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Il ghiaccio

Giorgia Bruno, in questo suo racconto, tratta di un giovane Amleto moderno innamorato e stregato che vive in prima persona una delle più tragiche storie cantate dal grande Fabrizio de Andrè, nell’ambito del corso di Letterature comparate, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi). 

PREMESSA

Il racconto ha come intento quello di fondere le trame dei sonetti di Petrarca, dell’Amleto di Shakespeare e, infine, della Ballata dell’amore cieco di Fabrizio de André. Verranno riprese, in questa narrazione, alcune descrizioni tipicamente stilnovistiche della donna-angelo, gli eventi tragici raccontati dal cantautore italiano nella celebre canzone del 1966, e verrà riportato in luce lo sfondo psicologico di un figlio, affranto dalla perdita del padre, che si ritrova, da molto giovane, a dover affrontare una madre che al tempo stesso ama e odia. Il titolo non solo fa un chiaro riferimento al contesto invernale in cui si sviluppa il racconto, ma metaforicamente indica anche la freddezza con cui viene trattato e manipolato il protagonista. Sotto ad un affascinante lago ghiacciato possono nascondersi dei mostri, esattamente come dietro ad una fanciulla dai tratti paradisiaci, può celarsi una natura maligna e subdola.

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Antigona: La Madre Patria chiama!

Francesca Marino in questa riscrittura presenta il mito di Antigone nella Russia del primo dopoguerra.

Il lavoro è stato presentato nell’ambito del corso di Letterature Comparate, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“In questa mia riscrittura ho voluto adattare il mito di Antigone in un periodo storico molto intenso. Ho voluto far emergere particolarmente il dolore provato dalla giovane protagonista divisa tra la libertà di amare i suoi fratelli e la tirannia di chi governava in quel momento”

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…TUA, B.

Schettino Martina, in questa sua composizione, rielabora il concetto di colpa e peso della coscienza sotto forma diaristica, riportando i pensieri più intimi e profondi di una giovane protagonista, nell’ottica del corso di Letterature Comparate B mod. 1 Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Ho sentito un brivido lungo tutta la schiena; il modo in cui ha pronunciato quelle parole, il suo sguardo che è improvvisamente diventato vuoto… è stata solo una mia percezione?”

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22/09/2022

Caro Diario,

Eccomi, sono arrivata nella mia nuova casa! Finalmente, non vedevo l’ora!. L’Inghilterra è spettacolare, sono così contenta di essere qui. L’appartamento non è grandissimo ma ho un’intera, spaziosissima parete per la mia libreria. La mia coinquilina, Lizzy, è molto simpatica. Mi ha fatto fare un tour della casa e mi ha già dato qualche informazione sulle varie feste che i suoi amici hanno in programma. Per ora voglio concentrarmi sulla sistemazione della mia roba e voglio prepararmi per l’inizio delle lezioni. Mancano solamente due settimane; mi sento agitata ma al tempo stesso sono emozionata. È il mio sogno da sempre! Oxford! Ancora non ci credo, che gioia! Datemi un pizzicotto o crederò ancora di essere in un sogno. Adesso vado, ne approfitto per chiamare mamma ora che Lizzy è sotto la doccia
Tua, B.

07/10/2022

Caro Diario,

sono tornata, prima settimana di lezioni. Ho smesso di scrivere per un po’… mi dispiace, so bene che la scrittura mi aiuta tanto, eppure in questi giorni sono stata così impegnata. Tra l’inizio delle lezioni e le presentazioni ai tantiamici di Lizzy (dire tanti è un eufemismo, non so come questa ragazza riesca a intrattenere tutti questi rapporti sociali, costantemente…), non ho avuto un attimo di tregua. L’appartamento è finalmente sistemato, io e Lizzy lo abbiamo reso molto carino. Anche a mamma piace molto. Ho ancora una lezione per oggi, storia inglese. Il professore è simpatico e si vede che mette molta passione in quello che fa. Abbiamo iniziato dalle origini della storia inglese, dai Britanni alla conquista dell’Impero romano. Una settimana stancante ma molto produttiva; la professoressa di English ci ha già assegnato un saggio da scrivere su Beowulf… vado a lezione.

h. 19 sono in camera, Lizzy è appena tornata con il suo fidanzato, non sembra che le cose vadano molto bene tra loro. Lei piange, penso stiano per chiudere la relazione, mi ha confidato che è da qualche tempo che le cose tra loro non vanno bene.

10/10/2022

Jordan e Lizzy non si sono lasciati. Io sono a metà del mio saggio di Beowulf e in ritardo per la mia lezione di Storia Inglese ciaoo.

11/10/2022

Caro Diario,

ho dormito male questa notte; Lizzy è tornata tardi e ha fatto molto rumore, penso avesse bevuto troppo la sera. Continuava a ripetere un nome, o meglio, continuava a biascicare un nome, storpiando tutte le lettere che lo compongono; strano…

   13/10/2022

“If you could hear at evert jolt, the blood
Come gargling from the fourth-corrupted lungs,
Obscene as cancer, bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues, –
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
the old Lie: Dulce et decorum est
Pro patria mori.”

Wilfred Owen, uno dei war poets che preferisco in assoluto. La potenza delle parole con cui esprime il suo disprezzo verso i finti ideali sociali del tempo mi provoca sempre un’emozione indescrivibile. Spero un giorno di riuscire ad esprimermi in maniera così decisa ma allo stesso tempo elegante come Owen.

Il saggio è quasi terminato; per essere il primo vero saggio che io abbia mai scritto, sono abbastanza soddisfatta. Lizzy mi ha aiutata con alcune parti più tecniche, sto ancora perfezionando la mia scrittura saggistica. Ultimamente non sta molto bene, non capisco bene cos’abbia… sembra sempre sull’orlo di una crisi o un pianto, è spesso nervosa e molto moody. Quando provo a chiederle di parlarne ha come un sussulto e cambia velocemente umore e argomento, come se tutto il malumore che c’era non fosse mai esistito, se non nella mia testa. Questi suoi comportamenti mi confondono, non capisco perché si comporti così. Anche Jordan si fa vedere sempre meno in casa. Sarà successo qualcosa tra loro?

 15/10/2022

Finalmente è sabato! L’Università è stancante, un ambiente completamente differente da quello del liceo e gli ambienti scolastici inglesi sono così lontani da quelli italiani. All’inizio è stato veramente difficile ambientarsi, ma ho trovato delle persone fantastiche che non mi hanno fatto sentire sola un solo istante. Posso dire di essere la felicità fatta persona!

