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Memorie Familiari

Gabriele Torres, in questo suo racconto breve, vuole approfondire il concetto di un meccanismo della coscienza alquanto peculiare: l’amnesia dissociativa causata da esperienze traumatiche, nell’ottica del corso di Letterature Comparate B, Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi)

“Tutto mi sembrava così surreale, non poteva essere andata veramente così, ma ad un tratto vidi quello che confermò le mie colpe”

*

In quel periodo facevo un sogno ricorrente.
Mi attirava verso di lui, sembrava predire il mio futuro. Mi sentivo come il coraggioso Odisseo mentre udiva il canto delle sirene. Percepivo una cosa crescere dentro di me che mi spingeva a compiere il fatto.
Pazzo, penserà lei, dottore, ma è questo quello che sono? I pazzi non ragionano, io, invece, ero ben cosciente di quello che volevo.
Dove mi trovo lo so per certo, ma credo di non comprenderne il motivo. La avverto, non stia così vicino, sono un tipo nervoso.
Credo che debba sapere come sono arrivato qui, così presterà molta attenzione la prossima volta, sempre se non scapperà come tutti gli altri.
Mi svegliai in una capanna di legno, come quelle che si vedono di tanto in tanto nei film. Non era in ottimo stato, c’erano molti spifferi e il pavimento mancava di qualche asse di legno. Il camino e una coperta logora mi tenevano abbastanza al caldo. Non ricordo come io sia arrivato in quel posto e nemmeno che giorno fosse.
Un uomo possente, dalla faccia buona e con una folta barba, se ne stava seduto vicino al camino, intento a intagliare una statuetta, che a prima vista mi sembrò raffigurare un lupo.
Il mio risveglio deve averlo distratto, perché si fece scappare il coltellino dalle mani provocandosi un taglietto al pollice. «Ben svegliato», mi disse succhiandosi il sangue dalla ferita, «spero che non ti prenda un malanno, sai, con questo freddo; il mio nome è Russell».
«Dove mi trovo? Come sono finito in questo posto?», dissi mormorando. Non doveva avermi capito, perché mi lanciò un’occhiata confusa.
«Non mangi da tanto, devi avere fame, prendi pure pane e formaggio, li ho presi ieri in città». Annuii.
Dovevo essermi tagliato la lingua in qualche modo, perché notai un retrogusto ferroso. «Mi chiamo Kurt», dissi strappando un boccone di pane.
«Ci troviamo nel bel mezzo del bosco, ti ho trovato svenuto nella neve, per poco non ci rimanevi secco, chissà come sei finito qui».
«La ringrazio, mia moglie sarà molto preoccupata», percepii un’aria tranquilla, diversa rispetto alla tensione di un secondo prima.
«Ha una moglie? Deve essere molto in ansia; hai dormito per tutto il giorno».
«Si chiama Wendy, abbiamo una bambina piccola, spero non le stia creando troppi problemi»
Ritornato alla sua statuetta sembrò farsi più curioso, «Wendy, che bel nome, mia figlia si chiamava così».
«Si chiamava? Le è successo qualcosa?»
Il volto di Russell sembrò prendere un’espressione cupa, «Un incidente».
Non aggiunse altro.
L’atmosfera si era fatta di colpo pesante. Una folata di vento entrava dagli spifferi delle vecchie finestre, «Hai bisogno di un’altra coperta?», le mie mani cominciavano a tremare, decisi di accettare.
«Quindi, come sei finito nel bel mezzo del nulla?», riprese Russell spezzando il silenzio imbarazzante.
La mia sicurezza cominciò a vacillare, «Ho ricordi molto vaghi; non ricordo perché mi sono addentrato nel bosco, l’ultima cosa di cui sono sicuro è di essere uscito di casa, poi…tutto nero».
«Beh allora vedrò di accompagnarti al più presto; a proposito, dove hai detto di abitare?», il mio ospite si stava facendo curioso, ma io non sapevo rispondere alle sue domande.
«Vicino al mare, è l’unica cosa che ricordo, d’estate ci andavo insieme a Wendy e al nostro cane Ros. Ma da quando è nata la bambina e Ros è morto non siamo più andati».
«Davvero non ricordi altro?» la faccia dell’uomo si fece più cupa, dentro di lui, forse, pensava che qualcosa non andasse, e a lungo andare non aveva torto.
Continuai a mangiare, Russell mi osservava un po’ sospettoso, ma dopo un po’ parve perdere interesse.
«Sai, andavamo spesso al lago tutti insieme» riprese l’uomo, «A Wendy piaceva tanto, si divertiva come una matta, correva di qua e di là senza nessun pensiero, pensa che una volta, quando c’era anche mia moglie, cadde in acqua e tornò da noi zuppa fino alla punta dei piedi, che risate». Il suo volto si era fatto nostalgico, a tal punto da far scendere una lacrima sulle sue guance massicce.
«E adesso, cosa resta…il nulla». La nostalgia che arieggiava per la stanza si trasformò molto velocemente in malinconia e tristezza.
«Mi dispiace tanto…posso chiederti com’è successo?»
Asciugandosi la lacrima con la manica del suo pesante maglione cominciò a raccontare «Ripensandoci, sembrava proprio un bel giorno, uno di quelli in cui sei spensierato, da stare sdraiato al sole bevendo qualcosa. Viaggiavamo verso l’oceano; sai, Wendy non l’aveva mai visto e mi chiedeva da giorni di portarla, saremmo rimasti lì qualche giorno, quindi avevo la macchina carica di tutte le provviste», mentre raccontava vedevo i suoi occhi diventare lucidi, «Ero tornato la sera prima da una battuta di caccia, quindi mi sentivo un po’ stanco, ma era il suo compleanno e non so quante volte me l’avesse chiesto, quindi decisi di accontentarla e di portarla comunque il giorno dopo. Mentre eravamo per strada…», si interruppe per asciugarsi ancora le lacrime, «Una macchina che arrivava dall’altra corsia ci ha incrociati, erano in quattro, sembravano tutti ubriachi, anche il guidatore. Mi vennero addosso. Nel giro di qualche secondo i freni della mia macchina si sono bloccati e siamo precipitati nel burrone. Al mio risveglio, trovai mia moglie e mia figlia morte, nessuna traccia dei soccorsi».
