di Matteo Camogliano
In questo breve saggio, Matteo Camogliano analizza il ruolo della musica nell’architettura del romanzo Guerra e Pace di Tolstoj e si concentra poi sulla ricezione attiva di quest’opera letteraria, ovvero sull’influenza esercitata su opere d’arte musicali contemporanee e successive.
☙
Come è evidente dal romanzo breve Sonata a Kreutzer,[1]Lev Tolstoj teneva la musica in alta considerazione,[2] ma essa non è meno presente nelle altre sue opere, a partire da Guerra e Pace.[3]
La musica in Guerra e Pace
Nel grande romanzo storico tolstojano la musica fa le sue numerose comparse soprattutto nell’ambito di quella mir che è rappresentazione del mondo umano, ma non mancano sconfinamenti anche nel mondo della vojna, che rappresenta invece la Storia.[4]
La musica è elemento connaturato e sempre presente, anche quando non esplicitamente descritto, in tutti i contesti mondani dell’alta società russa. A partire dall’incipit del romanzo in casa di Anna Pavlovna, la musica non può mancare nei salotti aristocratici, non solo come necessario accompagnamento per il ballo, ma anche come campo di prova in cui si esibiscono in particolare le giovani fanciulle di buona famiglia. Al di là degli effetti emotivi particolarmente esplorati da Tolstoj, su cui ci soffermeremo, non mancano da parte dell’autore i segni di un’effettiva conoscenza tecnica della materia musicale: «Ma a un tratto scoppiò una tempesta, nell’orchestra si sentirono delle scale cromatiche e accordi di settima diminuita, e tutti corsero e trascinarono di nuovo uno dei presenti dietro le quinte, e il sipario calò»,[5] o ancora
La musica suonava sempre piú forte. La melodia cresceva, passava da uno strumento all’altro. Si andava formando ciò che si chiama fuga, anche se Petja non aveva la minima idea di che cosa fosse una fuga. Ogni strumento, ora simile a un violino, ora a delle trombe, ma piú bello e piú puro dei violini e delle trombe, ogni strumento suonava il suo motivo, e prima ancora di averlo finito si fondeva con un altro, che iniziava quasi la stessa cosa, e con un terzo, e un quarto, e tutti si fondevano insieme e tornavano a disperdersi e poi a fondersi di nuovo in una musica ora solennemente religiosa, ora brillantissima e trionfale.[6]
Nella caratterizzazione dei personaggi del romanzo, la più legata alla musica è indubbiamente Nataša, che il lettore ricorderà proprio per l’alta occorrenza con cui Tolstoj ne evidenzia le ottime doti canore e la spiccata sensibilità musicale:
Dopo il tè andò nella sala che amava particolarmente per la forte risonanza, e cominciò i suoi esercizi di solfeggio. Conclusa la prima lezione, si fermò in mezzo alla sala e ripeté una frase musicale che le era piaciuta particolarmente. Rimase con gioia ad ascoltare l’incantevole effetto (quasi inatteso per lei) con cui quei suoni, vibrando, riempivano tutto il vuoto della sala e si spegnevano lentamente, e a un tratto si sentì allegra.[7]
La musica è in grado di esercitare sul suo personaggio un ascendente notevole, e non manca mai: nella sua prima partecipazione a un ballo, nelle ricorrenze familiari, nella fatale serata all’Opera, quasi alterando – come in quest’ultimo caso – la percezione stessa della realtà.