16/10/2022

Diario,

questa notte è successo qualcosa a Lizzy… è tornata nuovamente molto tardi a casa, piangeva e continuava a ripetere a qualcuno dall’altra parte del telefono che non poteva più sopportare questa situazione, era stanca e voleva solo dormire. Sono sinceramente preoccupata, ma come sempre non ha voluto parlarmene; neanche quando le ho detto che avrei provato ad aiutarla in ogni modo si è voluta liberare del peso che porta nel cuore. In effetti, ora che ci penso… inizialmente non ci ho fatto molto caso, ero stanca, appena sveglia e nel bel mezzo della notte. Ma ora, ripensandoci… mi ha risposto che a quel punto neanche Dio avrebbe potuto aiutarla. Ho un brutto presentimento, molto brutto…

21/10/2022

La situazione sta diventando sempre più strana. Lizzy è tornata quella di prima. Sorridente e spensierata com’era i primi giorni in cui ci siamo conosciute. È tutto sempre più strano. Come sono strane le persone che sta iniziando a frequentare. Si è allontanata da tutti i suoi amici e ora si è avvicinata ad un gruppo di persone… diverse. Non ho una bella sensazione.

Questa sera il professore di storia inglese non ci sarà a causa di un impegno, questo mi dà il tempo di completare un nuovo saggio a cui sto lavorando per il corso di Poesia e una relazione per il corso di Letteratura Americana. Quest’anno il professore vuole concentrarsi sulla letteratura di Hemingway. Adesso stiamo affrontando “The old man and the sea”; ho finito da poco la lettura di questo racconto spettacolare. Quanto mi affascina la scrittura di questo autore, non vedo l’ora di approfondirlo.

Sono in biblioteca, ho bisogno di prendere in prestito alcuni libri per vari corsi. Sinceramente non me la sento di tornare a casa, con Lizzy e quelle persone… mi mettono i brividi. Non capisco, è una sensazione che ho provato non appena hanno messo piede nell’appartamento…

Appunto di Lizzy ritrovato in un quaderno universitario:

Sadness.
Hopes.
Will she trust me again,
After all the things I’ve done?
-E.

09/11/2022

Diario,

sono finalmente più libera dagli impegni universitari; saggi, scritti critici, composizioni. D’altro canto però, Lizzy mi preoccupa sempre di più e occupa quasi tutti i miei pensieri. Ultimamente non torna a casa a dormire, non risponde a chiamate o messaggi e quando, dopo giorni, torna, la trovo sempre più smagrita, stanca, con profonde occhiaie scure sotto gli occhi. Anche Jordan è sempre meno presente, raramente lo incontro in casa… è successo solo poche volte e l’ho trovato profondamente cambiato. Non fisicamente, non è un cambiamento apparente. È qualcosa nella sua persona che sembra diverso, forse nel suo sguardo, nei piccoli movimenti che inconsciamente una persona compie quando si trova in un luogo dove non vorrebbe essere.

Forse sto sognando tutto, forse nulla di ciò che ho scritto sopra è reale; sarò influenzata dalla preoccupazione che provo per Lizzy…

15/11/2022

Abbiamo iniziato Shakespeare al corso di Letteratura Inglese! I’m not gonna lie, è uno dei miei autori preferiti. Sono affascinata dalle tragedie; è un mondo meraviglioso, ricco di piccoli dettagli che rendono la scrittura di Shakespeare così incredibilmente significativa. Tra pochi giorni inizieremo Macbeth. Ricordo ancora la prima volta che approcciai quest’opera. Ero nella mia vecchia camera, tra le mani il volume delle tragedie shakespeariane preso dalla biblioteca di mio nonno. Pagina dopo pagina, la fermezza e la perseveranza di Lady Macbeth hanno catturato la mia attenzione sin dall’inizio. È una donna che non si è lasciata intimorire da nulla, né sovrastare dal predominio del potere maschile che al tempo regnava sovrano nella società. Queste sono, però, le stesse caratteristiche che l’hanno portata alla rovina. Lady Macbeth non sopportava il peso del delitto che lei e il marito avevano progettato e commesso, nei confronti di un uomo buono e gentile.

Lady Macbeth si toglie la vita, consumata dalla sua stessa sete di potere.

20/11/2022

Domenica, il mio giorno preferito della settimana. Ho finalmente recuperato qualche ora di sonno perso in questi giorni di lezioni interminabili.

Ieri sera ho deciso di parlare con Lizzy; la situazione stava diventando insostenibile. Ci siamo confrontate a lungo; mi ha spiegato che tutte quelle persone sono amici di Jordan, conosciuti in un nuovo centro per artisti che aveva scoperto qualche mese prima. Mi ha anche confidato che per “entrare” in questo gruppo bisogna affrontare una cerimonia di iniziazione. Ho sentito un brivido lungo tutta la schiena; il modo in cui ha pronunciato quelle parole, il suo sguardo che è improvvisamente diventato vuoto. È stato un solo attimo, poi ha continuato a parlarmi come se nulla fosse successo. È stata solo una mia percezione??

La detective Campbell chiuse il piccolo oggetto che da ore stava sfogliando, ripetutamente, in cerca di un indizio, una traccia qualsiasi che potesse condurla a comprendere l’accaduto. Questo diario dava molti spunti di riflessione alla giovane detective; Miriam ripensò al lungo interrogatorio di Jordan Foster, il fidanzato di Elizabeth Wright. Pensieri veloci scorrevano nella mente della detective. Tra le mani aveva uno dei casi più difficili a cui avesse mai lavorato; si sentiva pronta, eppure l’agitazione penetrava ogni suo muscolo. Ogni cellula del suo corpo fremeva. Voleva chiudere il caso; le famiglie delle vittime erano distrutte, le si stringeva il cuore ripensando alle lacrime dei genitori quando aveva comunicato loro la notizia; lei però doveva concentrarsi. Lo doveva a loro; lo doveva a quelle povere ragazze.

La scena del delitto era già stata controllata più e più volte, dalla stessa Miriam e da altri poliziotti dello Scotland Yard presenti durante le indagini. Secondo le ricostruzioni, non ancora ufficiali, della vicenda, il giovane si era introdotto nell’appartamento di sera con la scusa di recuperare dei vestiti dalla camera della fidanzata. Secondo i programmi, sarebbero dovuti andare a cena fuori e poi si sarebbero trovati con degli amici di lui, probabilmente gli stessi amici descritti nel diario di Beatrice.

Jordan affermava di aver trovato le due ragazze già morte quando era entrato in casa, usando le chiavi che Elizabeth gli aveva lasciato. Il ragazzo restava comunque il principale sospettato. Chiudendo il diario, Miriam si rese conto dell’ora. Le 2:20 del mattino. Non riuscì a dormire quella notte. Le stava sfuggendo qualcosa, ne era sicura; un pezzo di quell’infinito puzzle che era la verità le mancava, solo che non sapeva come e dove cercarlo.