«Mi dispiace». Questa è l’unica cosa che riuscì a dire, l’aria si era fatta pesante come un macigno.
«Proprio crudele la vita, la mia piccola se ne è andata troppo presto, non ha nemmeno visto l’oceano» riprese Russell asciugando ancora le lacrime. «Delle volte è come se nulla avesse più senso. Sai, senza loro…delle volte ho pensato alla via più semplice, ma in quei momenti ricordo quello che diceva mia moglie e subito mi pento; uccidersi sarebbe come fare del male alla sua memoria; a proposito, lei si chiamava Alice».
Volevo dire qualcosa, ma le parole sembravano morirmi in bocca. Sentì un’ondata di calore crescente, e un lamento, quasi come un pianto, veniva dall’altra stanza. «Lo senti anche tu, Russell?», i suoi occhi pieni di lacrime si curvarono in un’espressione confusa, «Sento cosa?».
«Non senti anche tu questo rumore?»,
«No, non sento nulla, sarà qualche animale rimasto fuori in mezzo alla neve».
Ero sicuro che non fosse così, ma non ci feci caso.
«Kurt, da quanto state insieme, tu e Wendy?» disse Russell spezzando ancora una volta l’atmosfera pesante della stanza.
«Da dieci anni, più o meno; ricordo ancora il nostro primo bacio, è stato bellissimo, da quel giorno la mia vita è cambiata, in meglio ovviamente. Prima di incontrarla ero un tipo molto nervoso, ma stare con lei mi ha cambiato profondamente».
«Se posso chiedere…come vi siete conosciuti?»
«Ho un negozio di strumenti musicali, lei era una mia cliente. Un giorno mi sono fatto coraggio e le ho chiesto di uscire. Mi sentivo come un adolescente al suo primo appuntamento».
Un rumore, ora più simile ad un flauto continuava a crescere; «Un flauto?», stavo pensando a voce alta.
«Un flauto? Che flauto?» chiese Russell confuso.
«Non lo senti anche tu? Il suono di un flauto…l’avrò solo immaginato, sai, Wendy suona il flauto. Lei è una musicista, suona per l’orchestra di…Boston. Ecco ora ricordo! Io abito a Boston!». Quell’euforia deve avermi dato alla testa, mi sentivo strano, il flauto non si fermava, continuava a suonare e il suo volume aumentava ogni secondo che passava.
Sembrava vero, come se lei stesse suonando accanto a me in quel momento.
Chiesi di andare in bagno, il sapore di sangue e formaggio che avevo in bocca si sostituì con un gusto di vomito improvviso. Cominciai a stare ancora peggio, il flauto si faceva sempre più forte e a questo ora si aggiungeva lo strano pianto che avevo sentito prima. Non credevo potesse peggiorare, stavo cominciando ad impazzire.
I rumori si fermarono improvvisamente…o almeno, per il momento sembrava così.
Dopo aver vomitato, uscii dal bagno, l’uomo pareva preoccupato per la mia salute «Vuoi che ti porti in ospedale?», dissentii, volevo solamente tornare a casa per il momento.
«Tranquillo, mi passerà, sono sicuro che Wendy mi saprà dare un’aggiustata»; gli chiesi, dunque, di riportarmi a casa. La macchina era molto grande, un classico modello americano, pensai. I copertoni erano grandi quasi come metà del mio corpo e la tappezzeria, se pur l’esterno lasciasse un po’ a desiderare, appariva lucida, come se fosse stata rinnovata da poco.
«Ti piace?» chiese Russell quasi in cerca di una mia approvazione. Annuii solamente, non volevo dare un mio parere, non avevo le forze per affrontare un classico discorso su motori e cose del genere.
Acceso il motore, Russell accese la radio, lo facevo più un tipo da black metal; invece, sintonizzò il segnale con una stazione di musica classica. Se non fosse stato per il forte mal di testa che mi tormentava, sarei scoppiato a ridere.
«Dunque, hai ricordato dove abiti?» domandò accendendo il motore.
«Non ricordo perfettamente la via, ma dovrei abitare vicino al mare. La mattina, mentre bevo il mio tè, mi affaccio dalla finestra del mio salotto, dove guardo i bambini giocare al parco. C’è un’insegna davanti l’entrata…ma cosa c’era scritto…ah ecco! Victory Road! Abito vicino al parco di Victory Road. È li che qualche volta porto Judy a fare una passeggiata».
Russell mise in moto e cominciò a percorrere la larga strada.
Fu un viaggio abbastanza silenzioso, nessuno dei due sapeva più cosa dire e, probabilmente, visto il mio evidente malessere, Russell credeva di disturbarmi parlando.
Il paesaggio, ai lati della strada grigia e poco asfaltata, appariva molto vario. Da numerosi boschi, si passava a lunghe distese di verde, fiumi e paesaggi naturalistici spettacolari, qualche monumento strano vicino ai paesi della provincia e molti autostoppisti. Non ci fermammo a nessuna stazione di servizio, il viaggio durò un paio di ore. Pensavo a come potessi essere arrivato fino a casa di Russell, ma soprattutto, perché mi ero avventurato da solo nel bosco.
Arrivammo a Boston, Russell diceva di aver lavorato in una falegnameria qui in città, ma che poi l’aria frenetica e inquinata lo avevano portato ad allontanarsi e a trasferirsi nella capanna assieme alla sua famiglia. Fortunatamente, diceva, Alice lo supportava in ogni sua decisione, anche la più strana e folle.
