodja

Castigo

Rodion Romanovič Raskol’nikov

              Sof’ja Semënovna Marmeladova

Mia cara Sonečka,

sono passati giorni dall’ultima lettera che ti ho scritto, ma non ho ricevuto tue notizie. Probabilmente non l’avranno nemmeno spedita e forse è meglio così perché la tua anima è troppo innocente e candida per essere macchiata dalle mie colpe. Non so perché mi sia preso la briga di procurarmi carta e penna per scriverti queste ultime parole dal momento che so già che non riceverai mai questa lettera. Nonostante ciò, anche solo scrivere il tuo nome mi fa sentire più vicino a te. Sonja, tu sei la mia luce in un abisso di ombre che ormai mi ha ingoiato.

Nella mia solitudine l’unica cosa che mi conforta è rileggere l’undicesimo capitolo del Vangelo di San Giovanni, quello della resurrezione di Lazzaro, perché mi ricorda quando fosti tu a leggermelo. Ho tutto chiaramente impresso nella memoria: la stanza giallastra e sudicia, il Nuovo Testamento tutto consumato, il canale che si intravedeva dalle finestre e il mozzicone di una candela che con la sua luce calda sembrava voler illuminare solamente il tuo volto, l’unica cosa degna di essere rischiarata in quella miseria.

In questo momento non saprei dirti dove mi trovo con esattezza; l’unica cosa che so è che sono in una cella russa. Sì, hai capito bene: russa, non ucraina. Ti chiederai come ci sono finito… ti accontento subito: era passata una settimana da quando avevo ucciso la vecchia e da allora la mia coscienza aveva iniziato a farsi ogni giorno sempre più pesante. Ormai il peso si era fatto insostenibile e, in un attimo di follia, sono fuggito senza una meta né un obiettivo. Non volevo scappare dalla guerra, o almeno non consciamente. Volevo scappare dai miei pensieri, dalla mia coscienza, forse addirittura da me stesso. Sapevo solo che dovevo allontanarmi da lì, ma mentre lo facevo i miei pensieri mi inseguivano e anche se provavo a correre più velocemente, loro tenevano il passo con me. Vedendo che era tutto inutile, stremato dalla corsa disperata, mi sono lasciato cadere al suolo nella leggera stanchezza del mezzogiorno. Da qual momento i miei ricordi sono confusi: ho sentito delle persone sopraggiungere di corsa, delle voci, qualcuno mi ha sollevato di peso e mi ha trasportato fino a qui. In Russia non siamo molto clementi con i disertori, quindi non so perché non mi abbiamo giustiziato subito, ma so che la fine è dietro l’angolo. Anche in questo momento riesco a percepire il respiro della Morte sul mio collo. È dietro di me, la sento, aspetta solo di potermi trascinare all’inferno con lei. Forse sarebbe stato meglio se mi avessero sparato subito, almeno mi sarei risparmiato tutto ciò. Essere rinchiuso in questo buco da solo con i miei pensieri mi sta facendo impazzire. Vivo in un perenne stato febbrile a cui alterno brevi momenti di lucidità, come questo. I secondi scorrono lenti come ore e ho perso completamente la cognizione del tempo. Non riesco a mangiare, non riesco a dormire, in alcuni momenti mi sembra di non riuscire nemmeno a respirare perché un peso mi schiaccia il cuore e mi lascia senza fiato. Ogni volta che chiudo gli occhi vedo il volto di quella vecchia e vi riconosco quello di tutte le altre persone che ho ucciso. Ogni notte in sogno rivivo quel momento e mi risveglio madido di sudore e con il cuore in gola.

La scorsa notte, dopo essermi destato di soprassalto, attraverso una minuscola feritoia, l’unica che c’è, ho intravisto una luna piena e rossa come mai ne ho viste in vita mia e davanti a quello spettacolo della natura per la prima volta dopo molti mesi ho provato una sensazione di pace. I raggi lunari si facevano strada attraverso le sbarre della piccola finestrella illuminando soffusamente lo spazio circostante la mia branda. Il silenzio sembrava assoluto, ma aguzzando meglio le orecchie si riuscivano a udire in lontananza i colpi dei bombardamenti. La brezza primaverile della notte sembrava avvolgermi e per un attimo ho dimenticato la mia condizione, ma quando ho abbassato lo sguardo un urlo spontaneo mi è sorto direttamente dalle profondità dell’animo. Le mie mani erano macchiate del sangue della vecchia e di tutte quelle persone, soldati e civili, che avevo assassinato. Reso pazzo dalla disperazione ho provato a lavarlo via, ma nulla sembrava funzionare, anzi più provavo a sfregarlo più la macchia rossa sembrava allagarsi e l’odore metallico del sangue entrarmi nelle narici. Dopo quelle che mi sono parse ore, stremato e sconfitto, sono ricaduto in un sonno tormentato. Al mattino tutto era svanito, ma il cuscino era ancora bagnato dalle mie lacrime. Quel sangue c’era davvero? Era un effetto ottico provocato dalla luce lunare? O me lo sono immaginato? Credo che la pazzia si stia impossessando della mia mente. O forse sono già completamente impazzito e non me ne rendo conto.

La carta è quasi finita quindi devo concludere questa lettera. Da’ a mia madre e a Dunja un bacio da parte mia e promettimi che ogni tanto passerai a trovarle e che ti occuperai di loro se necessario. Abbraccia Razumichin e digli che è stato un buon amico e che lo ammiro molto: è sempre stato tutto che volevo diventare e che mi illudevo di essere. Quanto a te, Sonja, ti ho voluto molto bene. Spero che conserverai per sempre quell’innocenza così pura che mi ha colpito di te. Non piangere per me, non me lo merito.

Addio Sonja         

Rodja

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Bibliografia selezionata:

F. Dostoevskij., Delitto e castigo, a cura di D. Rebecchini, Feltrinelli, 2013

W. Shakespeare, Macbeth, in Tutte le opere. Vol. 1: Le tragedie, a cura di F. Marenco, Milano, Bompiani, 2015