L’indomani si recò sul luogo delle indagini. Prima di entrare nell’appartamento fece un respiro profondo. Entrando, notò subito la scientifica alle prese con il soggiorno, dov’erano stati ritrovate le due ragazze. Sentiva ancora quella sensazione della notte precedente; la verità stava lentamente scivolando via. Miriam decise di controllare nuovamente quel posto, come se non fosse mai entrata lì prima, come se fosse la prima volta. Doveva concentrarsi su ciò che non era ovvio o scontato.

Ripensando al diario di Beatrice, decise quasi involontariamente di dirigersi verso la libreria del salotto. “Una bella collezione” pensò subito, sfiorando con le mani guantate i dorsi dei libri perfettamente ordinati. L’occhio le cadde sulla collezione dei volumi di Shakespeare; la detective ricordò che Beatrice stava studiando Shakespeare all’Università in quel periodo. Si recò verso quella sezione e notò un buco tra il “King Lear” e “Anthony and Cleopatra”. Non era mai stata appassionata di letteratura, e di certo non poteva sapere quale opera shakespeariana mancasse alla collezione. Si sfilò velocemente il guanto e cercò su Google la lista completa delle opre dell’autore inglese. Controllò i libri uno ad uno, fino ad arrivare al volume mancante; Macbeth. Nella libreria non era presente. Poteva trovarsi solo in camera di Beatrice. L’istinto di Miriam le suggeriva che valeva la pena seguire questa pista, e così fece. Andò in camera della ragazza e lo vide, impilato sulla scrivania insieme ad un sottile libricino di Hemingway e altri volumi. Senza pensare, come se fosse guidata da una forza esterna, aprì il libro. Un piccolo pezzo di carta scivolò sul pavimento, silenzioso. Inizialmente non fu notato da Miriam e rimase lì, sul pavimento. Nel frattempo la detective, sfogliando le pagine e leggendo distrattamente le varie note scritte a mano ai margini, notò che una pagina era stata segnata.

SEYTON

The queen, my lord, is dead.

MACBETH

She should have died hereafter.
There would have been a time for such a word-
Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow.
Creeps in this pretty pace from day to day
To the last syllable of recorded time;
and all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life’s but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury
Signifying nothing.

Una lacrima scese lungo la guancia di Miriam. Quelle parole l’avevano colpita profondamente, ma la nota a margine che accompagnava quei versi le fece gelare il sangue:

My time is coming
sooner than I thought.

Questa era la stessa scrittura del diario, la scrittura di Beatrice. La ragazza era consapevole di essere in procinto di morire? Se sì, com’era possibile? Qualcuno l’aveva minacciata? Jordan? Uno dei suoi amici? Elizabeth aveva cercato di avvertirla in qualche modo?

Chiuse il libro e si appoggiò alla scrivania; mille ipotesi, domande, pensieri fluivano correndo veloci. Miriam chiuse gli occhi. Questo complicava tutto. Aprendo gli occhi notò il foglietto fino ad ora ignorato, che era rimasto sul pavimento della camera.

Quel pezzo di carta apparteneva alla pagina del diario, la carta era la stessa. La detective era sicura di questo perché aveva maneggiato parecchio l’oggetto negli ultimi tre giorni.

Traduzione italiana della nota ritrovata nella copia del Macbeth appartenuta a Beatrice:

Questa nota è per Jordan, Michael e Susanne.
L’atto è compiuto, lei è morta.
Avete scelto una vittima per me, io ho obbedito ai vostri ordini.
Vederla lì, sul pavimento del nostro salotto, senza vita (vita che io le ho tolto!) mi ha destata dal sonno ipnotico in cui ero entrata.
La cerimonia che tanto bramavate è stata realizzata;
ma lei era mia amica.
Non posso vivere sapendo quello che ho fatto, quello che ho fatto per te, Jordan. Solo per te.
Addio,
Elizabeth.

*

Bibliografia:

William Shakespeare, Macbeth, Milano, Mondadori, 2021.

Wilfred Owen, Dulce et Decorum Est, https://www.raicultura.it/webdoc/grande-guerra/battaglia-somme/pdf/WilfredOwen.pdf

Riflessi

Beatrice Robaldo parte dall’idea e dall’immagine visiva del rispecchiamento, fonte di contatto intimo e profonda conoscenza, per sviluppare un racconto dove i protagonisti sono evocazioni di sentimenti, riflessi emozionali legati al desiderio che cadono l’uno nell’altro e possono accogliere indistintamente le esperienze personali dei lettori, nell’ambito del seminario Scritture del desiderio, legato al corso di Letterature comparate B, 2021/20221, Prof.ssa Chiara Lombardi.

“Quel mondo non sapeva guardare i riflessi, non vedeva la bellezza nell’unione, era insofferente al dolore, ingenuamente, egoisticamente, pericolosamente insofferente al dolore, quel mondo vedeva tutta l’aria che separava l’acqua e il cielo e aveva deciso di riempirla, con la morfina.”