«La mia casa non era così prima» disse Russell ricordando ancora i momenti passati, «Non era così malconcia, fuori era pieno di fiori di tutti i tipi, Alice si occupava di curarli tutti i giorni. Poi, ho mandato tutto in malora da quando Alice e Wendy sono morte».
Qualche minuto dopo, arrivammo al parco di Victory Road. I ricordi cominciavano a riaffiorare, i pomeriggi con mia moglie e mia figlia al parco, il nostro cane che giocava felice in giro. Riuscivo quasi a sentirle ridere.
«Parco di Victory Road, eccoci qua. Riesci a vedere la tua casa da qui?» disse Russell interrompendo il flusso dei ricordi.
«Scendo dalla macchina, magari riesco a vedere meglio», dopo essermi sgranchito le gambe cominciai a fare un giro cercando di ricordare la veduta esatta dalla mia casa. Arrivato al cartello “Parco di Victory Road – ingresso ovest”, riuscii finalmente a trovare la finestra del mio appartamento. «Eccola là! È quel palazzo rosso, la finestra che dà sul mio salotto dovrebbe essere l’ultima a sinistra del terzo piano».
«Bene dunque!», esclamò l’uomo mettendo in moto l’auto, «Andiamo subito, così potrai finalmente riabbracciare la tua famiglia!».
Salii in macchina in fretta e furia, non vedevo l’ora di tornare a casa, di abbracciare Wendy e Judy.
Arrivai alla porta. Suonai al campanello. Nessuno rispose.
«Che strano…manco da casa da giorni e non c’è nessuno ad aspettarmi». Magari, pensai, Wendy è andata a comprare qualcosa per la bambina e tornerà a breve.
Suonai in portineria, dove trovai Saul, il custode. Aprii la porta ed entrai, mi salutò come al solito, con un cenno della testa.
Presa la chiave, salii in fretta per le scale, non avevo alcuna voglia di aspettare che l’ascensore si liberasse. Arrivai al terzo piano con il fiatone, ma non importava, la mia famiglia era solo ad una porta di distanza.
Avvicinai la mia mano per aprirla. I rumori, che fino a quel momento sembravano scomparsi, ripresero con l’intensità di cento motori a scoppio. Toccare la porta della mia casa, aveva come risvegliato quegli orribili fastidi, e adesso sembravano più reali che mai. Il perché di quella sorta di allucinazioni, non lo scoprì fino a quando non spalancai la porta.
Visione di morte e una puzza insopportabile apparvero davanti ai miei occhi. Non riuscii a trattenere le lacrime…erano loro.
Wendy e Judy giacevano senza vita in salotto, massacrate. Erano diventate irriconoscibili.
«Ma cosa…» esclamò Russell impaurito dalla scena.
Ero davanti alla sala tinta di rosso, come paralizzato, i loro capelli strappati, i volti scavati dai colpi ricevuti. «Wendy, Judy, chi vi ha fatto questo?» provavo un’enorme sensazione di vuoto.
I rumori, sempre più forti, cominciarono a tramutarsi in voci, «È tutta colpa tua!», la voce era quella di mia moglie, ne sono sicuro.
«Wendy, sei tu? Chi vi ha fatto questo!».
Il pianto continuava a martellarmi nella testa, non avevo mai provato una cosa del genere. Un castigo portato dalla morte, questo era. La voce che mi accusava di quelle colpe sembrò prendere forma, e presto prese le sembianze di Wendy.
«Sei stato tu!» riprese lo spirito mentre cominciava a piangere, «Ma come, hai dimenticato quello che ci hai fatto? Avevi promesso di proteggerci per sempre, e alla fine, è stata proprio la tua la mano che ci ha fatto del male».
Rimasi impietrito, non riuscivo a credere a cosa stesse succedendo. I miei occhi cominciarono a riempirsi di lacrime.
«Hai ucciso prima tua figlia e poi me», riprese Wendy.
Tutto mi sembrava così surreale, non poteva essere andata veramente così, ma ad un tratto vidi quello che confermò le mie colpe. Un giocattolo, la trottola di mia figlia, stava ai piedi dei due cadaveri insanguinati. Fu a quel punto che la mia memoria riprese a funzionare correttamente.
«Sono stato io», ripresi girandomi verso Russell, che appariva sconvolto da quello che vedeva. «Le ho uccise colpendole con quel giocattolo. Poi sono scappato via, per nascondermi, e sono finito nel bosco».
Russell mi guardava con gli occhi iniettati di sangue «Come hai potuto! Mi hai mentito per tutto questo tempo!».
«No, non ti ho mentito, amo la mia famiglia, ma ho avuto i miei motivi, i miei sogni».
«I tuoi sogni? Ma cosa dici! Sei un malato! Tu mi hai mentito e hai cercato di ingannarmi con la storia dell’amnesia, e io ti ho creduto pure, credevo che fossi una brava persona». Non cercai nemmeno di fermarlo, il suo ragionamento aveva senso, dopotutto. Fingevo di non ricordare, alla fine era meglio che credesse così, non avrebbe mai capito le mie ragioni. Era in preda alla rabbia più assoluta. Si avvicinò a me e cominciò a picchiarmi.
Saul arrivò alla porta, non era solo. Mandò qualcuno a chiamare la polizia mentre cercava di separare il bestione da me.
Russell finalmente si fermò, non avevo mai visto uno sguardo così colmo di odio. Cominciò a raccontare il fatto. Io rimanevo lì a guardare il vuoto con la faccia insanguinata. Non provavo nulla.
Poco dopo arrivarono due poliziotti, diedi un ultimo sguardo ai corpi, sorrisi, poi mi portarono via.
Perché quella faccia dottore, crede anche lei che io sia pazzo?
Non è così. Io ho visto, ho sognato tutto quello che potevo fare.
Perché allora sprecare la mia opportunità. Avevo così tanto potere su di loro, perché non dimostrarlo allora, perché non dimostrare che ero superiore. Suvvia, perché mi guarda così? Non mi capisce?