Oltre alla musica dei salotti aristocratici, un ruolo importante sembra avere anche la tradizione folclorica russa, anzi è proprio questa tipologia che ci è utile per capire meglio il rapporto di Tolstoj con la musica del suo tempo. L’episodio in tal senso più illuminante del romanzo è quello che avviena a casa dello “zietto”, in seguito alla battuta di caccia:
Dal corridoio si udirono distinte le note di una balalaica, suonata evidentemente da un virtuoso. Nataša già da tempo aveva teso l’orecchio a quelle note e adesso uscì in corridoio per sentirle meglio. – È il mio cocchiere Mit´ka… Gli ho comprato una bella balalaica, mi piace, – disse lo zietto. Da lui c’era questa usanza: quando tornava dalla caccia, nella stanza dei cacciatori Mit´ka suonava la balalaica. Allo zietto piaceva ascoltare quella musica. – Che bello! Davvero eccellente, – disse Nikolaj con un certo disdegno involontario, come se si vergognasse di ammettere che quei suoni gli facevano molto piacere. – Come eccellente? – disse Nataša con rimprovero, avvertendo il tono con cui l’aveva detto il fratello. – Non è eccellente, è una vera delizia! – Proprio come i funghetti, il miele e i rosoli dello zietto le erano sembrati i piú buoni del mondo, cosí anche quella canzone in quel momento le sembrava il culmine della delizia musicale.[8]
Il passo è illuminante in quanto – oltre alla limpida caratterizzazione del quadretto rustico, davvero particolarmente riuscito – permette di notare come la tradizione folclorica sia assurta nell’Ottocento russo a notevole importanza, testimoniata dal fiorire della cosiddetta scuola nazionale, rappresentata dal Gruppo dei Cinque (o “gruppetto possente”, Mogučaja kučka), e prima ancora, dal compositore Michail Glinka, che fu il primo promotore e fautore della musica russa, proprio attingendo a larghe mani dal repertorio popolare.[9] La scelta da parte di Tolstoj di questa oculata rappresentazione del folclore sembra legittimare l’ipotesi di una chiara consapevolezza da parte dell’autore della filiazione popolare della musica russa colta in voga nella sua contemporaneità (mezzo secolo dopo i fatti narrati), e pare trovare conferma in un altro passo saliente già anticipato, ovvero nell’episodio dell’Opera.
Dopo la vita in campagna e nella seria disposizione di spirito in cui si trovava, a Nataša tutto ciò appariva assurdo e sorprendente. Non riusciva a seguire l’intreccio dell’opera, non riusciva neppure ad ascoltare la musica: vedeva solo i cartoni dipinti e gli uomini e le donne stranamente abbigliati, che si muovevano, parlavano e cantavano stranamente in quella luce violenta; sapeva che cosa doveva rappresentare tutto ciò, ma era tutto cosí leziosamente falso e innaturale, che un po’ si vergognava per gli interpreti, un po’ li trovava ridicoli. Si guardava intorno, guardava le facce degli spettatori, cercandovi lo stesso senso di ironica perplessità che era in lei; ma tutte le facce erano attente a ciò che accadeva sulla scena, ed esprimevano un rapimento che a lei sembrava simulato.[10]
Nonostante l’ormai nota sensibilità musicale di Nataša, nel nuovo contesto sociale moscovita la musica operistica inizialmente sembra non avere effetto su di lei, a causa sia della sua disposizione d’animo, sia del periodo di vita in campagna: l’episodio precedente in casa dello zietto è subito richiamato alla memoria e stride in tutto e per tutto con il presente. A Nataša il nuovo contesto sociale urbano non può che apparire falso, simulato, e così anche la musica che lo permea è per lei priva di significato, vuota, rispetto alla schietta immediatezza del suono della balalajka e del canto popolare. Non di meno, nonostante la disposizione d’animo iniziale e questo primo rifiuto quasi inconscio e viscerale per l’ambiente in cui si trova, quello stesso ambiente sociale e la musica che lo permea compiono lo stesso il loro magico effetto – o sortilegio – sull’indifesa Nataša:
Mentre percepiva la luce viva diffusa in tutta la sala e l’aria tiepida, riscaldata dalla folla, Nataša a poco a poco cominciava a entrare in uno stato di ebbrezza che non sperimentava da tempo. Non ricordava chi era e dov’era e che cosa accadeva davanti a lei. Guardava e pensava, e i pensieri piú strani le balenavano nella testa inaspettatamente, senza un nesso. Ora le veniva l’idea di saltare sulla ribalta e cantare l’aria che cantava l’artista, ora aveva voglia di dare un colpetto con il ventaglio a un vecchietto seduto non lontano da lei […].[11]
L’Opera, la musica e l’atmosfera in cui si trova immersa la protagonista, sono tutti strumenti dell’azione incontrollabile con cui si manifesta la forza dell’eros, che agisce in modo irrazionale nelle vite degli uomini così come nella Storia.