*

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Cosa può essere più superficiale di uno specchio che riflette? Cosa più fragile, mutevole, inafferrabile di un riflesso, si chiese accarezzando il cielo con le dita, che già scompariva in milioni di rughe ondulanti. Sembrava quasi che l’acqua aggrottasse la fronte ogni volta che lei cercava di toccare le sue nuvole. Amava guardare il cielo riflesso nell’acqua, lí ogni distanza si annullava, ogni affanno si spegneva, il cielo era nell’acqua e l’acqua nel cielo, non li separava neppure un granello d’aria, il loro abbraccio era troppo stretto. Forse non erano neanche più abbracciati, erano solo insieme, così insieme da essere uno. 
Che riflesso bugiardo, che riflesso eterno.
Un passo indietro dalla riva, continuava a guardarli. 
Si passò le dita sul viso e questa volta ciò che incontrarono non si deformò, non sparí, al contrario, solida, fredda, ruvida, si fece sentire in tutta la sua materialità, in tutta la sua presenza. 
Aveva ormai imparato la differenza fra le cose della vita, differenza che si esauriva essenzialmente nella contrapposizione fra ciò che si sente e ciò che si tocca. Ciò che si sente non può essere ne stretto ne toccato, eppure è vero il contrario, ciò che si tocca può essere sentito. Lei ad esempio lo sentiva, il peso della sua maschera tra le dita, il peso sul suo volto, sul suo cuore. Ma quel mondo, il suo mondo, sembrava non essere capace di sentire. Forse non gli piaceva, ascoltare. 
C’era un altro aspetto del mondo che aveva imparato a conoscere: il mondo era insofferente al dolore, così insofferente da cercare ossessivamente un modo per esserne indifferente. E anche per il dolore le cure erano due, una che si poteva sentire, l’amore – forse quella non l’avrebbe mai conosciuta – e una che si poteva toccare, la morfina. Facile capire quale aveva preferito il mondo. 
Ah, che mondo strano, pensò facendo un passo verso la riva.
Quel mondo non sapeva guardare i riflessi, non vedeva la bellezza nell’unione, era insofferente al dolore, ingenuamente, egoisticamente, pericolosamente insofferente al dolore, quel mondo vedeva tutta l’aria che separava l’acqua e il cielo e aveva deciso di riempirla, con la morfina. Che mondo strano. Chissà quanti cieli e quante acque c’erano stati prima che il mondo avesse smesso di guardare i riflessi, di sentire, di ascoltare… Prima che avesse avuto troppa paura di essere.
Si tolse la maschera e trattenne il respiro. Quella maschera non le permetteva di stare bene, le impediva di respirare morfina e questo significava non essere anestetizzati al dolore. Avrebbe potuto farlo, un piccolo sospiro e anche lei sarebbe diventata indifferente, avrebbe guardato il cielo dal basso e non avrebbe più sentito il peso della mancanza, della lontananza. Sarebbe stato normale, l’indifferenza sarebbe diventata normale. Non essere significava stare bene. 
Trattenne il respiro e fece un ultimo passo avanti. Guardò il suo riflesso nell’acqua, nel cielo, il suo volto nudo, il suo essere. Perderlo, perdersi, la terrorizzava.
Ma essere era così difficile, così dannatamente difficile.
Era davvero?
L’acqua si increspò, il volto sembrò cambiare le sue sembianze.
Si era persa?
Morfina nell’aria, un mondo senza amore, un’anima senza amore.
Si sarebbe mai ritrovata?
Altrove.
Il cielo si rannuvolò, si fece sempre più buio, l’acqua si ghiacciò, divenne dura, scintillante, divenne uno specchio. Era buio, ma riusciva a vedersi, aveva gli occhi chiusi, ma riusciva a specchiarsi. E come al solito non andava bene. Era buio e non andava bene. Era buio. Lei non andava bene.
Gli diede un pugno, non gli era rimasto neanche un briciolo di forze, le aveva risucchiate tutte, le aveva buttate, sprecate, ne era soffocata, e il braccio, quel braccio molle di un corpo molle, mosso da una mente molle, molle e debole, si alzò con una violenza isterica, insulsa e impattò contro la superficie piatta e fredda, fredda del vetro e spaccò in mille pezzi, un milione di schegge e quelle piccole piccole si conficcarono ovunque, sotto le unghie, sotto la pelle, sotto le ciglia. Scorreva l’acqua, era rossa, rossa come il sangue che si ostinava a passare, nelle vene, nel cuore, negli occhi, sanguinavano gli occhi e i polmoni e le mani e i capelli ne erano incrostati. Tirò i capelli, li tirò forte e il vetro si ruppe di nuovo, urlò e il vetro si ruppe ancora, stette immobile e le schegge si conficcarono più a fondo, respirò, e loro andarono più giù, sempre più giù e ancora e ancora. Ancora e ancora. Il petto era un pozzo, un pozzo stretto stretto. Si dimenò, era caduta in un pozzo. Non c’era aria, non c’erano appigli, ma l’aria doveva passare di lì, doveva uscire dal pozzo, ma non poteva, perché lei occupava tutto lo spazio, si stava togliendo l’aria da sola. Il pozzo cercò dolorosamente di aumentare le sue dimensioni e la pelle si stirò innaturalmente. Vide le pareti deformarsi nel buio, innervate dal dolore le fibre risplendevano. Vide il colore del dolore e desiderò di essere cieca, poi ne sentì il rumore e desiderò di essere sorda, poi il sapore e desiderò di non sentire mai più un gusto, poi la consistenza e desiderò che le mani diventassero insensibili – come facevano a non esserlo con tutto quel sangue, con tutte quelle ferite? – poi lo sentì di nuovo, non era un suono, non un colore non un gusto, non lo sentì con le orecchie non con gli occhi non con la lingua, lo sentì e basta e desiderò di non avere un cuore, mai più, di essere abbastanza grossa per non far passare l’aria, mai più. Ma lei era piccola, piccola e insulsa, piccola e inutile, piccola e debole, piccola e isterica, piccola e disgraziata e un filo d’aria passò lo stesso, un filo più sottile dello stelo di una margherita di campo fu abbastanza per squarciarla. Era una margherita, una margherita rossa, squarciata dalla terra e stritolata in un pugno. Strinse i pugni e le lenzuola si strinsero, ballavano, bianche, bianche macchiate di rosso le lenzuola ballavano e si stringevano, sulla bocca, attorno al collo. Ne fece una corda per fuggire, la tirò e poi se ne aggrappò, saltò fuori aggrappandosi alle lenzuola  e quelle sostennero il peso del suo corpo, strette intorno al collo le lenzuola sostenevano il suo corpo, sempre più strette le impedivano di cadere, sempre più strette le impedivano di respirare. 
Il buio avvolgeva ancora ogni cosa, mentre il mondo riposava lei precipitava. 
Lui invece era ancora in bilico, sull’orlo di un precipizio, cercando di non fare ciò che sapeva di non dover fare, guardare giù. 
Chissà perché sapere non è mai sufficiente.
Era giunto il momento del giorno in cui ogni attività rallentava il suo corso, si faceva più distesa e meno frenetica, il cielo aveva smesso di cambiare pelle e sonnecchiava placido, in quel blu profondo che non avrebbe chiuso i suoi mille occhi ancora per un po’. Le onde della strada si infrangevano sempre più rade alle finestre incappucciate. Le poche auto si sentivano arrivare da lontano, il rumore nasceva, impercettibile, si avvicinava, cullante, passava, deciso e poi sempre più sospirante, sempre più lontano. I singhiozzi dei cani erano radi, ancor di più i brontolii degli aerei, il respiro dell’aria costante e ritmato, rotto soltanto da qualche sospiro profondo di vento. La notte era un corpo dalla fisiologia comune, si agitava mollemente, ma non abbastanza per svegliarsi. Era viva, stanca, serena, addormentata, altrove. Anche lui avrebbe voluto essere altrove, ma non era ancora il momento, inutile mettersi a letto ora, il nervoso avrebbe reso l’attesa oltre che noiosa insopportabile e aveva imparato a muoversi con attenzione quando si ritrovava in equilibro. Sapeva che restare immobili non esimeva dal cadere, come sapeva anche di non esserci mai stato davvero, in equilibrio, di non esserne mai stato capace, ma in quei momenti, quelli in cui riusciva a sincronizzare i suoi respiri con quelli del mondo – e solo di notte c’era abbastanza silenzio per poterlo fare – cadere non faceva male, era più semplice e più rasserenante di tentare di mantenersi in equilibrio. All’improvviso sentì un piagnucolio, un gemito provenire dalla boscaglia e si ritrovò a chiedersi se fossero gli animali ad essere più umani di notte o gli uomini ad essere più animali, il risultato in ogni caso era stato lo stesso, la vicinanza. Quel piccolo verso, così caldo e umido, gli scivolò sulla schiena. Un brivido alla volta la mancanza gli ricordò la sua presenza. Eccola, la goccia, il soffio d’aria, la spinta, l’onda. La vicinanza. Una vicinanza fittizia, insufficiente, irraggiungibile. Cadere ricominciò a fare male. 