*

Μάλκωμ

Irene Mignone immagina il seguito dell’opera teatrale shakespeariana Macbeth collocandolo nel contesto e nella forma della tragedia greca. La riscrittura è stata svolta nell’ottica del corso di Letterature Comparate B mod.1 della Professoressa Chiara Lombardi – Coscienza e Verità: narrativa, poesia, teatro (2022-2023).

 “Scrivendo questa tragedia ho voluto esplorare il tema del libero arbitrio e della coscienza in relazione al male. Mi ha affascinato l’idea di collocare la vicenda nella Grecia dell’età degli eroi: offriva la possibilità di sviluppare questi argomenti in una prospettiva nuova, diversa da quella cristiana che caratterizza Macbeth”.

*

ATTO PRIMO

Scena i

Entra ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Terribile è l’uomo destinato alle cose grandi: la mia vita ha raggiunto vette inimmaginabili, ma il suo corso è stato interrotto con la forza. Nato nobile, possedevo a mala pena la terra necessaria a non disonorare il nome degli antenati. Né gli amati genitori, né i prodi compagni, né la moglie fedele pensavano che io, Macbeth, avrei dominato da re questa vasta e fertile isola.
Lieto era ciò che la corona portava con sé: lieto il denaro, lieto il potere, liete le mille prelibatezze. Ma non riuscivano che a intorpidire il mio profondo male, un male da me accolto volentieri poiché bussava alla mia porta in compagnia di una fortuna ritenuta grandissima.
Pensavo di fare un bell’affare, e per il grossolano gioiello della corona ho scambiato il diamante più limpido: ma né le ricchezze di Mida né quelle di Creso comprano la purezza del cuore e l’animo leggero. Nessun vino annebbia la consapevolezza del torto, nessun piacere ne placa le piaghe del petto.
Ora abito gli inferi: e la mano che mi ha crudelmente ucciso impugna il mio scettro come io ho impugnato quello di suo padre.
È sempre vero che l’uomo che si è voluto innalzare ai cieli subisce una caduta senza pari.