La musica è un amplificatore degli effetti, già di per sé fatali, dell’azione incontrastata dell’amore sui personaggi, ignari e impotenti di fronte al suo manifestarsi. Lo era stata già persino per il principe Andrej, innamoratosi di Nataša proprio dopo averla ascoltata cantare, di nascosto – scena memorabile e quasi da pellicola – in una selenica notte di leopardiana memoria.[12] In mancanza del wagneriano filtro d’amore, è la musica a compiere l’effetto afrodisiaco.
Tornando all’episodio della serata all’Opera, la costruzione di Tolstoj è magistrale e trasforma la scena in una sorta di meta-rappresentazione teatrale, in cui, oltre allo spettacolo in corso sul palcoscenico, i veri attori, marionette inconsapevoli, sono i protagonisti-spettatori. Nel crescendo della musica e tra gli applausi del pubblico si consuma la tragédie della povera Nataša, che cade vittima degli strali di amore e della maliziosa e noncurante frivolezza di Anatole Kuragin,[13] prima ancora di avere il tempo di rendersi effettivamente conto di quanto le stia accadendo. La collocazione di questo episodio così importante nell’intreccio del romanzo proprio all’interno del contesto sociale del teatro d’Opera, denota da parte di Tolstoj una costruzione che è quasi metaletteraria e non priva di una certa ironia nel dipingere proprio la moda ottocentesca, aristocratica e borghese, della frequentazione dei teatri. Moda che, per quanto russificata, è di chiara ed evidente importazione occidentale, attraverso il fortunato canale della tragédie lyrique francese. Ciò non stupisce più, in un romanzo che si apre proprio con una conversazione in francese, e conferma, se mai ce ne fosse bisogno, l’aperta critica e ironia verso la cultura occidentale e la sua riappropriazione da parte dell’alta società russa.
Sembra dunque profilarsi, in filigrana, quello che sarà poi il severo giudizio morale di Tolstoj sulla musica come traspare in Sonata a Kreutzer, ovvero una netta condanna verso un’arte capace come null’altra di scatenare le passioni e i desideri terreni. Una condanna religiosa-morale legata alla repressione degli istinti sessuali[14] e in ultima analisi riconducibile alla lunga tradizione della “teoria degli affetti”, che ha le sue radici nei miti orfici e nell’ethos musicale dell’antica Grecia.[15]
Non mancano, come si diceva, le intromissioni o gli sconfinamenti della musica al di fuori del contesto sociale aristocratico e borghese che le è più proprio, quello della mir, nel mondo della vojna. Sono molteplici gli episodi in cui il furore e le paradossali allegrezza ed euforia della guerra si manifestano negli uomini che la vivono anche attraverso episodi in cui è coinvolta la musica, o in rimembranze e metafore musicali: «L’animo di Rostov si riempì di allegria per quei suoni che non udiva da tempo, quasi fossero le note della musica piú allegra. Trap-ta-ta-tap! – scoppiettavano gli spari ora insieme, ora in rapida successione».[16] Nulla di sorprendente in fondo, la musica fin dall’antichità è potente strumento apotropaico, in grado di infondere coraggio e rifuggire il terrore della morte – ancora il riferimento è alla teoria greca dell’ethos[17]– e come tale è utilizzata e si sviluppa in forme appositamente pensate per l’uso bellico, come le marce militari ma anche il canto spontaneo da parte dei soldati, di carattere ora esaltante ora profondamente malinconico.
La musica dunque, in quanto arte e artificio umano, in Guerra e Pace si cala tanto nella mir quanto nella vojna e come visto è essa stessa strumento inconsapevole al servizio della Storia, del suo travolgente corso e delle forze che la portano inesorabilmente avanti, eros e thanatos.
Continua la lettura di La musica in e da Guerra e Pace