Le urla dei grilli coprivano i respiri della notte, impossibile cercare di seguirli. Ora tutto stonava, non un’auto, non un aereo, non un cane. Soltanto urla e silenzio, urla e silenzio. Il volto sereno della notte rimaneva imperturbato, sereno, altrove. Anche lui era finito altrove, ma il suo cielo era diverso, il suo cielo non aveva stelle.
Un cielo senza stelle, un cielo di sabbia, un cielo soffocante. 
Scorreva sotto le dita senza fare rumore, era pelle, seta, le corde dell’arpa, i crini biondi di un cavallo senza padrone, scorreva e graffiava, graffiava i polpastrelli incappucciati da calli invecchiati sotto entusiasmo e frustrazione, graffiava senza fare male, le mani non facevano mai male, il cuore sempre. Era così facile, bastava un respiro a muoverla e mille per decidere di farlo, come quando perché, era così difficile, ogni idea sfumata un rimpianto, ogni idea realizzata una delusione, niente andava mai come doveva andare. Lui sentiva, ma non sapeva trascrivere, la sabbia sbagliava il suo corso, sempre, spingendolo a chiedersi ossessivamente chi fosse a mentire, il cuore o le mani? Il cuore non mentiva mai e lui sapeva ascoltarlo, ma le mani, oh le mani, quelle sapevano solo sbagliare… e ancora, era la sabbia ad essere indomabile o le mani incapaci di essere domate? Se il desiderio che il cuore non smetteva di urlare alle sue orecchie era così facile da sentire, perché, si chiedeva, perché era così difficile da nutrire… la mancanza era assordante, accarezzava la sabbia sperando ingenuamente di trovare sollievo laddove aveva conosciuto solo tormento. Le mani avevano fatto il callo ai graffi, il cuore no, eppure continuava, accarezzava la sabbia, viveva di graffi, tra solchi insoddisfacenti e sfumature sbagliate, viveva di desideri urlanti, tra mani disobbedienti e cuori biascicanti, viveva di inizi e di fini, trascrivendo storie che non gli sarebbero mai appartenute. 
I suoi disegni erano così fragili. 
Si ritrovò a disegnare una bambolina, con gli occhi grandi e le ciglia lunghe. Non sapeva dire se fosse fosse felice oppure no, sicuramente, come tutti i suoi disegni, era fragile e presto non sarebbe esistita più.
Ah che bambolina fragile e mortale, qualcuno si sarebbe ricordato di lei? 
Una bambolina si guardò allo specchio. Aveva gli occhi grandi e le ciglia lunghe, cercò di scrutare più a fondo, nei suoi occhi. Non riusciva a capire se fosse felice o no e si chiese se lo fosse mai stata davvero, se sapeva cosa volesse dire, se sapeva cosa voleva. Era tutto troppo grande, i sogni, le aspettative, le delusioni. Solo di una cosa era sicura. Era fragile, fragile di un fragilità odiosa, non come quella fiera di un cristallo che deve essere maneggiato con cura e che può essere rotto solo con la violenza, la sua fragilità era quella sciocca e molle dei petali dei fiori, delle ali delle farfalle o delle bolle di sapone, bastava niente per farle del male, ogni carezza uno schiaffo, ogni emozione uno sconvolgimento. Si guardò ancora. Era un petalo accarezzato da decine di mani indiscrete ognuna delle quali faceva capo ad una delle sue paure, era un paio di ali che sentiva il desiderio di volare e non aveva la capacità di farlo, era una bolla di sapone, una bolla di sapone che sapeva fare soltanto una cosa, scoppiare.
Scoppiare. Scoppiava. Tutto crollava.
Il cielo crollava, anzi no, erano le case a crollare,  il cielo… era lui il colpevole. L’aria esplodeva e non era più aria, era polvere, era gesso, era irrespirabile. Il cielo non era più il cielo, le case non erano più le case, l’aria non era più l’aria.
Gli uomini erano sempre uomini invece. I bambini sempre bambini. Sempre fragili, sempre vulnerabili, sempre mortali. Ma il mondo stava attraversando uno di quei momenti in cui non ricordava che gli uomini erano uomini e che i bambini erano bambini, li calpestava e basta. 
Ah che uomini fragili e mortali, qualcuno si sarebbe ricordato di loro?
Non un fiore, non un farfalla, non una bolla di sapone.
Non un volto, non un nome.
“Morfina,  serve della morfina, adesso, fate presto!”
“Non ne abbiamo più, mi dispiace, l’abbiamo finita. L’abbiamo finita”
Morfina nell’aria, nell’anima del mondo.
È questa la soluzione? L’indifferenza al dolore. O è questa la colpa? Si chiese l’Umanità guardandosi allo specchio. Il riflesso era quello di un corpo vecchio, vecchio e mutilato, vecchio e dolorante, vecchio e pesante, vecchio e sbagliato, vecchio e mancante, vecchio e sofferente. 
Ma c’era un ‘eccezione, c’è sempre un’eccezione. Male nel bene, bene nel male.
Eccezionali, così erano i suoi occhi, occhi bambini, occhi speranza. 
Quanti cieli avevano visto cadere, quanti ancora ne dovevano vedere. 
Ma per qualche misterioso e arcano motivo non avrebbero mai smesso di brillare.
E ridere.
E piangere.
E ridere.
Perché?
Perché si ama? 
Perché si odia?
È la storia di tutti, di tutto, è la storia del mondo. 
Che non ha volto, che non ha nome, 
che sa solo chiedere e non sa rispondere, 
che è, sempre sarà desiderante, mancante, errante.
Che sa amarsi e non osa farsi del male.
Che decide di farsi del male e dimentica di amarsi.

Μάλκωμ

Irene Mignone immagina il seguito dell’opera teatrale shakespeariana Macbeth collocandolo nel contesto e nella forma della tragedia greca. La riscrittura è stata svolta nell’ottica del corso di Letterature Comparate B mod.1 della Professoressa Chiara Lombardi – Coscienza e Verità: narrativa, poesia, teatro (2022-2023).

 “Scrivendo questa tragedia ho voluto esplorare il tema del libero arbitrio e della coscienza in relazione al male. Mi ha affascinato l’idea di collocare la vicenda nella Grecia dell’età degli eroi: offriva la possibilità di sviluppare questi argomenti in una prospettiva nuova, diversa da quella cristiana che caratterizza Macbeth”.