Entrano ΑΙ ΓΥΝΑΙΚΕΣ ΤΗΣ ΟΙΚΙΑΣ

Ma ecco, le donne del palazzo: loro hanno negli occhi gli orrori più atroci e le loro voci pronunciano verità.

ΑΙ ΓΥΝΑΙΚΕΣ ΤΗΣ ΟΙΚΙΑΣ
Il sangue lascia macchie indelebili
sui raffinati tappeti orientali
come sulle mani di chi uccide;
lunghe le notti spese a strofinare
i segni degli atti dettati dal male
che alberga anche negli animi più chiari.
Nulla come la colpa sa possedere
il petto e la mente dell’uomo reo
rendendogli le miti notti insonni
e i più raffinati piaceri vuoti:
la desolazione di un animo
non viene colmata da tasche piene.

Exeunt

Scena ii

Entra ΜΑΛΚΩΜ, ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Salute, Malcom, mio fratello e signore.

ΜΑΛΚΩΜ
A te sono stato fratello sin dal ventre materno, e tale sarò fino alla fine dei giorni, ma aspetta a rivolgerti a me come signore.

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Ma tu sei re di questa terra per merito e per diritto: e quando domani mattina la tua fronte indosserà il diadema allora lo sarai anche secondo gli dèi. Dimmi, temi che a loro non piaccia che io ti saluti come meriti?

ΜΑΛΚΩΜ
Ancora non è il momento opportuno. Gli dèi sanno essere invidiosi delle faccende umane.

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Gli dèi hanno predisposto ogni buon augurio per il tuo regno: i sacrifici sono stati fatti e le libagioni versate. Guarda il porto oltre le mura: il carro del sole terminando il suo corso ti ha portato una nave, che proprio ora attracca al molo. È il legno più splendido che abbia mai toccato il mare, costruito dalle sapienti mani dell’Anatolia: non esiste onda che non si infranga distrutta sulla sua chiglia. Poseidone stesso piange la sua grandezza.

ΜΑΛΚΩΜ
Parli troppo Donalbain. La nave è bella ma poco conviene all’uomo compiacersi della sua condizione. Come procedono i preparativi?

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Tutto è come hai stabilito.

ΜΑΛΚΩΜ
E gli invitati?

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Sono arrivati messaggeri da ogni dove a portare auguri di longevità al tuo regno: i più grandi uomini di tutta la Grecia accorreranno qui a renderti omaggio. Non c’è nobile di questo mondo che non riconosca la tua grandezza.

ΜΑΛΚΩΜ
Questo mi allieta. Ma ora gli occhi sono stanchi e la mente chiede di riposare. Spero di trovare nostro padre nei miei sogni e di potergli chiedere consiglio.

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Potrà il padre soddisfare qualunque questione ti dia preoccupazione. Sii riposato per gli eventi di domani.

Esce ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  

ΜΑΛΚΩΜ
La luna induce sonno o irrequietezza a seconda della predisposizione dell’animo. Questa è una notte serena, eppure gli ultimi rivolgimenti ancora mi tormentano. Ormai ho ucciso il responsabile dei miei antichi affanni e delle ingiustizie verso il mio popolo, eppure sono ancora incandescente di rabbia. Non mangio più, non dormo più: sono consumato da un impeto insaziabile. Vendicare l’uccisione di mio padre è stato come bere una tazza di acqua di mare, poiché ha acceso in me la sete che doveva spegnere e che ora non ha soluzione.
Ma forse non è bene soffermarsi sulle preoccupazioni: se l’uomo da cui ho ereditato il trono non vorrà portarmi consiglio questa notte allora vorrà dire che non lo necessito. E che quindi domattina, con il diadema in fronte, vedrò tutto più chiaramente…

Entra ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ

La rabbia mi inganna, i miei sensi intorpiditi dal banchetto mi mentono: chi vedo in quell’angolo è un’illusione, e non la forma spregevole del vecchio usurpatore.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Non ti ingannano i sensi, sei tu stesso a  ingannarti: io sono ciò che resta del terribile Macbeth e non sarà un diadema a regalarti pace da questa tua guerra.

ΜΑΛΚΩΜ
Macbeth, non è questo il tuo nome. Ho conficcato la mia lama nel suo collo, l’ho bagnata del suo sangue bollente: se tu sei lui, ciò di cui sono in presenza è altro che uomo.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Ho smesso di essere uomo quando ancora respiravo, Malcom, e ora non sono niente di meno di quel che fui quando morì. Non è il corpo a suonare l’ultimo battito di un cuore puro.

ΜΑΛΚΩΜ
Oh sventura degli uomini, i morti camminano con i vivi e la voragine del caos si è aperta! Dimmi, i tuoi delitti sono stati tanto efferati da spalancare le porte dell’Ade?

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
I miei delitti sono uguali ai tuoi e così saranno le punizioni.

ΜΑΛΚΩΜ
Di cosa stai parlando, scellerato? I fiumi delle nostre vite potranno anche essersi intrecciati ad opera dei tuoi atti empi: ma nel mio fiume scorre ancora acqua limpida, nel tuo putrida, corrotta. Niente mi avvicina al tuo rovinoso destino.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Non sei che un ingenuo. Il mio fiume termina dove il tuo si ingrossa e la mia putrida acqua sta lentamente contaminando la tua. Se ancora non vedi cosa ci accomuna è perché non vuoi vedere: tu sei votato alla mia stessa fine.

ΜΑΛΚΩΜ
La tua fine l’hai decretata tu stesso con le tue azioni impronunciabili: tu hai deciso di infrangere le leggi dei mortali per vestire la corona.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
La corona era il mio destino, e la fortuna va condotta affinché non ti trascini. Ho sofferto molto per le mie azioni, ma non è in dubbio che andassero fatte. L’oracolo parlò chiaro quel giorno, quando andai a Delfi per conoscere l’esito della guerra di tuo padre: dovevo diventare re, ed ero pronto a farlo a qualsiasi costo.

ΜΑΛΚΩΜ
Non parlarmi di mio padre! Non dopo che lo uccisi con l’inganno, tradendo la sua fiducia. Domattina sarò incoronato e ristabilirò una volta per tutte la linearità del regno. Tu non sarai altro che una perversa nuvola scura all’orizzonte di un cielo terso: da lui io discendo, in suo nome condurrò un regno giusto.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
No, assassino, il tuo regno discende dal mio: sono io il predecessore che hai tanto invocato e per questo ora appaio davanti a te. Hai usurpato il trono proprio come feci io e presto ne vedrai le conseguenze.

ΜΑΛΚΩΜ
Sei venuto in un mondo non tuo a dirmi menzogne per spaventarmi?

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Sono venuto a darti il consiglio che cerchi con così tanta alacrità: ebbene sì, ciò che senti crescere in te è malvagio. Poche altre passioni corrompono gli uomini come quella per il potere. No, non scomparirà una volta sedutoti sul trono, anzi, ad ogni gradino della tua scellerata scala di ricchezze si farà più potente. Credi alla parola di chi l’ha percorsa prima di te.

ΜΑΛΚΩΜ
Non un dio, non un oracolo mi sta parlando di queste cose terribili: chiedo allora per quale motivo dovrei credere ad un uomo malvagio al quale ho dato motivo di ostacolarmi. Non ripongo nessuna fiducia in te, non dopo che mio padre ha errato nel farlo; eppure le parole che pronunci mi precipitano nel dubbio. Quindi andrò a Delfi, stanotte, sul mio nuovo legno, a sentire cosa mi aspetta oltre la soglia del futuro: allora sapremo con certezza quanto la mia natura sia diversa dalla tua, e quanto i nostri regni e le nostre vite divergano. Gli dèi, non gli spettri della vita passata, custodiscono le chiavi del futuro.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Non ho obiezioni mio re: d’altronde Delfi è il luogo della verità.

Exeunt


ATTO SECONDO

Scena i

Entra ΠΥΘΙΑ

ΠΥΘΙΑ
I confini della grande Grecia non riescono a contenere il vasto numero dei seguaci di Apollo. Da ogni angolo del mondo, a piedi, a cavallo, per nave, giungono a Delfi per cercare risposta, per chiedere al dio uno sguardo al futuro. Quante e quali questioni mi affidano in cura! Gli esiti delle battaglie, la ricchezza, la salute, l’amore: non c’è interrogativo che non mi sia stata rivolto.
Gli dèi abbondano di conoscenza: e come cani sotto i loro tavoli imbanditi gli uomini venerano, pregano, e sacrificano per elemosinarne gli avanzi. Ma persino le briciole di questo banchetto celeste sono inarrivabili per la piccola natura umana.
Di chi ha posato piede su questa terra non esiste figlio di donna o di dea che sappia far cantare una lira come Apollo: la sua poesia è miele alle orecchie e le sue parole cadono come fiocchi di neve. Ma queste sono ugualmente limpide quanto torbide, disvelano e occultano, percorrono il limite dell’intelletto umano: solo a chi conosce il linguaggio del canto disvelan segreti di stoffa ancestrale.
Il Febo dono della poesia porta alle soglie della conoscenza divina: placa dal dolore del vivere gli animi che sanno ascoltare.

Entra ΜΑΛΚΩΜ

ΜΑΛΚΩΜ
Buona sia la notte a te, sacra Pizia.

ΠΥΘΙΑ
Buona a te nobile Malcom. Hai versato il vino e sgozzato il capretto?

ΜΑΛΚΩΜ
Tre sono i capretti che ho offerto al tuo dio affinché sia propenso ad essere chiaro.