*

ATTO PRIMO

Scena i

Entra ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Terribile è l’uomo destinato alle cose grandi: la mia vita ha raggiunto vette inimmaginabili, ma il suo corso è stato interrotto con la forza. Nato nobile, possedevo a mala pena la terra necessaria a non disonorare il nome degli antenati. Né gli amati genitori, né i prodi compagni, né la moglie fedele pensavano che io, Macbeth, avrei dominato da re questa vasta e fertile isola.
Lieto era ciò che la corona portava con sé: lieto il denaro, lieto il potere, liete le mille prelibatezze. Ma non riuscivano che a intorpidire il mio profondo male, un male da me accolto volentieri poiché bussava alla mia porta in compagnia di una fortuna ritenuta grandissima.
Pensavo di fare un bell’affare, e per il grossolano gioiello della corona ho scambiato il diamante più limpido: ma né le ricchezze di Mida né quelle di Creso comprano la purezza del cuore e l’animo leggero. Nessun vino annebbia la consapevolezza del torto, nessun piacere ne placa le piaghe del petto.
Ora abito gli inferi: e la mano che mi ha crudelmente ucciso impugna il mio scettro come io ho impugnato quello di suo padre.
È sempre vero che l’uomo che si è voluto innalzare ai cieli subisce una caduta senza pari.

Entrano ΑΙ ΓΥΝΑΙΚΕΣ ΤΗΣ ΟΙΚΙΑΣ

Ma ecco, le donne del palazzo: loro hanno negli occhi gli orrori più atroci e le loro voci pronunciano verità.

ΑΙ ΓΥΝΑΙΚΕΣ ΤΗΣ ΟΙΚΙΑΣ
Il sangue lascia macchie indelebili
sui raffinati tappeti orientali
come sulle mani di chi uccide;
lunghe le notti spese a strofinare
i segni degli atti dettati dal male
che alberga anche negli animi più chiari.
Nulla come la colpa sa possedere
il petto e la mente dell’uomo reo
rendendogli le miti notti insonni
e i più raffinati piaceri vuoti:
la desolazione di un animo
non viene colmata da tasche piene.

Exeunt

Scena ii

Entra ΜΑΛΚΩΜ, ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Salute, Malcom, mio fratello e signore.

ΜΑΛΚΩΜ
A te sono stato fratello sin dal ventre materno, e tale sarò fino alla fine dei giorni, ma aspetta a rivolgerti a me come signore.

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Ma tu sei re di questa terra per merito e per diritto: e quando domani mattina la tua fronte indosserà il diadema allora lo sarai anche secondo gli dèi. Dimmi, temi che a loro non piaccia che io ti saluti come meriti?

ΜΑΛΚΩΜ
Ancora non è il momento opportuno. Gli dèi sanno essere invidiosi delle faccende umane.

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Gli dèi hanno predisposto ogni buon augurio per il tuo regno: i sacrifici sono stati fatti e le libagioni versate. Guarda il porto oltre le mura: il carro del sole terminando il suo corso ti ha portato una nave, che proprio ora attracca al molo. È il legno più splendido che abbia mai toccato il mare, costruito dalle sapienti mani dell’Anatolia: non esiste onda che non si infranga distrutta sulla sua chiglia. Poseidone stesso piange la sua grandezza.

ΜΑΛΚΩΜ
Parli troppo Donalbain. La nave è bella ma poco conviene all’uomo compiacersi della sua condizione. Come procedono i preparativi?

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Tutto è come hai stabilito.

ΜΑΛΚΩΜ
E gli invitati?

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Sono arrivati messaggeri da ogni dove a portare auguri di longevità al tuo regno: i più grandi uomini di tutta la Grecia accorreranno qui a renderti omaggio. Non c’è nobile di questo mondo che non riconosca la tua grandezza.

ΜΑΛΚΩΜ
Questo mi allieta. Ma ora gli occhi sono stanchi e la mente chiede di riposare. Spero di trovare nostro padre nei miei sogni e di potergli chiedere consiglio.

ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  
Potrà il padre soddisfare qualunque questione ti dia preoccupazione. Sii riposato per gli eventi di domani.

Esce ΔΟΝΑΛΒΑΙΝ  

ΜΑΛΚΩΜ
La luna induce sonno o irrequietezza a seconda della predisposizione dell’animo. Questa è una notte serena, eppure gli ultimi rivolgimenti ancora mi tormentano. Ormai ho ucciso il responsabile dei miei antichi affanni e delle ingiustizie verso il mio popolo, eppure sono ancora incandescente di rabbia. Non mangio più, non dormo più: sono consumato da un impeto insaziabile. Vendicare l’uccisione di mio padre è stato come bere una tazza di acqua di mare, poiché ha acceso in me la sete che doveva spegnere e che ora non ha soluzione.
Ma forse non è bene soffermarsi sulle preoccupazioni: se l’uomo da cui ho ereditato il trono non vorrà portarmi consiglio questa notte allora vorrà dire che non lo necessito. E che quindi domattina, con il diadema in fronte, vedrò tutto più chiaramente…

Entra ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ

La rabbia mi inganna, i miei sensi intorpiditi dal banchetto mi mentono: chi vedo in quell’angolo è un’illusione, e non la forma spregevole del vecchio usurpatore.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Non ti ingannano i sensi, sei tu stesso a  ingannarti: io sono ciò che resta del terribile Macbeth e non sarà un diadema a regalarti pace da questa tua guerra.

ΜΑΛΚΩΜ
Macbeth, non è questo il tuo nome. Ho conficcato la mia lama nel suo collo, l’ho bagnata del suo sangue bollente: se tu sei lui, ciò di cui sono in presenza è altro che uomo.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Ho smesso di essere uomo quando ancora respiravo, Malcom, e ora non sono niente di meno di quel che fui quando morì. Non è il corpo a suonare l’ultimo battito di un cuore puro.

ΜΑΛΚΩΜ
Oh sventura degli uomini, i morti camminano con i vivi e la voragine del caos si è aperta! Dimmi, i tuoi delitti sono stati tanto efferati da spalancare le porte dell’Ade?

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
I miei delitti sono uguali ai tuoi e così saranno le punizioni.

ΜΑΛΚΩΜ
Di cosa stai parlando, scellerato? I fiumi delle nostre vite potranno anche essersi intrecciati ad opera dei tuoi atti empi: ma nel mio fiume scorre ancora acqua limpida, nel tuo putrida, corrotta. Niente mi avvicina al tuo rovinoso destino.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Non sei che un ingenuo. Il mio fiume termina dove il tuo si ingrossa e la mia putrida acqua sta lentamente contaminando la tua. Se ancora non vedi cosa ci accomuna è perché non vuoi vedere: tu sei votato alla mia stessa fine.

ΜΑΛΚΩΜ
La tua fine l’hai decretata tu stesso con le tue azioni impronunciabili: tu hai deciso di infrangere le leggi dei mortali per vestire la corona.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
La corona era il mio destino, e la fortuna va condotta affinché non ti trascini. Ho sofferto molto per le mie azioni, ma non è in dubbio che andassero fatte. L’oracolo parlò chiaro quel giorno, quando andai a Delfi per conoscere l’esito della guerra di tuo padre: dovevo diventare re, ed ero pronto a farlo a qualsiasi costo.