ΠΥΘΙΑ
È naturale che sia così: tu sei un re e pensi che persino il consiglio di Apollo si possa corrompere, quando il mio dio non coglie i frutti del denaro. Ma non c’è da preoccuparsi, egli leggerà la purezza delle tue intenzioni. Esse sono pure?

ΜΑΛΚΩΜ
Spero di sì, oh sacerrima.

ΠΥΘΙΑ
Quale dubbio ti spinge dalla tua terra fino al mio antro a questo punto della notte?

ΜΑΛΚΩΜ
Un dubbio che solo chi conosce le leggi degli dèi può sciogliere, e che temo metterà in pericolo il mio futuro.

ΠΥΘΙΑ
Teme il futuro chi vorrebbe cambiare il proprio passato; il tuo segue i tuoi passi come un vecchio cane randagio. Un peso grande come il tuo può solo essere frutto di un atto contro la natura, uno di quegli atti che, purtroppo, non lasciano molto spazio a un resto della vita pacifico. Parla, che atto hai commesso?

ΜΑΛΚΩΜ
Ebbene sì, il mio passato è macchiato da un delitto che non solo temo rovini la mia esistenza, ma che deturpi anche il nobile tessuto della mia stirpe. Un uomo è spirato sulla mia lama. Ma pur se ho commesso questo grave atto avevo una giusta causa, una causa legittima: stavo vendicando mio padre, il re di diritto.

ΠΥΘΙΑ
Tu sei quindi il figlio di Duncan, e uccisi quel Macbeth che qualche tempo fa percorse la tua rotta e che sedette sul tuo trono come tuo padre.

ΜΑΛΚΩΜ
Non come mio padre! Mio padre fu un re buono, giusto e nobile, di una stirpe originaria della nostra terra: unta dagli dèi per governarla. Macbeth non è altro che un tiranno, salito al trono quand’era ancora insanguinato.

ΠΥΘΙΑ
Se un tiranno è colui che scalza un sovrano per rimpiazzarlo allora Macbeth è salito al trono in modo non meno giusto di te, quindi non compiacerti, mortale, della tua stirpe: la statura della più alta montagna non è che un granello di sabbia di fronte alla grandezza divina. Macbeth ha rivendicato la corona per certo destino.
Questa è la verità: hai ricevuto da tuo padre una prospettiva di potere, non più legittima, non più giusta di quella che Macbeth ricevette da me a suo tempo. Quando le condizioni si sono mostrate avverse a questo tuo desiderio malato, hai deciso di attuare con i suoi stessi mezzi i tuoi piani.

ENTRAMBE LE VIE DEL CROCICCHIO PORTANO ALLA STESSA LAMA

Questo mi dice il dio con i dolci fumi della terra. Non sei che deviato dalla promessa di un qualche insulso potere. Ora va. Vivi insieme alla tua colpa. Il dio non ha nient’altro da dire.

Entrano ΑΙ ΓΥΝΑΙΚΕΣ ΤΗΣ ΟΙΚΙΑΣ

Come la muffa attacca le cantine
anche dei palazzi splendenti dei re
e dimenticata, crescendo al buio
divora le solide fondamenta;
così il male e la sete di potere
se incolte distruggono ogni uomo.
Non molto è dato in questa triste vita
a chi non è nato da ventre divino o
dalla nobile stirpe degli eroi;
se non la mitezza dell’esistenza
che ottunde il sorgere di passioni
troppo grandi a sopportarsi dal cuore.

Exeunt

Scena ii

Delfi, esterno

Entra  ΜΑΛΚΩΜ

ΜΑΛΚΩΜ
ENTRAMBE LE VIE DEL CROCICCHIO PORTANO ALLA STESSA LAMA: è con queste parole che riemergo dall’antro della verità. Opaco è il febo intelletto  nei confronti della stirpe degli uomini, eppure questa volta le parole concessemi sono limpide come l’acqua del mare. Morirò per una lama, ma non sarà la lama della battaglia, concessa ai grandi eroi e reputata da noi tutti la più bella tra le morti: no, la mia lama sarà la stessa che ha ucciso quell’uomo ignominioso, quella del tradimento, dell’assassinio. Quanto deve essere definitivo il mio destino perché nella profezia non ci sia spazio per ambiguità? Com’è possibile che un uomo che pensi di agire nel giusto si veda posto al pari di uno degli uomini peggiori mai esistiti? Se la mia vita è da paragonarsi a questo bivio che ora mi si presenta di fronte, non ricordo di aver mai percorso la strada in discesa, e quindi chiedo – a chiunque sia da imputare per le questioni del destino – com’è possibile che io sia diretto verso il baratro?

Entra  ΕΚΑΤΗ, insorgendo dall’edicola

ΕΚΑΤΗ
Mortale, io non del destino nacqui dea, ma delle arti che sondano tutte ciò che è oscuro e ambiguo: Ecate mi chiamano per le mie cento e cento forme.

ΜΑΛΚΩΜ
Oh Ecate! Questa notte più di un’apparizione mi ha impedito la quiete del corpo e dell’anima: mi sembra di non parlare con un uomo da anni e anni. Dimmi, sei venuta a fornirmi un farmaco che acquieti questa febbre dello spirito?

ΕΚΑΤΗ
Non esiste farmaco che sia terreno o divino a placare la malattia che ti affligge e che tu stesso fatichi a capire. Lo svolgersi di questi ultimi eventi ha appagato la mia natura e ristorato le mie capacità: una notte come questa si è manifestata non troppi anni fa, ma penso che tu questo già lo sappia. Non capita spesso che un uomo percorra la linea di ciò che è e ciò che non è.

ΜΑΛΚΩΜ
Ti prego, non paragonarmi ancora quell’uomo proprio quando l’oracolo, fonte di verità, ha paragonato il corso della sua vita al mio: alle soglie del futuro mi aspetta la stessa morte di Macbeth.
Io non capisco: conduco la mia vita timoroso degli dèi e nel modo che ritengo più giusto e saggio, eppure non faccio altro che errare. Accetto, quando proviene dalla Pizia, il giudizio che paragona le mie azioni a quelle di Macbeth: accetto di non avere le capacità di vedere i fili del destino che hanno mosso entrambe. Eppure non riesco ad assumermene le responsabilità, non vedo perché chi agisca seguendo l’utile e il giusto debba ricevere la stessa punizione di chi si è lasciato persuadere dal male in quella misura.

ΕΚΑΤΗ
Non è la prima volta che sento i discorsi degli uomini, eppure non posso che sorprendermi nuovamente di fronte ai limiti del vostro pensiero. La tua conoscenza delle cose non potrebbe essere più infima: chiedi al dio del razionale di conoscere il tuo destino, chiedi al destino di conoscere le oscurità del tuo animo. Rivolgi le tue domande alle porte sbagliate e interpreti le risposte senza comprenderne il significato.
Nati nel sangue, siete destinati a soffrire. Non perché noi dèi ne traiamo giovamento, poco importa all’essere perfetto di ciò che sta al suo esterno: ma perché né Apollo né lo stesso Zeus controllano nel profondo l’incedere delle vite umane.

ΜΑΛΚΩΜ
Chi se non i potenti dèi determinano il destino e le vicende terrene?

ΕΚΑΤΗ
Tre sono le strane sorelle che determinano il corso delle vostre vite. L’una ne tesse lo stame, e per questo è chiamata Cloto; Lachesi girando il fuso sapientemente al filo d’oro lo stame bianco o lo stame nero a suo piacimento; ma è la maggiore, Atropo l’inflessibile, a reciderne il filo con la lama. Gli dèi nulla possono di fronte alla volontà delle Moire.

ΜΑΛΚΩΜ
Stai tentando di dirmi che neanche Apollo può scrutare oltre a quella cortina? Che non devo ritenere veritiera la profezia che ho ottenuto? Dimmi, te ne prego, che è quella delle Moire la lama di cui parla!

ΕΚΑΤΗ
Non è questa tutta la verità. L’intelletto di Apollo arriva ben oltre il suo potere. Il filo della tua vita e quello di quell’altro mortale sono indissolubilmente annodati, e non soltanto dall’atto empio dell’omicidio: la colpa, germe del dubbio e figlia del male, ti ha votato a quella rovinosa caduta che tanto temi. Così è stato deciso fin dal principio. Non rimane che scorrere il filo da capo a coda.

ΜΑΛΚΩΜ
Maledetto quel demone che stanotte mi ha colto nella mia reggia! Maledetto quel giorno scellerato in cui vidi la luce, piangendo nel sangue caldo di mia madre. La lama di un assassino mi aspetta alle soglie del futuro, per punirmi di un atto che non ho deciso di commettere, e non c’è scampo al volere del Fato.

ΕΚΑΤΗ
Ancora non capisci, mortale: non per una qualche tua colpa, non per la tua condotta nel regno dei vivi sei destinato a morire. Non c’è ragione nell’ordine delle cose, non c’è disegno oltre l’apparente coerenza. La vita, come tu la puoi conoscere, non è che un capriccio di forze che non puoi  controllare e per le quali dovrai perire.
E non per la lama di un qualsiasi assassino: come disse la Pizia, morirai con la lama che ha ucciso Macbeth.

ΜΑΛΚΩΜ
Tutto è perduto, nulla rimane: crollano i palazzi delle mie certezze, il mio futuro è fatto di rovine scabre. Se nella stretta veste della Necessità non c’è spazio per respirare liberamente, allora io decido di smettere di mia sponte.

ΜΑΛΚΩΜ sguaina la spada

Mortale, questo mi chiami perché questo sono: un essere per caso, un pensante collaterale. Il senso e compimento della mia esistenza deve essere la morte.

ΜΑΛΚΩΜ si uccide

Exeunt

Sipario