ΜΑΛΚΩΜ
Non parlarmi di mio padre! Non dopo che lo uccisi con l’inganno, tradendo la sua fiducia. Domattina sarò incoronato e ristabilirò una volta per tutte la linearità del regno. Tu non sarai altro che una perversa nuvola scura all’orizzonte di un cielo terso: da lui io discendo, in suo nome condurrò un regno giusto.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
No, assassino, il tuo regno discende dal mio: sono io il predecessore che hai tanto invocato e per questo ora appaio davanti a te. Hai usurpato il trono proprio come feci io e presto ne vedrai le conseguenze.

ΜΑΛΚΩΜ
Sei venuto in un mondo non tuo a dirmi menzogne per spaventarmi?

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Sono venuto a darti il consiglio che cerchi con così tanta alacrità: ebbene sì, ciò che senti crescere in te è malvagio. Poche altre passioni corrompono gli uomini come quella per il potere. No, non scomparirà una volta sedutoti sul trono, anzi, ad ogni gradino della tua scellerata scala di ricchezze si farà più potente. Credi alla parola di chi l’ha percorsa prima di te.

ΜΑΛΚΩΜ
Non un dio, non un oracolo mi sta parlando di queste cose terribili: chiedo allora per quale motivo dovrei credere ad un uomo malvagio al quale ho dato motivo di ostacolarmi. Non ripongo nessuna fiducia in te, non dopo che mio padre ha errato nel farlo; eppure le parole che pronunci mi precipitano nel dubbio. Quindi andrò a Delfi, stanotte, sul mio nuovo legno, a sentire cosa mi aspetta oltre la soglia del futuro: allora sapremo con certezza quanto la mia natura sia diversa dalla tua, e quanto i nostri regni e le nostre vite divergano. Gli dèi, non gli spettri della vita passata, custodiscono le chiavi del futuro.

ΤΟ ΦΑΝΤΑΣΜΑ ΤΟΥ ΜΑΚΒΕΘΟΣ
Non ho obiezioni mio re: d’altronde Delfi è il luogo della verità.

Exeunt


ATTO SECONDO

Scena i

Entra ΠΥΘΙΑ

ΠΥΘΙΑ
I confini della grande Grecia non riescono a contenere il vasto numero dei seguaci di Apollo. Da ogni angolo del mondo, a piedi, a cavallo, per nave, giungono a Delfi per cercare risposta, per chiedere al dio uno sguardo al futuro. Quante e quali questioni mi affidano in cura! Gli esiti delle battaglie, la ricchezza, la salute, l’amore: non c’è interrogativo che non mi sia stata rivolto.
Gli dèi abbondano di conoscenza: e come cani sotto i loro tavoli imbanditi gli uomini venerano, pregano, e sacrificano per elemosinarne gli avanzi. Ma persino le briciole di questo banchetto celeste sono inarrivabili per la piccola natura umana.
Di chi ha posato piede su questa terra non esiste figlio di donna o di dea che sappia far cantare una lira come Apollo: la sua poesia è miele alle orecchie e le sue parole cadono come fiocchi di neve. Ma queste sono ugualmente limpide quanto torbide, disvelano e occultano, percorrono il limite dell’intelletto umano: solo a chi conosce il linguaggio del canto disvelan segreti di stoffa ancestrale.
Il Febo dono della poesia porta alle soglie della conoscenza divina: placa dal dolore del vivere gli animi che sanno ascoltare.

Entra ΜΑΛΚΩΜ

ΜΑΛΚΩΜ
Buona sia la notte a te, sacra Pizia.

ΠΥΘΙΑ
Buona a te nobile Malcom. Hai versato il vino e sgozzato il capretto?

ΜΑΛΚΩΜ
Tre sono i capretti che ho offerto al tuo dio affinché sia propenso ad essere chiaro.

ΠΥΘΙΑ
È naturale che sia così: tu sei un re e pensi che persino il consiglio di Apollo si possa corrompere, quando il mio dio non coglie i frutti del denaro. Ma non c’è da preoccuparsi, egli leggerà la purezza delle tue intenzioni. Esse sono pure?

ΜΑΛΚΩΜ
Spero di sì, oh sacerrima.

ΠΥΘΙΑ
Quale dubbio ti spinge dalla tua terra fino al mio antro a questo punto della notte?

ΜΑΛΚΩΜ
Un dubbio che solo chi conosce le leggi degli dèi può sciogliere, e che temo metterà in pericolo il mio futuro.

ΠΥΘΙΑ
Teme il futuro chi vorrebbe cambiare il proprio passato; il tuo segue i tuoi passi come un vecchio cane randagio. Un peso grande come il tuo può solo essere frutto di un atto contro la natura, uno di quegli atti che, purtroppo, non lasciano molto spazio a un resto della vita pacifico. Parla, che atto hai commesso?

ΜΑΛΚΩΜ
Ebbene sì, il mio passato è macchiato da un delitto che non solo temo rovini la mia esistenza, ma che deturpi anche il nobile tessuto della mia stirpe. Un uomo è spirato sulla mia lama. Ma pur se ho commesso questo grave atto avevo una giusta causa, una causa legittima: stavo vendicando mio padre, il re di diritto.

ΠΥΘΙΑ
Tu sei quindi il figlio di Duncan, e uccisi quel Macbeth che qualche tempo fa percorse la tua rotta e che sedette sul tuo trono come tuo padre.

ΜΑΛΚΩΜ
Non come mio padre! Mio padre fu un re buono, giusto e nobile, di una stirpe originaria della nostra terra: unta dagli dèi per governarla. Macbeth non è altro che un tiranno, salito al trono quand’era ancora insanguinato.

ΠΥΘΙΑ
Se un tiranno è colui che scalza un sovrano per rimpiazzarlo allora Macbeth è salito al trono in modo non meno giusto di te, quindi non compiacerti, mortale, della tua stirpe: la statura della più alta montagna non è che un granello di sabbia di fronte alla grandezza divina. Macbeth ha rivendicato la corona per certo destino.
Questa è la verità: hai ricevuto da tuo padre una prospettiva di potere, non più legittima, non più giusta di quella che Macbeth ricevette da me a suo tempo. Quando le condizioni si sono mostrate avverse a questo tuo desiderio malato, hai deciso di attuare con i suoi stessi mezzi i tuoi piani.

ENTRAMBE LE VIE DEL CROCICCHIO PORTANO ALLA STESSA LAMA

Questo mi dice il dio con i dolci fumi della terra. Non sei che deviato dalla promessa di un qualche insulso potere. Ora va. Vivi insieme alla tua colpa. Il dio non ha nient’altro da dire.

Entrano ΑΙ ΓΥΝΑΙΚΕΣ ΤΗΣ ΟΙΚΙΑΣ

Come la muffa attacca le cantine
anche dei palazzi splendenti dei re
e dimenticata, crescendo al buio
divora le solide fondamenta;
così il male e la sete di potere
se incolte distruggono ogni uomo.
Non molto è dato in questa triste vita
a chi non è nato da ventre divino o
dalla nobile stirpe degli eroi;
se non la mitezza dell’esistenza
che ottunde il sorgere di passioni
troppo grandi a sopportarsi dal cuore.

Exeunt

Scena ii

Delfi, esterno

Entra  ΜΑΛΚΩΜ

ΜΑΛΚΩΜ
ENTRAMBE LE VIE DEL CROCICCHIO PORTANO ALLA STESSA LAMA: è con queste parole che riemergo dall’antro della verità. Opaco è il febo intelletto  nei confronti della stirpe degli uomini, eppure questa volta le parole concessemi sono limpide come l’acqua del mare. Morirò per una lama, ma non sarà la lama della battaglia, concessa ai grandi eroi e reputata da noi tutti la più bella tra le morti: no, la mia lama sarà la stessa che ha ucciso quell’uomo ignominioso, quella del tradimento, dell’assassinio. Quanto deve essere definitivo il mio destino perché nella profezia non ci sia spazio per ambiguità? Com’è possibile che un uomo che pensi di agire nel giusto si veda posto al pari di uno degli uomini peggiori mai esistiti? Se la mia vita è da paragonarsi a questo bivio che ora mi si presenta di fronte, non ricordo di aver mai percorso la strada in discesa, e quindi chiedo – a chiunque sia da imputare per le questioni del destino – com’è possibile che io sia diretto verso il baratro?

Entra  ΕΚΑΤΗ, insorgendo dall’edicola

ΕΚΑΤΗ
Mortale, io non del destino nacqui dea, ma delle arti che sondano tutte ciò che è oscuro e ambiguo: Ecate mi chiamano per le mie cento e cento forme.

ΜΑΛΚΩΜ
Oh Ecate! Questa notte più di un’apparizione mi ha impedito la quiete del corpo e dell’anima: mi sembra di non parlare con un uomo da anni e anni. Dimmi, sei venuta a fornirmi un farmaco che acquieti questa febbre dello spirito?

ΕΚΑΤΗ
Non esiste farmaco che sia terreno o divino a placare la malattia che ti affligge e che tu stesso fatichi a capire. Lo svolgersi di questi ultimi eventi ha appagato la mia natura e ristorato le mie capacità: una notte come questa si è manifestata non troppi anni fa, ma penso che tu questo già lo sappia. Non capita spesso che un uomo percorra la linea di ciò che è e ciò che non è.

ΜΑΛΚΩΜ
Ti prego, non paragonarmi ancora quell’uomo proprio quando l’oracolo, fonte di verità, ha paragonato il corso della sua vita al mio: alle soglie del futuro mi aspetta la stessa morte di Macbeth.
Io non capisco: conduco la mia vita timoroso degli dèi e nel modo che ritengo più giusto e saggio, eppure non faccio altro che errare. Accetto, quando proviene dalla Pizia, il giudizio che paragona le mie azioni a quelle di Macbeth: accetto di non avere le capacità di vedere i fili del destino che hanno mosso entrambe. Eppure non riesco ad assumermene le responsabilità, non vedo perché chi agisca seguendo l’utile e il giusto debba ricevere la stessa punizione di chi si è lasciato persuadere dal male in quella misura.

ΕΚΑΤΗ
Non è la prima volta che sento i discorsi degli uomini, eppure non posso che sorprendermi nuovamente di fronte ai limiti del vostro pensiero. La tua conoscenza delle cose non potrebbe essere più infima: chiedi al dio del razionale di conoscere il tuo destino, chiedi al destino di conoscere le oscurità del tuo animo. Rivolgi le tue domande alle porte sbagliate e interpreti le risposte senza comprenderne il significato.
Nati nel sangue, siete destinati a soffrire. Non perché noi dèi ne traiamo giovamento, poco importa all’essere perfetto di ciò che sta al suo esterno: ma perché né Apollo né lo stesso Zeus controllano nel profondo l’incedere delle vite umane.

ΜΑΛΚΩΜ
Chi se non i potenti dèi determinano il destino e le vicende terrene?

ΕΚΑΤΗ
Tre sono le strane sorelle che determinano il corso delle vostre vite. L’una ne tesse lo stame, e per questo è chiamata Cloto; Lachesi girando il fuso sapientemente al filo d’oro lo stame bianco o lo stame nero a suo piacimento; ma è la maggiore, Atropo l’inflessibile, a reciderne il filo con la lama. Gli dèi nulla possono di fronte alla volontà delle Moire.

ΜΑΛΚΩΜ
Stai tentando di dirmi che neanche Apollo può scrutare oltre a quella cortina? Che non devo ritenere veritiera la profezia che ho ottenuto? Dimmi, te ne prego, che è quella delle Moire la lama di cui parla!

ΕΚΑΤΗ
Non è questa tutta la verità. L’intelletto di Apollo arriva ben oltre il suo potere. Il filo della tua vita e quello di quell’altro mortale sono indissolubilmente annodati, e non soltanto dall’atto empio dell’omicidio: la colpa, germe del dubbio e figlia del male, ti ha votato a quella rovinosa caduta che tanto temi. Così è stato deciso fin dal principio. Non rimane che scorrere il filo da capo a coda.

ΜΑΛΚΩΜ
Maledetto quel demone che stanotte mi ha colto nella mia reggia! Maledetto quel giorno scellerato in cui vidi la luce, piangendo nel sangue caldo di mia madre. La lama di un assassino mi aspetta alle soglie del futuro, per punirmi di un atto che non ho deciso di commettere, e non c’è scampo al volere del Fato.

ΕΚΑΤΗ
Ancora non capisci, mortale: non per una qualche tua colpa, non per la tua condotta nel regno dei vivi sei destinato a morire. Non c’è ragione nell’ordine delle cose, non c’è disegno oltre l’apparente coerenza. La vita, come tu la puoi conoscere, non è che un capriccio di forze che non puoi  controllare e per le quali dovrai perire.
E non per la lama di un qualsiasi assassino: come disse la Pizia, morirai con la lama che ha ucciso Macbeth.

ΜΑΛΚΩΜ
Tutto è perduto, nulla rimane: crollano i palazzi delle mie certezze, il mio futuro è fatto di rovine scabre. Se nella stretta veste della Necessità non c’è spazio per respirare liberamente, allora io decido di smettere di mia sponte.

ΜΑΛΚΩΜ sguaina la spada

Mortale, questo mi chiami perché questo sono: un essere per caso, un pensante collaterale. Il senso e compimento della mia esistenza deve essere la morte.

ΜΑΛΚΩΜ si uccide

Exeunt

Sipario